5 - Come As You Are

Seduto su quella sedia, Randy si sentiva punto da un milione di aghi e faticava a restare fermo dov'era. La convinzione di essere in pericolo gli si leggeva in faccia e l'espressione pacata di Gabriel non riusciva a fargli credere il contrario.

Perciò se ne stava lì, con la schiena tesa, ritta come una lastra di ferro, e le gambe che si muovevano veloci sotto il tavolo. Sembrava sul punto di parlare, di esplodere, ma tutte le volte che socchiudeva le labbra finiva con l'aggrottare le sopracciglia e grugnire.

Sembrava una vera e propria bomba a orologeria. Si guardava attorno con circospezione, tracannava litri di acqua frizzante e, mandando giù un bicchiere dopo l'altro, fingeva che fosse Brunello a La Carta.

Quasi rimpiangeva i pranzi con i membri della setta di sua nonna e detestava tanto il temperamento integerrimo di Gabriel quanto quello dei camerieri, che gli avevano negato il vino; li aveva visti sfilare accanto al tavolo senza fermarsi fin quando uno di questi non gli aveva tolto di mano il menù con un sorriso, che avrebbe definito sfrontato.

«C'è qualcosa che ti turba?» chiese Gabriel, guardandolo mentre tagliava il filetto. Dal canto suo sembrava tutto fuorché nervoso, cosa che infastidiva Randy più del dovuto.

«Mi chiedo se tu sia così stupido o se finga per farmi saltare i nervi» rispose secco, posando il bicchiere sul tavolo e fulminandolo. «Prima di uscire ti ho accennato qualcosa, mi sembra.»

«Qualcosa che non hai approfondito e di cui avresti potuto parlare per tutto il tempo in cui sei stato in silenzio.»

«Pensavo che preferissi registrare certe confessioni» lo provocò. «Sai, per il libro.»

Il tono a metà tra il serio e il retorico, sorrise: «Se serve a farti rilassare, posso fare un'eccezione».

«Ma che gentile...» Randy schioccò la lingua e si rigirò il bicchiere d'acqua tra le dita, osservandolo. «Faresti questo per me? È un onore troppo grande, Gabriel Graham, non posso accettarlo. Peraltro mi sorge un dubbio: credi che riusciresti a ricordare ciò che direi? Non è forse troppo difficile senza quel piccolo registratore del cazzo?» Gli lanciò un'occhiata veloce e ghignò di fronte alle sue sopracciglia corrugate. «Oh, c'è qualcosa che non va? È per via del fatto che ho detto "cazzo" o perché l'ho detto mentre siamo a pranzo fuori, con tutta questa gente intorno? Cazzo, ti disturba tanto il mio modo di parlare?» Posò il bicchiere sul tavolo e accavallò una gamba sotto il tavolo. «Immagino entrambe le cose. Sai, di solito non ci faccio molto caso a queste cazzate, ma dovrei visto l'età della persona che mi ha portato fuori; l'età che avanza, dico.»

Gabriel lo sorprese con una risata e gli fece gonfiare le guance dalla rabbia. «Credi davvero di offendermi con così poco, Randy?»

«Faccio del mio meglio.»

«Onesto.» Scosse la testa e mandò giù un boccone, dopodiché disse: «Vale lo stesso, il discorso non cambia: sono qui per questo».

«E io che pensavo fossimo qui perché non sapevi cucinare.»

«Stai temporeggiando» gli fece notare. Lo sguardo serio e le labbra ancora piegate in un sorriso di circostanza, disse: «La verità è che hai paura di ciò che potresti dire e di ciò che potresti scoprire con il tuo racconto». Tornò a tagliare il filetto e lasciò a Randy il tempo necessario per riflettere su quell'affermazione, ma subito lo sentì sbuffare.

«Sicuro di non essere uno psicologo?» Si mordicchiò l'interno delle guance e allungò una mano per rubare un pezzo di pane da sotto il naso di Gabriel. «Potrebbero essere qui» sputò infine.

«Di chi parli?» domandò questi, tornando a guardarlo negli occhi. Era curioso, ma anche preoccupato, perché sentiva nel tono di Randy una certa urgenza; tuttavia non voleva darlo a vedere e sapeva come nasconderlo.

«Quelli da cui sono scappato, non è ovvio?» grugnì. «Magari sanno già dove mi trovo, sanno che sono ospite in casa tua, e non ce ne siamo accorti per tutto questo tempo, perché siamo degli idioti.»

Gabriel negò subito con la testa e provò l'impulso di farlo con la forchetta, che aveva a mezz'aria. «Impossibile. Quando ti ho trovato in strada non ci ha seguito nessuno. Neppure oggi ci sono stati movimenti sospetti» spiegò brevemente.

«E a te basta questo per essere tranquillo?» sbottò. «Credi seriamente di essere così attento al dettaglio? Perfetto? Quando ci siamo incontrati la prima volta non sapevi nemmeno che ci fosse qualcuno che mi stava cercando...» Distolse lo sguardo da Gabriel e schioccò ancora la lingua sul palato con una punta di esasperazione. «Sei così egocentrico.»

«Stai cercando di allontanarmi» sussurrò Gabriel. «Questa cosa non è soltanto infantile, ma anche inutile.»

Lo sguardo di Randy scattò nella sua direzione e la voce si sollevò, così come la forchetta, che mostrò impunemente il pezzo di filetto. «Tu non ti rendi conto di che gente sia quella e di quello che io abbia passato fin quando non abbia lasciato la setta.»

«Allora raccontami tutto, Randy» lo spronò. «Io sono qui, non so più come fartelo capire.»

Lui aprì la bocca e fece per rispondere, ma subito la richiuse e si morse il labbro inferiore. Si sentì schiacciato dagli sguardi di tutti, sebbene nessuno lo stesse davvero osservando, e rimandò con un borbottio: «Dopo, magari. Non mi sembra il luogo adatto per farlo».

«Dopo...» ripeté Gabriel. S'imbrunì e strinse i denti, ma non obbiettò. Tornò a dedicarsi al filetto, ben consapevole del fatto che Randy avrebbe torturato il suo a causa dell'ansia, e attese di sentirlo parlare per almeno un'ora e mezza. Solo allora, quando fu fuori dal ristorante, non riuscì più a resistere e disse: «Questo silenzio è assordante».

Le mani in tasca e lo sguardo fisso, Randy borbottò un: «Abituati».

«Non posso abituarmi a qualcosa del genere, Randy. Detesto quando le cose vanno per il verso sbagliato e non mi piace vederti in questo stato.»

«Non ti facevo così emotivo» commentò ironico, ghignando nella sua direzione e lasciandosi affiancare lungo il marciapiede. Allora si fermò e, sentendo la presa di Gabriel su una spalla, aggrottò le sopracciglia. Occhi negli occhi con lui, gli sentì dire:

«E come mi facevi? Sono una persona semplice, ma non fai che schernirmi e prenderti gioco di me. Dovrei essere stufo di pensare ai tuoi problemi, ma non ci riesco».

Per un attimo sperò che si fosse davvero affezionato. Pensò a sua nonna, alla sua espressione preoccupata di quando prendeva il raffreddore, e si disse che non era poi così diversa da quella di Gabriel, perciò non poté fare a meno di mormorare un: «Perché?».

«Perché ormai sei una mia responsabilità.»

Rimase in silenzio e, storcendo il naso, distolse lo sguardo. «Smettila di dire stronzate!» esclamò. «Non sono un bambino, non sono responsabilità di nessuno!» La sola idea di essere considerato in quel modo riuscì a fargli salire il sangue al cervello, a fargli battere il cuore all'impazzata.

«Eppure hai paura anche uscire di casa.»

«Cosa c'entra questo?» Alzò la voce e lo guardò. Le narici che si allargavano come quelle di un toro e le sopracciglia curve, quasi unite sulla sommità del naso.

«Se non ci fossi io, Randy, tu finiresti di nuovo sul ciglio della strada.» Gabriel vide Randy digrignare i denti e caricare un pugno dopo essersi liberato dalla stretta sulla propria spalla, perciò si parò subito quando gli si scagliò addosso.

«Lasciami la mano!» grugnì come un animale e tentò di divincolarsi dalla presa che Gabriel serrò attorno alle sue dita per fermarlo. Poi lo sentì ridere e annaspò di rabbia. «Sei sfacciato, fastidioso, viziato...»

«Nient'altro?» chiese. «Quanti altri aggettivi hai per me?»

«Ne avrei a bizzeffe» sbuffò. «Ma non voglio darti tutta questa importanza, non la meriti affatto!»

A quel punto lo lasciò andare e fece spallucce. «Basta, hai ragione, non possiamo litigare come due mocciosi» disse. «Non è un comportamento consono, né quello che serve per mantenere un rapporto normale e duraturo.»

«Normale e duraturo?» echeggiò Randy. «È davvero questo che ti aspetti?» Era dubbioso, evidentemente crucciato e perplesso. Si massaggiò la mano per qualche istante, poi la spalla ancora indolenzita. Scosse la testa, infine sputò la domanda che aveva sulla punta della lingua: «E questo come ti sembra? Di rapporto, dico».

«Insano» ammise. «Non fai che arrabbiarti e lamentarti, ma non ti apri, quindi non ottieni nulla.» Vide la sua espressione mutare appena. «Non ti sfoghi, non mi racconti cosa succedeva prima della tua fuga, non mi spieghi perché hai tanto timore di poter essere seguito.»

«Devo davvero? Mi sembri stupido, Gabriel. Sei l'incarnazione di un cane che si morde la coda: chiedi sempre le stesse cose e non ascolti davvero le risposte, non apri gli occhi, non ti fermi a riflettere.» Arricciò il naso e lo guardò dritto negli occhi. «Non è difficile da capire, sai? Ho paura che mi riportino indietro, perché quel gruppo è cambiato, o perlomeno è cambiato il mio ruolo, da quando è morta mia nonna.» Scosse la testa e sospirò. «Tu, questo, non vuoi proprio capirlo.» Vide Gabriel sul punto di rispondere, perciò sollevò una mano per frenarlo e continuò: «Tornare lì sarebbe un incubo per me. E lo so che ti ho detto di essere stato io quello che si è avvicinato alla setta, ne sono consapevole, ma giuro che restarci dopo la morte di mia nonna è stata la cosa più orribile che mi sia mai capitata».

«O non saresti scappato» concluse Gabriel, quando lo scoprì senza fiato. «Riesco a capirlo, per quanto tu non riesca a crederlo».

Gli occhi di Randy divennero lucidi e la sua voce si arrochì appena. «E allora perché fingi che vada tutto bene? Perché te ne vai in giro con quell'espressione serafica in faccia?» domandò. «Mi mandi in bestia, mi fai incazzare, vorrei prenderti a pugni, cazzo!»

«Perché, se anche ci fosse qualcuno nei paraggi che ha l'intenzione di portarti chissà dove senza il tuo permesso, io non glielo permetterò.»

«Da dove viene tutta questa fottuta sicurezza?» biascicò. Poi si zittì di botto e abbassò lo sguardo al suolo, verso la punta delle proprie scarpe. Aprì e richiuse la bocca, mentre il cuore prendeva a galoppargli veloce nel petto. Avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, anche un nuovo insulto, ma non ci riuscì.

«Avanti, parla» lo spronò Gabriel. «Di' pure ciò che devi.»

«Tipo?» ridacchiò. «Qualcosa come "Sei un coglione, non fingere di non capirmi solo per farmi parlare"?»

«Ormai credo di essermi abituato alle tue manifestazioni d'affetto» ridacchiò.

«Non sono manifestazioni d'affetto, non lo sono affatto!» sbottò irritato. «Non potrei mai affezionarmi a qualcuno che crede di essermi tanto superiore.»

«E a ragione» gli fece notare con un indice sollevato. «Non per via del mio lavoro, ovviamente, ma perché non so quanto tu sappia davvero badare a te stesso; senza contare che io abbia già fatto il rodaggio a causa di un fratello minore abbastanza disastrato.»

Randy storse le labbra al suono di quelle parole. «Sei davvero troppo presuntuoso» commentò atono. «È per questo che non mi piaci per niente ed è per questo che non mi fido: mi ricordi troppo quella gente.»

«Sei fissato. Ogni cosa ti ricorda quelle persone, vedi il marcio ovunque.»

«Dovresti essere felice che mi stia aprendo con te, cazzo. Non era quello che volevi? Eppure non fai che lamentarti.»

Gabriel batté le palpebre perplesso, facendosi assalire dal tarlo del dubbio. «Non volevo essere io il problema, tutto qui» disse. «Speravo che i sospetti su di me ti fossero passati.» Lo vide stringersi nelle spalle e comprese di aver adottato un atteggiamento troppo aggressivo, troppo insistente, perciò scosse la testa e mormorò uno: «Scusa». Dopodiché continuò: «Forse è meglio rientrare a casa. Ti ho tenuto fuori abbastanza a lungo e tu sei così nervoso... Non voglio davvero farmi odiare da te, Randy».

In tutta risposta, questi restrinse lo sguardo con fare dubbioso e disse: «Non pensavo t'importasse qualcosa della mia opinione, dopotutto sono solo il soggetto di un libro e, per quanto interessante, dovrei restare tale ai tuoi occhi».

«Mi ricordi una persona» ammise piano, allargando le braccia in segno di resa. «E, per quanto possa sembrare ridicolo, non riesco a considerarti una semplice ragazzino da intervistare.»

«Una persona, eh?» ripeté tra sé e sé. Socchiuse gli occhi ancora lucidi e riuscì a sollevarli in un guizzo di curiosità per puntarli su quelli azzurrini di Gabriel. Allora lo vide annuire e, prima di poter chiedere altro, gelò sul posto al suono del boato che gli riempì le orecchie.

Lo vide scattare nella sua direzione e automaticamente tentò di scappare; ma Gabriel, fortunatamente, fu più veloce di lui, che riuscì a malapena e proteggere la testa con le braccia, accucciandosi e finendo schiacciato in terra, contro il suo petto, mentre i vetri della vetrina del ristorante andavano in pezzi sulla sinistra.

Sentì l'asfalto del marciapiede premere sulla sua schiena e il respiro di Gabriel nell'orecchio.

Gli mancò un battito, l'aria nei polmoni, mentre gli occhi, ormai pieni di lacrime, non vedevano più nulla e, sgranati, puntavano al cielo. «Sono loro!» gridò, annaspò. «Sono venuti a prendermi! Cazzo, Gabriel, devo andarmene!»

«Sta' giù» lo ammonì, cercando di parlargli direttamente nell'orecchio. «È una sparatoria.»

«No, non è possibile» continuò, obiettò, con il respiro corto. «Devono essere loro.»

Gabriel gli afferrò il viso tra le mani e cercò di farlo ragionare. «Devi stare calmo, sdraiato e immobile» scandì. «Respira lentamente e non alzarti.»

«È un ordine?» sussurrò.

Lui sbatté le palpebre confuso, non sapeva come rispondere a quella domanda, ma il suono di un nuovo colpo di pistola e quello della sirena della polizia in avvicinamento lo fece deglutire. Annuì, poi disse: «Sì, è un ordine». Vide una lacrima scivolare sulla guancia di Randy e gliela portò via. «Ed è per il tuo bene. Resta giù, Randy. Sta arrivando la polizia.»

Provò un lungo brivido e, gelando, non seppe come reagire. «Non starmi addosso» scandì col cuore in gola. «Spostati.»

«È pericoloso, non posso lasciarti andare» sussurrò. «Correresti via come un pazzo.»

Randy chiuse gli occhi e si agitò sotto di lui. «Non respiro.» Batté un pugno sull'asfalto e sentì la sirena della polizia sfrecciare vicino alle sue orecchie per correre lontano, lungo la strada. «Allontanati, lasciami stare!»

Gabriel sollevò lo sguardo per accertarsi che la sparatoria si fosse allontanata, dopodiché si scansò dal corpo di Randy e cercò di farlo mettere a sedere, scoprendolo tremante e diffidente. «Sono qui, non ti sto addosso...» disse.

Lui si fece forza e provò a respirare più lentamente. Si morse perfino le labbra e tornò ad aprire gli occhi, guardando Gabriel e mormorando uno: «Scusa».

«Non fa niente.»



Note:

Ciao a tutti!

Lo so, il mio Randy-cucciolo ha letteralmente preso un colpo e per poco non ci rimaneva secco. Mi dispiace per essere stata così cattiva, d'aver creato una situazione del genere senza che apparisse Il Grande Drago Rosso, ma ci tenevo a far schiantare lui e Gabriel, perché, diciamocelo, io adoro vederli vicini almeno quanto adoro vedere Darrell in difficoltà - quale sadismo mi caratterizza?

Se il colpo di scena vi è piaciuto, lasciate un commento o una stellina, che a me fa piacere.

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