8 - Do You
Era una mattina grigia, una di quelle in cui chiunque, soprattutto Randy, avrebbe preferito starsene sotto le coperte a poltrire; tuttavia, sentendo il caldo respiro di Gabriel sul collo, questi si disse che sarebbe stato troppo imbarazzante rimanere imbambolato con le sue dita strette sul fianco senza battere ciglio.
A dirla tutta non ricordava neppure perché lo aveva costretto a dormire insieme, ma era certo di aver reagito d'istinto, per puro terrore, e se ne era già pentito, perché non aveva il coraggio di muoversi.
«Ti sei svegliato?» chiese Gabriel in un sussurro.
Randy sobbalzò e batté le palpebre. La voce ancora impastata da sonno, mormorò: «Sì, e tu da quanto tempo sei sveglio?».
Lui non rispose, limitandosi ad alzarsi dal letto. Poi, voltandosi verso Randy, gli vide stringere le coperte e aggrottare le sopracciglia. «Cosa c'è che non va?»
«Pensavo che saresti andato via appena sorto il sole.»
«Non è questo che mi hai chiesto.» Si grattò la nuca e, dubbioso, aggiunse: «In realtà non hai specificato nulla in proposito, senza contare che non sono un vampiro».
Randy si strinse nelle spalle. Lo guardò e lo vide sospirare, dopodiché abbassò lo sguardo colpevole. «Hai ragione, non so cosa mia sia preso. Non avrei dovuto chiederti una cosa del genere, è stato del tutto inappropriato...»
Sul viso di Gabriel si dipinse un sorriso tenue. «Perché?»
«Perché?» echeggiò poco convinto. «Ti ho accusato più volte di essere complice de Il Grande Drago Rosso, e perfino questa notte ho dubitato di te. Non so cosa mi sia passato per la testa quando ti ho chiesto di restare al mio fianco.»
Gabriel sollevò un sopracciglio. «Mi stai forse dicendo che non avresti dovuto dormire accanto a me?»
Sentirlo dire dire da lui, lo fece avvampare. «Dico che non era necessario» balbettò. «Ma ti ringrazio, sei stato gentile ad assecondare il mio capriccio.» Si morse il labbro inferiore e s'impose il silenzio, desideroso di concludere quella conversazione il prima possibile.
«Avevi bisogno che qualcuno ti restasse vicino, non mi è sembrato un capriccio.»
Aveva ragione, Randy se ne rendeva conto, ma ammetterlo ad alta voce sarebbe stato troppo imbarazzante, perciò tenne lo sguardo basso e mugolò qualcosa come: «Sì, beh, non eri tenuto a farlo».
«Sei testardo» sospirò. Scosse la testa, poi si avvicinò alla porta a passo lento e da lì disse: «L'ho fatto con piacere, Randy».
Se solo avesse avuto il coraggio di chiederglielo, questi avrebbe insistito per sapere di quale piacere stesse parlando, tuttavia non lo fece e, anzi, si ammutolì.
Lo vide uscire dalla stanza e, concentrandosi sulle sue spalle, trattenne il respiro. Sentì il cuore battere all'impazzata e se ne vergognò, ricordando a se stesso che Gabriel era solo un montato, viziato borghese, che non aveva niente a che spartire con lui.
Mosse appena i piedi sotto le lenzuola e spostò lo sguardo fuori dalla finestra per osservare le nuvole gonfie di pioggia, che promettevano un'altra giornata asfissiante tra le mura di Casa Graham.
Poi ripensò a quello che aveva sentito lo scorso pomeriggio e, scendendo dal letto controvoglia, si disse che non aveva la benché minima intenzione d'incontrare l'agente letterario di Gabriel con addosso il pigiama. Corse verso il bagno con in mano i vestiti, ma si bloccò di colpo non appena lo raggiunse.
Darrell era lì, in piedi, di fronte al lavandino, con la faccia sporca di schiuma da barba e in mano un rasoio. Lo guardò con la coda dell'occhio e accennò un sorriso. «Ehilà, Rondinella!»
«'Giorno» fu la risposta striminzita di Randy, il quale, sbuffando, si adagiò mollemente contro la parete del corridoio. «Non pensavo che il bagno fosse occupato» continuò. «Di solito ci si chiude dentro quando lo si usa...»
«Di solito ci sono soltanto io al primo piano» squillò candidamente l'interpellato prima di fare spallucce. «Mio fratello, per non so quale assurda ragione, preferisce il bagno del suo studio; così ho la terribile abitudine di fare tutto a porte aperte.» Avvicinò il rasoio al viso e, prima di fare il primo taglio con le quattro lame, disse: «Dovrò abituarmi alla convivenza».
«Sarebbe meglio che lo facessi, sì, almeno per il momento» borbottò Randy, storcendo le labbra. «Non ho voglia di vederti cagare due ore con la porta aperta!»
Sentendo quelle parole, Darrell rischiò di tagliarsi una guancia. Rise di gusto e posò entrambe le mani sul bordo del lavandino. «Sei terribile, te lo hanno mai detto?»
Lui scrollò le spalle e, dopo essersi voltato, s'incamminò verso la sua stanza. I vestiti ancora stretti tra le braccia, borbottò: «Avvisami quando hai fatto, esibizionista dei miei stivali».
Questi ghignò e lo seguì con la coda dell'occhio, poi tornò a tagliare la barba e prese a fischiettare per dissimulare la tensione e sciogliere i nervi che lo avevano accompagnato tutta la notte.
Non andò veloce e, anzi, cercò di rallentare il più possibile per indispettirlo nell'attesa.
Quando fu certo di aver rasato ogni angolo del suo viso, lo lavò con acqua tiepida e lo tamponò con l'asciugamano.
Nessun sorriso, nemmeno l'ombra della soddisfazione. Di fronte allo specchio mostrò un'espressione stranamente turbata e non se ne curò. Dopotutto non aveva motivo di mentire anche in quel momento, in completa solitudine, mentre si picchiettava il dopobarba sulle guance.
Tra l'altro era irritato e non sapeva come esprimere quel sentimento a parole; la causa, come al solito, era suo fratello. Ma il fatto che a scuoterlo tanto fosse stato vederlo uscire dalla stanza di Randy, che le sue mancate spiegazioni gli avessero dato il colpo di grazia, aveva dell'assurdo.
«Ho fatto!» gridò dal bagno mentre apriva l'acqua del lavandino per sciacquassi le mani. Si umettò le labbra, attendendolo sul posto, e rimase con una mano ferma sul marmo e la testa appena inclinata.
Quando Randy lo vide, strabuzzò gli occhi perplesso. «Sei ancora qui?» sbuffò spazientito. I palmi posati sullo stipite della porta, le labbra tese, si sbilanciò in avanti. Guardò Darrell contrariato e, con i vestiti in bilico su una spalla, si puntellò sui calcagni. «Si può sapere perché mi hai preso in giro?» chiese. Allora si sentì afferrare per un polso e strabuzzò gli occhi. «Darrell!» lo chiamò agitato, mentre questi lo trascinava dentro. Nelle narici, il forte odore del dopobarba e quello più fresco del bagnoschiuma con cui si era fatto la doccia da poco. Lo guardò negli occhi azzurrini e, scocciato, domandò: «Sei impazzito?».
«Dobbiamo parlare, Rondinella. Mio fratello ha dormito nella tua stanza questa notte, non è vero?»
Sentendo quelle parole, arricciò il naso. Quel "Dobbiamo parlare" gli suonava tanto come un'imposizione di coppia e lui non poté fare a meno di aggrottare le sopracciglia. Sollevò un angolo delle labbra in un raptus nervoso, emettendo un suono al limite tra il cinico e lo scherno. «Come, scusa?» sputò. Cercò di mettere a posto le idee e batté le palpebre perplesso, così disse: «E con questo?».
«Voglio sapere cos'è successo tra voi.»
Ritrasse il collo, per poco non scoppiò a ridere. Esasperato, aprì e chiuse le labbra sconvolto. Un pesce fuor d'acqua. «Come sarebbe a dire?» Era paonazzo, Davvero un buffo spettacolo da guardare, a detta di Darrell. «Cosa sarebbe dovuto succedere? Niente, è ovvio. Non volevo dormire da solo, dopo quello che era successo, e mi ha fatto compagnia: tutto qui.» Subito si pentì di aver dato una giustificazione qualsiasi a qualcuno che, di giustificazioni, non ne meritava affatto, e si morse l'interno delle guance, sentendolo sospirare e dire:
«Per fortuna...».
«Tu sei pazzo» balbettò. Rabbrividì e tentò di divincolarsi dalla sua presa, tuttavia non ci riuscì e, per questo, digrignò i denti arrabbiato. «Lasciami!» scandì. «Mi stai facendo male.»
«Se fossi stato io, sarebbe stato lo stesso?»
«Lasciami» ripeté.
«Prima rispondimi» obiettò, cercando il suo sguardo e corrugando la fronte. «Hai detto che non volevi stare da solo, perciò sarebbe andato bene chiunque, no? Se non fossi andato da Logan, se fossi rimasto, avresti chiesto a me di restare?»
Randy restrinse lo sguardo e mugolò: «Non lo so, è possibile». Ma non riuscì a dire altro perché subito sentì le labbra di Darrell premere con forza sulle proprie.
Spalancò gli occhi, fissando quelli chiusi di lui, e trattenne tutta l'aria nei polmoni, mentre i suoi denti prendevano a raschiare per cercare una passione del tutto fuori luogo. La vista si appannò, gli venne quasi da piangere. Eppure, si disse, non era la prima volta che un uomo cercava di baciarlo.
Tremò, mordendolo e allontanandolo con uno spintone. Si sbilanciò e finì contro la porta socchiusa, così lo guardò: il cuore in gola e gli occhi sgranati, confusi, arrabbiati. «Esci subito di qui, cazzo!» gracchiò mentre si strofinava la bocca con la manica di flanella. La testa improvvisamente bassa e le guance rosse come pomodori. Non voleva guardarlo, non più, e desiderava solo fare una doccia per dimenticare tutti i ricordi che quel contatto aveva riportato alla mente.
Darrell lo guardò. Sentiva il proprio cuore battere come un tamburo e rimbombare nel petto, nelle orecchie. Giurò di poter arrossire e, per un attimo, si diede dell'idiota. «Scusami» sussurrò. Si portò una mano alle labbra, sfiorandole, e sentì il sangue sui polpastrelli. Chinò gli occhi, li puntò sulla chiazza rossa che gli macchiava le dita e deglutì a fatica. «Davvero, scusami, non dovevo.»
«Esci, cazzo, esci!» sbottò Randy, afferrandolo per un braccio e trascinandolo letteralmente fuori.
Forse aveva sbagliato, così si disse nell'osservare la porta che Randy aveva aveva chiuso in un tonfo di fronte a lui. Restò immobile, le labbra ancora umide e il sangue sulla punta della lingua, che gli aveva impudentemente infilato in bocca. Non poté fare altro che darsi dello sciocco e, sospirando, si passò una mano tra i capelli. Non sapeva niente su di lui e lo conosceva da così poco tempo che era ovvio sarebbe andata così, perciò combatté contro la voglia di bussare per farsi aprire e chiarire subito, deciso a rimandare l'argomento a un momento migliore.
«Darrell» si sentì chiamare a gran voce. «Hai finito? Io devo scendere nello studio. Puoi occuparti di Logan?»
S'incamminò alla svelta verso la stanza di suo figlio e, fermandosi in corridoio, guardò Gabriel, il quale, seduto in terra, tra i giochi di Logan, lo teneva in braccio. Sorrise, annuì, poi disse: «Certo, vai pure». Gli vide assumere un'espressione dura e si chiese quale fosse la ragione della stessa, ma non osò indagare e, anzi, prese il suo posto accanto al piccolo. «Adesso c'è papà. A cosa giochiamo?» domandò piano. Solo allora udì il grugnito di Gabriel:
«Che diavolo hai combinato?».
E raggelò sul posto. Colpevole, con un dado di legno pieno di lettere incise tra le mani, spostò lo sguardo su Gabriel per fingersi innocente. «Niente» mentì. «Cosa avrei dovuto fare in bagno?»
«Ti ho sentito discutere con Randy.»
Deglutì, prese in braccio Logan e lo sentì ridere divertivo. Si sforzò di ridere a sua volta, infine fece spallucce. «Avevo lasciato aperta la porta del bagno. Sai, l'abitudine...»
«Stronzate» lo liquidò. Aveva lo sguardo stranamente serio, indagatore, ed era difficile sfuggirgli.
Così Darrell storse appena le labbra e minimizzò con un: «Nulla di grave.» Osservò la sua espressione poco convinta, poi proseguì: «Non abbiamo discusso, Fratellino, dico davvero. Gli ho solo chiesto spiegazioni in merito a quello che tu stesso ti sei rifiutato di dirmi».
«Quello che mi ero rifiutato di dirti, eh...» echeggiò irritato. «E, sentiamo, quale spiegazione ti avrebbe dato?»
«Ha detto che sarebbe andato bene chiunque.» Gli occhi fissi su Logan e il sorriso plastico, trionfante, dedicato interamente al suo daffare con i pupazzi di stoffa. «Se fossi rimasto, non saresti stato tu a uscire dalla sua stanza questa mattina, né mi avresti provocato con quella faccia da schiaffi.»
«Non ti ho affatto provocato, Darrell» sospirò. «Non ne avrei motivo.» Aggrottò le sopracciglia. Le braccia incrociate e le labbra secche, serrate, nervose.
«Mi hai provocato, eccome se lo hai fatto!» esclamò. Diede in mano a Logan un cubo colorato e lasciò che questi lo impilasse con altri tre di colori diversi. Solo allora, posando i palmi al suolo, si sbilanciò all'indietro e, voltando appena il capo, guardò in faccia Gabriel. «Hai posto la sicurezza di mio figlio dopo i tuoi interessi e hai passato la notte con lui.»
«Tralasciando il fatto che con Randy non sia successo assolutamente niente, non capisco la connessione tra le due cose» ammise. «Perciò, se vuoi colpevolizzarmi, almeno fai un discorso di senso compiuto, per l'amor di Dio!»
Darrell scosse la testa, disse: «Ti ricorda Lucia, è così evidente, la ricorda perfino a me». Si strinse nelle spalle, poi continuò: «È per questo che lo hai portato in casa senza pensare alle conseguenze ed è per questo che non vuoi avvisare la polizia». Si fermò un attimo per restringere lo sguardo, per pugnalarlo e insinuare silenziosamente la sua verità. «Sai che così facendo lo allontanerebbero, che lo riporterebbero a casa sua, dal padre bigotto. E tu non vuoi che succeda, non vuoi che se ne vada, perché se solo accadesse non potresti vederlo mai più e non avresti la scusa del libro per averlo tra i piedi, dico bene?»
Gabriel arricciò il naso. «Vaneggi.»
«No, non vaneggio.» Tornò a guardare Logan, mentre questi buttava giù la montagnola di cubi colorati e batteva le mani. «Dico ciò che penso e do voce ai tuoi pensieri; pensieri di cui tu hai paura, perché sei un cagasotto.»
Sentendo quelle parole, Gabriel rimase senza fiato. Detestava essere un libro aperto, in special modo con suo fratello, perciò serrò la mandibola e indurì i muscoli del viso. «Ammettendo che tu abbia ragione» iniziò a dire. «Cosa hai intenzione di fare?»
Lui ridacchiò. «Io?» Fece il solletico a Logan, il quale si buttò su un fianco e rotolò a pancia in su. «Non lo so, Fratellino. Non sono una macchina, reagisco d'istinto.»
«Fin troppo.»
«Ti chiedo solo di non mettere in pericolo mio figlio, non lo sopporterei una seconda volta.»
«Non è nelle mie intenzioni.» Posò una spalla sul montante della porta e osservò Darrell di sottecchi, sentendosi colpito nell'orgoglio. «Sai che voglio bene a Logan come fosse figlio mio.»
Darrell storse le labbra in una smorfia, poi disse: «Lo so, ma non lo è».
A quel punto, Gabriel scosse la testa e, dopo essersi dato una leggera spinta, si allontanò dalla porta. S'incamminò lungo il corridoio e percorse lentamente le scale.
La testa piena di pensieri, il cuore stranamente in gola. Nelle orecchie, le parole di Darrell.
Si allontanò dal piano superiore prima ancora di rendersene conto e prese posizione alla scrivania del suo studio in men che non si dica. Lì, seduto sulla sua comoda poltroncina, con una mano tra i capelli, sospirò e attese l'arrivo dell'agente letterario per quasi mezzora.
Si disse che, se davvero quella fosse stata l'unica soluzione per tenere Randy accanto a sé, si sarebbe impegnato per sfruttarla al meglio. Solo allora, convinto, aprì la porta di casa e invitò il Signor Simon Burke a entrare, mentre, sulla cima delle scale, Randy lo fissava con sospetto.
Le dita strette attorno al corrimano e lo sguardo fisso. Aveva le labbra serrate, i denti che quasi stridevano tra loro, e non sapeva se scendere per presentarsi o restare lì dov'era.
Alle sue spalle, Darrell. Teneva in braccio Logan e non aveva il coraggio di aprire bocca.
«Sei irritante» sussurrò Randy d'un tratto. «Pensi forse che non mi accorga della tua presenza?»
Darrell aggrottò di poco le sopracciglia. «Cosa sei, un animale?» borbottò nella sua direzione.
«Ho dovuto imparare anche questo quando ero a Short Strand.»
«Ossia quando vivevi con tuo padre?» indagò curioso. Poi sentì ridere Randy e, stranito, batté le palpebre. «Cosa c'è di tanto divertente?» chiese.
«Il fatto che la tua testa ragioni a senso unico» rise, tenendosi la pancia e spostandosi, curvo, contro il muro. Lo guardò attraverso le ciglia rossicce e continuò: «Pensavi che abitassi lì con la mia famiglia perché è notoriamente una zona di cattolici bigotti: non è vero, Darrell?». Si portò via una lacrima divertita dalla guancia sinistra, tornando ritto con le spalle. «Beh, ti sbagli. A Short Strand c'era la casa di mia nonna. Lei era la cupa vecchietta di Mountforde Gardens. E dove credi che sia rimasto dopo la sua morte?»
Prese una piccola pausa e, adagiandosi al muro dietro di sé, sentì echeggiare le sue stesse parole nella testa. All'improvviso, tutto il divertimento che lo aveva animato svanì e lo fece rabbrividire. Dinanzi all'espressione pietrificata di Darrell, continuò:
«Non in quella casa, no, anche se è diventata di proprietà della setta. Ma sempre lì, sempre a Short Strand.» Lo guardò negli occhi, mordendosi l'interno delle guance, e si accartocciò su se stesso. Mormorò: «Com'è che si dice? Un lupo travestito d'agnello.»
Note:
Ciao a tutti!
Ho pensato molto a come concludere questo capitolo, ma alla fine ho deciso di chiuderlo con un dialogo, cosa che non faccio praticamente mai. Mi piace l'idea che si lasci in sospeso il discorso con Darrell, mi piace anche che si noti come Randy non lo detesti a pelle nonostante quello che è successo tra loro in questo capitolo; perché sì, si sono baciati e, squillino le trombe, non è morto nessuno.
Ma l'ho già detto: questa non è solo una storia d'amore, perciò c'è molto di più sotto ciò che racconto in Casa Graham. Senza contare che non si possa pensare di avere già la soluzione in pugno.
Gabriel o Darrell? Sappiate che vi sto fissando con estrema curiosità, perché lo stesso Randy potrebbe farlo - e lui, differentemente da me, con terribile inquietudine! Lo so, il mio bubino è al centro del mio triangolo interiore, che dolore! Perciò questa storia continuerà, continuerà, eccome se continuerà, anche perché nella loro realtà è passato davvero pochissimo da quando si sono conosciuti, e lungi da me affrettare i tempi.
Lasciate un commento o una stellina, se il capitolo vi è piaciuto e se siete curiosi di scoprire qualcosa sul Signor Burke.
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