3 - With My Eyes Wide Open I'm Dreaming

Addormentarsi era stato facile: gli era bastato stendersi su un fianco, chiudere gli occhi e posare la testa contro il cuscino che Gabriel gli aveva portato già sprimacciato dal piano di sopra. Aveva perso subito i sensi e, finalmente, era riuscito a smettere di pensare. Non sapeva come fosse successo, tuttavia, semplicemente, era accaduto.

Lo scoppio di una bolla di sapone.

E non era forse quello che aveva cercato di fare per tutto il giorno passato? Si era rintanato in una dimensione alterata della propria mente per dimenticare ogni cosa e fingere di non essere più se stesso nella speranza che accadesse davvero, ma non immaginava minimamente quanto sarebbe stato facile; e dire che gli era già capitato una volta, a casa di sua nonna, prima che morisse, proprio dopo essere stato cacciato a calci in culo da suo padre.

E lo ricordò subito, non appena aprì gli occhi la mattina dopo, osservando il bianco soffitto dello studio in cui si trovava.

Si disse che sì, probabilmente avrebbe iniziato a raccontare proprio da lì, se solo Gabriel gli avesse chiesto della sua famiglia.

Ma fu a quel punto che, nella totale e placida calma mattutina, un suono curioso raggiunse le sue orecchie. Non lo aveva mai sentito, per questo lo spinse ad alzarsi a sedere e ad abbandonare il calore delle lenzuola prima del previsto. Così, senza quasi accorgersene, si trovò a origliare la conversazione che avveniva in corridoio. Le labbra sigillate e le orecchie ritte.

«Stai attento, Nanerottolo.» Era Darrell, ormai sobrio e inconfondibile. Lo avrebbe riconosciuto tra mille a causa dell'inclinazione che avevano le sue frasi per via dei nomignoli che dava alle persone.

«Papà...»

«Darrell, dovresti smetterla di farlo andare in giro da solo come una mina vagante e tenerlo un po' in braccio» intervenne Gabriel. «Non vedi come si affanna per raggiungerti?»

«Lo vedo, Fratellino, ma sta solo imparando a camminare. Se lo prendessi in braccio adesso, crescerei un tardone come te.»

«Sei sempre simpatico come un calcio sugli stinchi.»

«Chi è il genietto di Darrell?» chiese questi con una vocina stridula, buffa, alquanto infantile. «Logan è il genietto di Darrell, Logan.»

Una risata cristallina seguì quel nome, poi il suono palese delle mani che battevano tra loro.

Randy capì subito che si trattava di un bambino e sorrise senza quasi rendersene conto, con una punta d'invidia; avrebbe pagato oro, se solo avesse potuto, per tornare a quell'età così spensierata. Solo allora, lentamente, si avviò verso il divano con l'intento di rassettare le lenzuola.

A interromperlo fu Gabriel, il quale, entrando nello studio, portò con sé l'aroma caratteristico del caffè. Una fumante tazza in mano e il tono squillante, disse: «Buongiorno».

Voltandosi nella sua direzione, Randy quasi non sobbalzò. «'Giorno» borbottò con voce impastata. «Mi sono svegliato adesso, non stavo poltrendo, giuro» si giustificò automaticamente, più per vizio che per altro; e, magari, anche un po' per via della storia del libro cui avrebbe dovuto partecipare come parte attiva. Vide Gabriel assumere un'espressione confusa, cosa che lo irritò alquanto e gli fece subito schioccare la lingua sul palato per tagliare la tensione con una certa fretta. «Lascia perdere. Quello cos'è?» virò imbarazzato. Non voleva fossilizzarsi sul perché il suo istinto lo avesse portato ad adottare un atteggiamento tanto remissivo così all'improvviso, al contrario.

«Il caffè che ieri non hai voluto bere.»

«Dovrei berlo adesso?»

«Se non vuoi fare colazione posso sempre berlo io» lo provocò con un sorrisetto mefistofelico. «In effetti non mi dispiace berlo doppio la mattina.»

«No, va bene» si affrettò a dire l'interpellato con le gote appena arrossate. «Cioè, lo prendo volentieri un caffè quando mi alzo. È per svegliarmi, sai, serve a farmi aprire bene gli occhi.»

«Oh, capisco» mormorò soddisfatto. «Prego, allora, è tutto tuo.» Allungò il caffè nella direzione di Randy e mosse qualche passo verso di lui per consegnarglielo. «Hai dormito bene?» chiese. «Ti vedo riposato.»

«Sì, beh, non c'è male: il tuo divano da studio è abbastanza comodo, perciò grazie.» Randy si pentì subito di aver risposto tanto acidamente, ma non riuscì a sostenere lo sguardo di Gabriel e abbassò il proprio verso il contenuto della tazza appena afferrata. «Sei stato fin troppo gentile a ospitarmi, non eri tenuto a farlo» aggiunse sottovoce, in imbarazzo.

Non gli era mai capitato che qualcuno fosse tanto gentile con lui senza mostrarsi apertamente interessato a un proprio tornaconto; ma Gabriel, un tornaconto, lo aveva eccome. Lui lo aveva semplicemente dimenticato e forse a causa del vago torpore in cui ancora si trovava.

Avvicinò la tazza alle labbra e bevve una grossa sorsata di caffè, scoprendolo dolorosamente amaro, tuttavia non disse nulla, concentrandosi invece sul cruccio che gl'instillava la sola presenza di Gabriel. «Vuoi iniziare adesso con le domande?» domandò, riscuotendosi all'improvviso.

«Prima bevi il caffè, non c'è fretta» lo frenò questi, incrociando le braccia al petto e accomodandosi mollemente contro la parete attigua alla porta dello studio.

Randy lo fissò stralunato, senza capire bene dove volesse andare a parare. Ma nel dubbio non obbiettò e fece spallucce. Colse la palla al balzo per accantonare il discorso sulla propria vita e si dedicò all'osservazione, camminando verso la libreria stracolma di tomi che era lì vicino. «Li hai letti tutti?» indagò curioso. Gli occhi fissi sui titoli, le labbra socchiuse dallo stupore. «Anche quelli impolverati là in alto?»

Gabriel rise, una risata accennata. «Alcuni li ho ereditati da mio padre» precisò. «Molti non li ho nemmeno mai aperti, ma ammetto di aver letto anche qualcuno di quelli lassù in alto. Ora che mi ci fai pensare, devo proprio dare una spolverata alla libreria...»

«Tutta questa polvere non l'ho vista nemmeno al mercato delle pulci» commentò Randy nel tentativo di provocarlo; eppure scaturì solo una nuova, fastidiosissima, risata. Storse il naso, chiedendosi come facesse Gabriel a essere tanto irritante nella sua placida calma. «Insomma» iniziò vago, poco prima di prendere un secondo sorso di caffè. «In questo studio non fai che mettere le radici...» Prese una piccola pausa, assaporò il gusto del caffè e si disse che non era effettivamente quello che avrebbe voluto dirgli; al contrario, socializzare con Gabriel non rientrava proprio nelle sue prerogative. «È quello che farò anche io? Mi lascerai a marcire senza più considerarmi? Oppure vuoi davvero scrivere qualcosa su di me?»

Lo sguardo di Gabriel si fece perplesso. Le palpebre sollevate, le pupille ristrette. Non poteva credere alle proprie orecchie: proprio lui, che era così restio, lo stava spingendo a fare la prima mossa, a farsi avanti, ad aprire le danze.

«Se proprio insisti...» Si avvicinò alla scrivania e, dopo avervi girato attorno, si sedette sulla poltrona girevole. I gomiti poggiati sui braccioli pelle e le mani giunte davanti a sé. Fece scattare il tasto di un piccolo registratore e questo partì, iniziando a registrare sul lato A. «Questo è il primo incontro con Randy. Non ho ancora veramente parlato con lui e oggi gli chiederò le informazioni di base.»

«Ti precedo» intervenne, fin troppo seccato dal tono impersonale e neutro che stava usando. «Mi chiamo Randy Morgan e sono nato a Belfast. La mia è una famiglia molto conservatrice, ma io la definisco tranquillamente bigotta. Mio padre mi ha cacciato di casa tre anni fa...»

«È per questo che ieri ti trovavi in strada?»

«Ho detto "tre anni fa"» rimarcò. «Ti piacerebbe che fosse così facile, non è vero? Potresti già arrivare alla fine del discorso, tirare le conclusioni e scrivere il libro senza farmi dire una parola. Dopotutto sarebbe meglio, sì.»

«Sei tu che hai iniziato a parlare della tua famiglia. Non puoi farmene una colpa se pensavo che il motivo fosse quello.»

«Non t'interessa conoscermi profondamente? È così che si fa; tutti i bravi psicologi partono da lì: "dimmi di te, della tua famiglia, di come tuo padre ti maltrattava da piccolo e di come tua madre non ti ha voluto bene abbastanza...". Cazzate del genere non sono di tuo gradimento?»

«Io non sono uno psicologo» lo corresse secco.

Randy accennò un sorriso amaro. «Peccato, mi sarebbe piaciuto incontrarne uno, prima o poi. Avresti anche potuto fingere di esserlo.»

Gabriel si portò una mano al viso e si massaggiò la sommità del naso, mentre Randy prese posizione sulle coperte sfatte, che ricoprivano il divano.

«Va bene» disse arrendevole, lanciandogli un'occhiata di sguincio. «Parlami pure di ciò che preferisci.»

«Oh, grazie della gentile concessione.» Sospirò, non sapendo bene cosa fare. Non voleva essere inopportuno, meno che mai melenso, nel raccontare i dettagli della sua infanzia. «Non fa nulla, ciò che dovevo dire l'ho detto. Ti basti sapere che andai a vivere con mia nonna per non restare in strada. E questo, per ora, è tutto ciò che c'è da sapere sulla mia famiglia.» Fece spallucce, certo che prima o poi sarebbe stato proprio Gabriel a tampinarlo di domande in proposito.

Allora questi annuì. Era sicuro di aver capito ciò che Randy gli aveva appena detto e non aveva alcuna intenzione di ribattere o contraddirlo. Gli bastavano le informazioni che aveva. «Puoi dirmi perché eri lì da solo?» chiese, riferendosi a quando lo aveva incontrato sotto la pioggia.

«Sei proprio un tipo curioso» commentò. Le dita strette attorno alla tazza calda e la voglia di temporeggiare che gli solleticava la nuca. Bevve un sorso, poi sputò la verità: «Ero appena andato via dalla setta di mia nonna».

Gabriel strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Era fin troppo evidente che non immaginasse una risposta del genere. «Che tipo di setta?» chiese subito. La voce tradì una certa impazienza, segno evidente che la sua curiosità fosse stata appena stuzzicata.

Tuttavia Randy non rispose e benedì di trovarsi in una posizione tale da non poterlo neppure guardare negli occhi; non lo avrebbe sopportato, il suo sguardo, perché aveva una mezza idea di quale fosse: sdegno, pena, biasimo o chissà cos'altro.

Dopo qualche istante di religioso silenzio, preso un grosso respiro, prese a raccontare: «Quando ero piccolo, mia nonna si era allontanata dalla famiglia per via del suo credo, che, come immaginerai, era diametralmente opposto a quello dei miei genitori. Faceva parte di una setta che adorava il Diavolo in persona. Quando venni cacciato da casa ero così deluso dalla classica religione, così disgustato da tutto ciò che la riguardava, che scelsi di andare a vivere con lei. Non avevo paura, in verità non la conoscevo affatto, sapevo di lei solo ciò che mi era stato raccontato per una vita intera e speravo che si trattasse della pura e semplice verità; assurdo, non ti pare? La cercai tramite l'elenco telefonico e lei fu felice quando mi presentai alla sua porta, tant'è che mi accolse come il figlio che aveva perduto. Ma quando morì fu tutto diverso... I membri della setta hanno distrutto tutto ciò che mio padre e mia madre avevano già provato a seppellire sotto metri di terra».

«Basta!» esclamò Gabriel, facendo scattare il tasto del registratore.

Randy sobbalzò. Aveva gli occhi pieni di lacrime, quando la tazza di caffè gli cadde dalle mani per finire in terra e andare in pezzi. «Cazzo» imprecò a gran voce. «Non volevo, scusa.» Scattò in piedi e si voltò verso Gabriel. «Hai uno straccio, qualcosa per pulire?»

«Ci penso io...» sussurrò nell'alzarsi in piedi. Vide Randy aggrottare le sopracciglia, mentre le lacrime prendevano a scorrergli le gote improvvisamente pallide.

«No, non devi, è colpa mia. Non voglio che tu abbia pena per me adesso.»

«Adesso non è pena» disse, sorprendendolo e uscendo dallo studio senza aggiungere altro.

«Non ancora» mormorò Randy tra sé e sé. Sospirò nell'osservare la chiazza di caffè che ricopriva il pavimento e si diede dell'imbranato. Così, assorto com'era, udì di nuovo le risate di Logan. Tuttavia non mosse un muscolo e rimase fermo dov'era nell'inspiegabile speranza che Gabriel tornasse presto. Fu allora che si accorse di Darrell.

Era in piedi, sulla soglia della porta dello studio, e lo stava guardando. Aveva Logan in braccio e quella tipica espressione sfrontata che gli aveva visto stampata in viso tutta la sera prima. Sembrava sul punto di dire qualcosa, ma le sue labbra erano sigillate; per questo Randy sollevò un sopracciglio e chiese:

«Quello sarebbe tuo figlio?». Forse non gl'interessava davvero, ma voleva rompere il ghiaccio, dire qualcosa di normale dopo la conversazione avuta con Gabriel. E avrebbe pagato oro, potendo, affinché Darrell gli desse corda.

Ma così non fu, perché, dopo aver annuito, questi disse: «Ho origliato un po'...».

Randy si trattenne dal roteare gli occhi e arricciò il naso irritato.

«Un po', ho detto» rimarcò. «Non si sentiva molto da qua fuori.» Fece spallucce e strinse meglio Logan, il quale, allungando le manine, cercò il suo visò con una risatina. «Ma l'argomento sembrava interessante.»

«Interessante» echeggiò monotono. «Ti sembra davvero interessante sapere che io abbia passato l'inferno a causa di un gruppo d'invasati?»

«Quella è la parte che ho sentito meno.»

Deglutì a vuoto e sbiancò. Chissà perché si sentì tanto in imbarazzo. Forse, si disse, era a causa dell'ingenua presenza di Logan. La voce venne meno mentre diceva: «Capisco.»

«Ho sentito, invece, quando parlavi dei tuoi genitori.» Guardò Randy e lo vide annuire, perciò continuò: «Sai, nostro padre non è mai stato molto credente, perciò l'idea di un uomo tanto affascinato dalle Sacre Scritture mi attira e mi spaventa al tempo stesso». Prese una piccola pausa, infine disse: «Se mai avessi bisogno di parlare con qualcuno per sfogarti o che so io... Beh, puoi contare su di me».

La sua reazione fu istintiva: l'osservò stupito, scosso, letteralmente perplesso, e batté le palpebre fin quando dalle sue labbra non riuscì a scappare un fievole: «Okay».

«Non essere troppo entusiasta, mi raccomando» scherzò Darrell, prima di veder comparire sul volto di Randy un sorriso leggero. «Non so perché a mio fratello non sia interessato ascoltare questa parte del racconto, ma penso che tu abbia molto da dire al riguardo.»

«Vuoi viziarmi?» domandò improvvisamente dubbioso. «O c'è qualcosa che devi chiedermi anche tu? Tipo, e magari mi sbaglio, non è che hai intenzione di precedere Gabriel con un cazzo di libro?»

Darrell rise e sorprese sia Randy che suo figlio Logan, il quale, tra le sue braccia, strabuzzò gli occhi e si guardò attorno spaesato. «Cazzo, no!» esclamò. «Ma hai già capito cosa faccio per vivere: scrivo.»

Randy storse le labbra dubbioso. «Bene. E credi che io possa davvero essere tanto idiota da fidarmi di te dopo un'ammissione di colpa così plateale?»

«Scrivo libri per bambini» concluse in un colpo.

Randy non disse nulla, restò a osservarlo per qualche istante e poi distolse lo sguardo; allora gli sentì dire:

«Pensi che io possa scrivere un libro per bambini dove il padre del protagonista, troppo legato alla Parola di Dio, caccia suo figlio di casa?».

«Hanno scritto di peggio» ironizzò.

Darrell si lasciò sfuggire un suono divertito. «Storielle propagandistiche» disse a mezza bocca. «Nessuno mi ha pagato per creare qualcosa di tanto osceno.»

«Mai dire mai, magari qualcuno potrebbe commissionartene una in futuro.»

«Non sono solito svendermi per trenta denari.»

«I riferimenti biblici non ti mancano: sei sulla buona strada.»

«Sai, ho ereditato anch'io qualcosa da mio padre...» iniziò a dire Darrell con un sorrisetto sornione. «Non si tratta di libri, né di tutto il denaro che è spettato a Gabriel. Non è questa bella casa, meno che mai una macchina costosa, ma è bastato a portarmi avanti nella vita senza farmi credere nelle stronzate della gente perbene. Sei curioso? Te lo leggo negli occhi. È tanto che non parli con qualcuno, non è vero? Qualcuno, che ti racconta qualcosa, dico. Beh, ho semplicemente ereditato il suo cazzo di ateismo.» Fece spallucce, infine prese Logan da sotto le ascelle e lo sollevo in alto per guardarlo negli occhi. Gli diede un bacio su una guancia, poi sull'altra, e lo fece ridere. Non diede più tutta la sua attenzione a Randy, ma continuò a rivolgersi a lui: «Ho capito che era inutile pregare Dio mentre mia madre stava morendo di cancro».

Le palpebre appena abbassate e un groppo in gola. Il solo nominare quella terribile malattia gli aveva riportato alla mente sua nonna.

«Non fare quella faccia da funerale, sono passati secoli da quel giorno» concluse.

«Come fai a sapere che faccia sto facendo?» domandò confuso, crucciandosi appena.

Darrell lo guardò con la coda dell'occhio, poi abbracciò Logan, il quale, allungandosi, tentò di afferrare Randy da sopra la sua spalla sinistra. «Perché so che faccia fanno le persone quando nomino la malattia di mia madre: fanno sempre quell'espressione triste, di compassione, che mi fa saltare i nervi... Sembra che qualcosa possa rompersi dentro di loro, ma la verità è che la cosa non li riguarda affatto. Lei era mia madre, non la loro. Non è stata con loro tutta una vita, non gli è spirata tra le braccia e non li ha detestati durante l'adolescenza.» Prese una piccola pausa, poi trattenne una risata e, con un tono a metà tra il divertito e il turbato, disse: «La verità è che non so nemmeno io quanto l'abbia amata e detestata. Era una chimera di emozioni, sì, e l'unico che un po' si è avvicinato a comprendere tutto questo è stato Gabriel. Per paradosso, per osmosi, ma niente di più. Nemmeno lui può capire la sensazione che provo quando penso a mia madre».

«Perciò non guardatemi così» concluse Randy in tono drammatico e serio.

Un'ultima occhiata prima di uscire dallo studio, poi, annuendo, Darrell disse: «A dopo, Rondinella (1)».

«Rondinella?» echeggiò confuso.



Note:

Ciao a tutti!

Finalmente posso chiacchierare un po': io scrivo mentre sono sui mezzi, perché non riesco a mantenere una continuità stando al computer, perciò quando ho scritto questo capitolo mi sono inspirata per un progetto di Installazioni Multimediali - un progetto che poi ho deciso di non portare avanti e che attualmente me ne ha ispirato un'altro; perciò, che dire, devi ringraziare questa folle storia anche per i miei lavori accademici!

Per quanto riguarda voi, che leggete e passate di qui, spero che non vi annoi troppo. Dopotutto siamo solo all'inizio e i fili devono ancora smuoversi. Un po' mi dispiace, sapete? Mi auguro che abbiate la curiosità e la pazienza di seguire le avventure/disavventure dei miei personaggi.

Ma in tutti questo che ne dite del cambiamento di Darrell? Come vi sembra da sobrio? L'ho detto io: "Non è tutto come sembra"!

Lasciatemi una stellina o un commento, se il capitolo vi è piaciuto, mi raccomando.

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