29 - Only One

Stare in quella stanza lo faceva sentire in colpa. Avrebbe pagato oro per farsi trasferire, per non vederlo ancora incosciente su quel maledetto lettino, ma gli era stato detto che non avrebbe potuto muoversi di lì per ventiquattrore. Si trattava di sicurezza, perlomeno così gli pareva di aver capito dopo la prima visita del dottore, perché entrambi avevano ingerito la stessa, terribile schifezza a causa di Abeigeal.

Così, guardandolo, iniziò a chiedersi se si sarebbe mai svegliato o se sarebbe rimasto in quello stato per sempre.

Le palpebre appena calate e le labbra schiuse, si voltò su un fianco, dando le spalle alla sedia vuota. Poi puntò lo sguardo sul suo profilo e mosse entrambe le mani verso il viso. Le strinse in due pugni incerti, inspirando a fondo l'odore del sangue misto a quello del disinfettante. E pensò a Gabriel, a Darrell, al dolore che aleggiava dietro al vetro della terapia intensiva.

Trattenne un singhiozzo, l'ennesimo, e chiuse gli occhi. Cullato dal suono del cardiofrequenzimetro di Simon, immaginò che la farsa sul suo nome, sulla sua memoria, sarebbe crollata molto presto. Perciò deglutì e, affondando il viso dietro le lenzuola, sperò che accadesse il più tardi possibile.

D'un tratto si sentì carezzare la testa e sobbalzò. Le parole ferme in gola e il battito accelerato. Si voltò di scatto, sentendo i muscoli della schiena tendersi all'unisono. Allora si accorse di essere ancora al sicuro, accanto a Darrell, e si rilassò contro il cuscino.

Un sospiro leggero gli scivolò dalle labbra.

«Come sta?» gli chiese, conscio del fatto che questi fosse appena tornato dal reparto di neurologia. Gli vide indurire i muscoli del viso e comprese di aver posto una domanda inutile. Allora si rabbuiò e cercò subito di scivolare verso l'alto per mettersi a sedere.

«Sta' giù, Rondinella...» mormorò lui, portando una mano sulla sua spalla per indurlo contro il materasso. Scosse il capo e sorrise, tirando le labbra il più possibile per sembrare rilassato; tuttavia non ci riuscì e, massaggiandosi una tempia, lo sentì sbuffare, divincolarsi, uscire dalle lenzuola. «Sta esattamente come stava quand'è arrivato in pronto soccorso» mormorò. «O, per meglio dire, dopo l'operazione.»

«Non so assolutamente niente di quello che è successo» borbottò.

Si umettò le labbra e prese a giocherellare con la flebo, mantenendo lo sguardo il più lontano possibile dal suo. Era certo che non sarebbe riuscito a sopportarne la vista, tant'era distrutto dal dolore, perché non sembrava neppure lui.

«Hai detto che c'è stato un incidente, non è vero?» continuò, incalzò. «E lui ha quei cazzo di tubi che gli escono dalla testa...» La voce rotta, spezzata da un singhiozzo trattenuto a stento. Inspirò a fondo, quasi si lasciò andare a un ringhio basso, tormentato. «Che diavolo è successo?»

«Un trauma cranico, così hanno detto» spiegò, passandosi una mano sul viso. «Sono dovuti intervenire subito. L'urto con il parabrezza ha causato una brutta emorragia al cervello, che ha aumentato la pressione intra-cranica» disse monocorde. Corrugando la fronte, si rese conto di aver usato un tono incolore e si lasciò scappare un suono divertito, di scherno verso se stesso, prima di scuotere la testa. «Non fanno che ripetere le stesse cose da ore, sto impazzendo» disse.

Le mani posate sugli occhi e un groppo in gola. Si nascose dalla vista di Randy e mugolò, trattenne le lacrime, deglutì per cacciare indietro la disperazione. Poi, quando sentì le sue dita posarsi su un ginocchio, non riuscì a percepire neppure l'ombra del conforto che avrebbe desiderato e gemette:

«Sai, lui è il maggiore». Le parole s'incastrarono sulla punta della lingua, faticarono a uscire, e poi, come una valanga, fluirono via tutte insieme: «Ho passato una vita a chiamarlo "Fratellino", a stargli accanto come se fossi il più maturo fra i due, a volergli un bene dell'anima. La verità è che non potrei vivere senza di lui.»

Respirò a pieni polmoni, sentendo un peso sul petto, e sollevò il mento, spostò lo sguardo sul soffitto, cercò di mantenere le palpebre aperte per non arrendersi di nuovo al pianto.

«Ci siamo sempre stati l'uno per l'altro, ci siamo sempre aiutati, sostenuti, sorretti nei momenti difficili.» Dalle sue labbra uscì un suono leggero, di pancia. «Alla fine, neppure Lucia è riuscita a dividerci davvero.» Storse appena le labbra, poi continuò: «Il nostro legame è più forte di qualsiasi cosa, è come la roccia». Ghignò, poi si passò entrambe le mani sulla stoffa dei pantaloni in un moto di nervosismo. «Per questo non riesco a credere che lui sia lì, inerme, mentre io, impotente, posso solo restare a guardarlo.»

«Vorrei poter fare qualcosa» si lasciò sfuggire Randy in un sussurro. «So che non è possibile, so che, se Gabriel si trova in quella stanza, è anche colpa mia. Ma vorrei davvero poter fare qualcosa.» Chinò la testa, puntando lo sguardo sulle proprie dita che, intrecciate attorno al tubo della flebo, sembravano quasi volerlo strappare.

«Se fosse possibile, te lo lascerei fare» mormorò. «Perché mentirei, se ti dicessi che non è vero, mentirei, se ti dicessi che stai sbagliando.» Si strinse nelle spalle e tirò appena su col naso. «Tutto questo, per assurdo, riguarda anche te; e Gabriel ci è finito in mezzo solo per proteggerti, visto che sin dall'inizio ha cercato di creare un'assurda campana di vetro in cui trattenerti.»

«E io non mi merito tutto questo» concluse. Mosse appena le labbra, echeggiando la sua delusione, le stesse parole che stentava a pronunciare e che, ne era certo, tratteneva sulla punta della lingua. Allora deglutì e ripeté: «Già, non merito tutto questo». Una piccola pausa, poi il fiume in piena: «Non sarei mai dovuto entrare in casa vostra, non avrei mai dovuto intromettermi nelle vostre vite». Si sedette ancora sul lettino, dando le spalle a Darrell, e sussurrò: «Perché, allora, hai mentito sul mio nome? Potevi liberarti di me, eppure non lo hai fatto».

Lui tentennò. Non seppe subito cosa rispondere e pensò a Gabriel. Si umettò le labbra, batté le palpebre e disse: «Non lo so, forse speravo che si risvegliasse subito, che mi chiedesse di te, che volesse continuare a scrivere quel fottuto libro». Si portò una mano alla nuca e, grattandola, aggiunse: «Come sai, se i tuoi genitori venissero a prenderti, la storia finirebbe qui».

«La storia, il libro...» echeggiò Randy, lasciandosi scappare un suono divertito, ironico. Sollevò il capo e guardò il profilo di Simon. Le labbra tremanti e un groppo in gola. «Quindi era davvero tutta una farsa.»

Serrò i denti e non ebbe il coraggio di aggiungere altro. Così, con lo sguardo fisso in avanti, si morse il labbro inferiore e s'impose il silenzio, sentendosi un vero idiota per aver creduto alle sue professioni d'affetto, a quello slancio incredibile, al finale de "Il Principe Felice".

«Di cosa stai parlando?» chiese Darrell crucciato.

Randy si strinse nelle spalle. Gli occhi lucidi e il sangue che gli rombava forte nelle orecchie. «Niente» mentì. «Ma pensi davvero che mi porterebbero a casa?» Storse le labbra in una smorfia. «Una volta mi dissi che avrei potuto parlare con te di mio padre, lo ricordi?» Attese qualche istante, poi, sospirando, disse: «Immagino di sì». Deglutì, ricordando nitidamente quel giorno. «È stato quando Gabriel si è rifiutato di ascoltarmi, quando mi sono presentato per la prima volta, quando hai origliato la nostra conversazione.» Infine chiese: «Lo ricordi?».

«Lo ricordo.»

«Bene, ne sono felice.» Sollevò amaramente un angolo delle labbra e sussurrò: «Sai, credo che finirebbe per firmare le mie dimissioni e lasciarmi sul marciapiede come fossi un cane randagio».

In quel momento, Darrell socchiuse le labbra come per rispondere, tuttavia non riuscì a dire una sola parola, perché Randy, schioccando la lingua, lo interruppe subito.

«Non lo hai ancora capito?» chiese retorico. «Mi ha cacciato, Darrell. Per lui sono solo un problema, un peso, qualcosa di cui deve disfarsi: un abominio, sì.» Fece spallucce, poi citò: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutte e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro». Restrinse lo sguardo, sentendo un nodo formarsi in fondo alla gola. «Poco importa se a me piacciano anche le donne, sono pur sempre un abominio, non trovi?»

Sentendo quelle parole, Darrell provò un terribile senso di colpa. «Non mi hai più parlato di lui da quando mi sono offerto di ascoltarti.»

«Ti sarebbe interessato davvero?» lo rimbeccò. «Oppure no? Magari era semplicemente un modo per fare il carino. Chi può dirlo.» Spostò lo sguardo verso il soffitto, sulle ormai accese lampade a neon. «Non sono il tipo di persona che si fida a occhi chiusi del prossimo, Darrell. E, per come sono andate le cose, puoi biasimarmi?» Le pupille ristrette, accecate dalla luce. Sperava di trovare un motivo per piangere, un motivo diverso dal dolore che provava in fondo al petto.

«Vuoi continuare a mentire?» chiese a voce bassa, con un cipiglio crucciato, incerto.

«E per cosa?» Si lasciò scappare un suono divertito. «Per te?» Indugiò, infine, scuotendo la testa, mormorò: «Non voglio essere di peso a nessuno, meno che mai a qualcuno che ha deciso di abbandonarmi. Puoi smetterla di fingere di tenere a me».

Al suono di quelle parole, lo sguardo di Darrell divenne cupo. «Fingere?» sputò. «Quando ti ho fatto intendere che stessi fingendo?»

«Quando, dici?» esplose lui, voltandosi a guardarlo di sottecchi. «Proprio adesso, Darrell. Forse non te ne sei reso conto, eppure mi hai trattato come una nullità, come se fossi solo un intralcio.»

Lui scosse la testa in un moto d'incredulità. Chiuse gli occhi e li riaprì poco dopo. «Assurdo» balbettò tra sé e sé. «Tu non sai cosa significhi per me essere qui» iniziò a dire sottovoce. «Non sai cosa significhi sapere che mio fratello, la persona che mi è stata accanto per una vita e a cui devo tutto, si trovi in bilico tra la vita e la morte a causa di chi amo...» Inspirò ed espirò profondamente, rendendosi conto solo allora di aver parlato troppo. «Eppure non riesco a odiarti.»

Distolse lo sguardo e indurì la mandibola. Gli occhi pieni di lacrime, si alzò dalla sedia senza aggiungere altro e, certo di non poter sostenere lo sguardo di Randy, uscì dalla stanza.

Dal canto suo, questi impallidì. «La persona che amo» ripeté piano, cercando quasi di assimilare quelle parole. Mosse appena le labbra come un pesce fuor d'acqua e si sentì un completo idiota. Strinse forte la presa sulle lenzuola e corrugò la fronte. «Vorrei che fosse ancora qui» si disse piano, con gli occhi spalancati, fissi sulla porta. «Che non fosse uscito, che non mi avesse lasciato da solo.» Deglutì a vuoto, mordendosi il labbro inferiore con rabbia, fino a farlo sanguinare. Poi chiuse gli occhi e gemette: «Altrimenti, quando arriverà il dottore, lui non potrà salutarmi».

L'eco del cardiofrequenzimetro, che segnava il movimento vitale di Simon, rintonò sordo, prolungato, facendo mancare un battito a Randy, il quale spalancò gli occhi e si voltò verso sinistra con le labbra socchiuse.

Non ebbe il coraggio di dire una sola parola, trovandole strozzate in gola; eppure, con gli occhi fuori dalle orbite, scattò nella direzione del pulsante che, attaccato al lettino, serviva per chiamare gl'infermieri.

Lo premette più volte, convulsamente, con affanno, iniziando a singhiozzare forte, mentre i denti stridevano tra loro e il respiro gli si bloccava nel petto.

E, lontano da lì, Darrell camminava lungo il corridoio del Royal Victoria Hospital. Le mani in tasca e i muscoli tesi, stanchi, che si muovevano al di là della camicia arricciata fino ai gomiti. Aveva lo sguardo assente, vitreo, tipico di chi avrebbe preferito trovarsi in un posto diverso.

Continuava a rivivere il giorno in cui Lucia aveva perso la vita; la corsa, l'arrivo, il silenzio di fronte al suo corpo ancora caldo. E temeva che avrebbe perso anche Gabriel.

Poteva sentirla, la solitudine. Dietro di lui, come un'ombra, dentro di lui, come un mostro.

All'improvviso sgranò gli occhi, e trattenne un singhiozzo. Le parole bloccate in gola, strette tra le corde vocali, mentre i piedi, veloci, si muovevano lungo le scale.

Senza voce, iniziò a scendere. Sembrava mosso da un'istinto primordiale, animalesco, irrazionale, con gli occhi pieni di lacrime e il cuore che minacciava di esplodere da un momento all'altro.

Avrebbe voluto urlare, forse imprecare, ma non era da lui; eppure, trovandosi di fronte all'insegna dorata della cappella del Royal Victoria Hospital, raggelò.

«Neppure questo è da me» si disse. Sentì le narici pizzicare appena, allargarsi e restringersi come quelle di un coniglio. E fu proprio così che si sentì: vigliacco, inutile e piccolo, mentre entrava in quella stanza piena di banchi di legno. Allora si guardò attorno spaesato, con il volto rigato, e scoprì di essere dannatamente solo. «Una fortuna» ghignò. Si prese in giro, cercò di sdrammatizzare.

Le sopracciglia tremule e le labbra tese, contratte. Deglutì un paio di volte, non riuscendo a ingoiare il masso che gli raschiava contro il palato. Poi si morse le labbra, tirò su col naso e si maledisse mentalmente per tanta stupidità.

«Perché sono venuto qui?» si chiese a mezza bocca, mettendosi a sedere al centro della cappella. Spostò lo sguardo verso il soffitto, puntandolo verso il crocifisso in alto, e trattenne il fiato per non esplodere in un ennesimo pianto disperato. Pensò a Gabriel, nascondendosi il viso tra le mani, e serrò i denti.

Grugnì. «Dovrei sperare qualcosa, giusto? Pregare, forse. Ma come cazzo si fa?» sbottò. «Il fatto è che non posso sperare qualcosa. So solo che non è giusto, che lui non può trovarsi in quella stanza, che non può rimanere lì.» Una pausa, i battiti del cuore nelle orecchie. «Deve uscire, trattarmi come un idiota, magari anche odiarmi. Mi sta bene tutto, ma non può rimanere lì.» Gemette, sbattendo il tacco della scarpa contro la panca e continuando rabbioso, a denti stretti: «Lo pretendo, non lo chiedo, perché se è vero che esisti, Dio, mi devi fin troppo!».

Si bloccò all'improvviso, sentendo il suono dei passi di qualcuno avvicinarsi. Così, con affanno, allargò le palpebre e si riscosse. Chinò la testa, cercando di nascondersi, e tentò di regolarizzare il proprio respiro.

Accanto a lui si sedette una donna, la quale mormorò: «Devi essere davvero arrabbiato».

Sentendola, Darrell storse appena le labbra. Si portò una mano al viso e si asciugò sbrigativamente le lacrime. «Non che la riguardi» disse, senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Poi si alzò e, poco prima di allontanarsi, gli parve di vederla sorridere con la coda dell'occhio. Corrugò la fronte, sentendosi deriso, e, a un passo di distanza, la guardò di traverso. «Ci conosciamo?» chiese torvo.

«Chi può dirlo.» Lei sollevò le spalle in un movimento leggero e sorrise ancora, accentuando la voluttà del rossetto color corallo. Batté le palpebre una sola volta, poi si sistemò i capelli biondi dietro il collo. «È possibile, dopotutto il mondo è piccolo.»

Guardandola, provò una strana sensazione. «Chissà... Mi auguro che lei possa trovare il conforto che cerca» disse piano, sollevando lo sguardo verso il soffitto della cappella. Allora la sentì ridacchiare e strabuzzò gli occhi confuso.

«Questo posto è silenzioso, è per questo che mi piace tanto» gli confidò lei con un'alzata di spalle. «Spero di non averti offeso, Darrell.»

A quel punto poté solo socchiudere le labbra. «Come?» balbettò.

«Ho detto che spero di non averti offeso» ripeté lei, mostrandosi più ingenua. «Perché?»

«Il mio nome» disse. «Lei conosce il mio nome.»

«Affatto» negò, scosse perfino il capo.

Darrell inspirò ed espirò profondamente, portandosi una mano alla testa. Si sentì confuso, frastornato, e, senza aggiungere altro, uscì di corsa dalla cappella.

Fu in quel momento che, dopo quasi due giorni, i suoi occhi si aprirono di nuovo.

Note:

Ciao, ragazzi!

Per la prima volta da quando ho iniziato a scrivere questa storia, ho pianto!

Ebbene sì, è arrivato il momento anche per me, anche per questa storia, ma direi che è anche il momento; se non adesso, quando?

E, dopo ventinove capitoli, anche questo traguardo lo abbiamo raggiunto. Olè.

Spero che vi piaccia, perché ci ho messo davvero tutta me stessa, tutto il sentimento che avevo dentro!

Se ve lo state chiedendo, la risposta è "Sì, ho pensato a un sequel". Ma ora vorrei sapere da voi se ne vale la pena, se siete curiosi di sapere come la storia deve andare avanti...

Cosa ne pensate? Lasciatemi un commento o una stellina, mi raccomando, che ci tendo particolarmente!

Un bacione e grazie, grazie davvero di avermi seguita fin qui!

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