2 - House Of The Rising Sun

Il tepore di Casa Graham sembrava una promessa in fondo a Knock Eden Park, un piano terra illuminato a giorno, che spiccava nella zona residenziale di Belfast, con una struttura imponente, senza timore di essere vista o giudicata per la sua bellezza.

Ed erano giorni che Randy non si scaldava in un posto chiuso, un posto che non fosse una caffetteria da quattro soldi, perciò, guardandola da lontano, si sentì quasi come un bambino in un negozio di caramelle: emozionato, desideroso di scoprirla. Non si aspettava una temperatura quasi equatoriale al suo interno e non immaginava che, una volta aperta la porta, Gabriel avrebbe fatto in modo che questa arrivasse loro come uno schiaffo in pieno volto; così si disse che, molto probabilmente, questi doveva aver lasciato acceso il termostato al massimo prima di uscire.

Un lungo brivido gli percorse la schiena per colpa della differenza di temperatura e lui si strinse maggiormente nel cappotto bagnato mentre muoveva qualche passo nell'ingresso illuminato a giorno.

La domanda gli sorse spontanea: «Sei solito lasciare casa in questo stato tutte le volte?».

Gabriel scosse la testa come se trovasse la cosa particolarmente divertente, dopodiché negò: «Affatto, sarebbe uno spreco inutile d'energia». Vide Randy aggrottare le sopracciglia con sospetto. Sospirò e, dopo aver tentato, per quanto possibile, di pulire le scarpe sullo zerbino esterno, disse: «Credo che in casa ci sia mio fratello». Allora chiuse l'ombrello blu notte e lo abbandonò nel portaombrelli vicino la porta.

Randy esclamò un semplice: «Oh». Di certo non immaginava che un uomo come lui potesse vivere da solo, con suo fratello, in una casa del genere.

«Cosa c'è, ti ho sorpreso?»

Scosse veloce la testa e mormorò un: «No». La verità era che, vista l'età e l'eleganza di Gabriel, lo aveva immaginato sposato fin dal principio, magari con uno o due bambini piccoli; ma non voleva pensarci, non mentre l'escursione termica continuava a fargli avvizzire le braccia, facendole somigliare a zampe di gallina. Distolse lo sguardo da lui per farlo vagare nell'ingresso e scoprì che non ospitava nulla di particolare: era molto comune, a suo dire, anche se opulento.

«Già di ritorno, Fratellino?» chiese una voce in lontananza. Ad accompagnarla, il suono di passi scalzi sul pavimento in legno.

Randy spostò lo sguardo verso il corridoio illuminato, cercando di capire a chi appartenesse quel tono scanzonato, e fece calare appena le palpebre per affinare la vista. Poi, mettendo a fuoco la figura in lontananza, vide un uomo sulla trentina, qualcuno senz'altro più giovane del cinico antropologo vestito Dior, che lo aveva trascinato a forza in casa sua; un taglio di capelli nettamente più corto e sbarazzino del sedicente fratello, faceva ondeggiare un bicchiere di quello che si sarebbe detto un liquore qualsiasi nella sua mano sinistra.

«Tuo fratello mi piace già» commentò sottovoce, desideroso d'indispettire Gabriel, il quale, di tutta risposta, arricciò il naso e chiuse la porta con uno scatto brusco.

«Sei già ubriaco alle cinque del pomeriggio?» borbottò. Ma non desiderava una vera risposta, la conosceva già. «C'è qualcosa che posso fare per staccarti dalla bottiglia?»

«Chiedere alla produzione di Scotch di non produrre» rispose a gran voce. S'interruppe a qualche passo dall'ingresso, facendo vagare lo sguardo sui presenti e posando una spalla contro il muro vicino. Poi, con una punta di divertimento, accennò un ghigno sardonico e mirò con lo sguardo in direzione di Randy. «Piuttosto, Fratellino, c'è qualcosa che posso fare per farti smettere di andare a pesca? Inizia a diventare strano, sai, vederti entrare con persone diverse e disastrate... Si può sapere che fine fai fare loro?»

Sotto lo sguardo allarmato di Randy, si scolò il resto del Single Malt. Vuotò il bicchiere e ne osservò il fondo con aria assorta.

Gabriel restrinse lo sguardo, fin troppo irritato per replicare veramente. Se l'intento di suo fratello era quello di rovinargli l'umore, ci era riuscito anche più delle cinquecentoventi sterline di danno. «Lui è Darrell, il mio purtroppo fratellastro minore; a scuola gl'insegnavano ad ammaestrare i criceti (1), e questo spiega molte cose» mormorò all'indirizzo di Randy, prima di sospingerlo verso il corridoio.

«Oh, sì, e avresti dovuto vedere che acrobazie facevano i miei criceti!» esclamò questi con una risata strozzata. «Fratellino, sei impossibile: non riesci nemmeno a offendermi come si deve...»

«Ti offendi da solo, riducendoti in questo stato pietoso» sputò Gabriel seccato. Non degnò Darrell di uno sguardo e passò oltre, incamminandosi lungo il corridoio, mentre Randy storceva le labbra con perplessità per la scena cui aveva appena assistito; la riteneva sciocca, infantile, pietosa, e, a giudicare dall'età dei due protagonisti, addirittura grottesca.

Un fuori contesto, sì, qualcosa che lasciava presagire ci fosse sotto del non detto.

Sospirò stancamente. Ne aveva piene le scatole di persone come Gabriel Graham, persone che pensavano di essere superiori al prossimo per chissà quale assurda ragione. Non che avesse intenzione di stare dalla parte di Darrell, beninteso, dopotutto non lo conosceva e non conosceva neppure uno dei fatti che bollivano in pentola; tuttavia Gabriel aveva dei precedenti con lui: si era comportato male in strada e aveva cercato di apparire dapprima gentile per poi calare la maschera e mostrarsi un vero despota. «Dove mi stai portando?» chiese monocorde.

«Nel mio studio, è ovvio. Prima iniziamo a lavorare all'intervista e prima possiamo passare alla stesura del libro.»

«Tu puoi» lo corresse Randy con un'occhiata di biasimo. «Non "possiamo", vuoi dire "posso".»

«Posso» ripeté, strozzando uno sbuffo frustratoe e non potendo fare a meno di chiedersi quale fosse la ragione di tanto ostracismo da parte delle persone a lui vicine.

Così, in un borbottio, Randy si lasciò sfuggire: «Ti sei già dimenticato l'antipiretico, tipico...».

Gabriel lo sentì, ma non fermò ugualmente la sua traversata lungo il corridoio. Sospinse delicatamente Randy con maggior convinzione, desiderando unicamente una cosa: allontanarlo da Darrell. Aveva il terrore che questi si accorgesse dei suoi occhi di giada e della loro somiglianza con quelli di Lucia; un timore sciocco, forse, inspiegabile anche per lui, che tuttavia bastò a condurlo velocemente presso la porta dello studio del piano terra. «Puoi sistemarti qui, sul divano» disse sbrigativamente, dopo aver abbassato la maniglia e aver mosso un paio di passi in avanti. «Tra non molto ti porterò delle coperte e dei vestiti asciutti, così avrai modo di rinfrescati nel bagno attiguo.» Lo indicò, voltandosi poi nella direzione di Randy. «Domani mattina inizieremo a parlare di te.»

Sentendo quelle parole, Randy batté le palpebre un paio di volte e raggiunse Gabriel all'interno dello studio. Si guardò intorno e non disse una parola, annuendo controvoglia. Avrebbe voluto ringraziarlo, quantomeno avrebbe dovuto, ma non era così certo delle intenzioni che aveva palesato nei suoi confronti. Essere il soggetto di un libro lo faceva sentire come una cavia in un laboratorio farmaceutico e gli metteva i brividi. Storse appena le labbra e fece spallucce, borbottando un: «Okay».

«Non essere troppo allegro, mi raccomando» ironizzò con un sorriso sornione. «O potrei pensare che tu abbia spiato le mie mosse e ti sia stabilito lì in terra con l'intento d'irretirmi e mettere piede qui dentro.»

Se possibile, lo sguardo di Randy s'incupì ancora di più. Non poteva credere di aver sentito una cosa tanto idiota, perlopiù pronunciata dalle labbra di un sedicente antropologo, un adulto, una pseudo-persona-perbene. «E tu dovresti essere un esperto della natura umana? Sei un fallimento per l'intera categoria, lasciatelo dire» sputò.

Gabriel aggrottò le sopracciglia contrariato e disse: «Se c'è qualcosa che ti disturba tanto perché non me lo dici chiaramente?».

«Pensi davvero che possa bastare parlartene o credi che dovrei anche farti un disegno per essere più esplicito?» Restrinse lo sguardo, poi lo distolse scocciato, non riuscendo a sostenere quello azzurro di Gabriel; era così dannatamente estraneo all'argomento da fargli schifo.

«Non posso leggerti nel pensiero, Randy» sbottò questi. «Sei così scostante con me...» Prese una piccola pausa, cercando i suoi occhi al punto da girargli attorno e sollevargli il mento tra indice e pollice. Allora deglutì e, immobilizzato dalla sua furia, si sentì stranamente piccolo e sciocco, specchiandosi nelle sue pupille, che riuscì a dire soltanto: «Parlami».

«Domani» disse secco. «Lo hai detto tu, no? Domani parlerò di me e tu scriverai o registrerai quello che vuoi per non so che diavolo di libro.»

Un brivido scivolò lungo le braccia di Gabriel e, mentre Randy si liberava della sua presa, lui non poté fare a meno di osservarlo. Lo vide avanzare deciso verso la porta chiusa del bagno, togliersi il cappotto fradicio e lasciarlo cadere in terra come fosse casa sua. E non disse una parola; al contrario, rimase imbambolato come un moccioso, fin quando il bussare alle sue spalle non lo fece sobbalzare.

«Ti sei portato a casa una puttana?» domandò un alticcio Darrell, fermandosi sull'uscio. «Non sarebbe la prima volta, Fratellino, ma realizzo solo ora che non si tratta di una donna. Devo forse credere che tu abbia cambiato gusti a letto? Non me lo aspettavo da un tipo abitudinario come te...»

Il fatto che Randy si fosse ormai chiuso la porta alle spalle non fece che tranquillizzare Gabriel, portandolo a sospirare pesantemente e senza il benché minimo briciolo di eleganza. «Più passa il tempo e più mi pento di averti fatto rimanere in questa casa» commentò acidamente, senza nemmeno voltarsi nella sua direzione.

«Ma non puoi buttarmi fuori, il tuo cuore è troppo grande!» esclamò, allargando entrambe le braccia e staccandosi dal montante cui era adagiato mollemente. A quel punto incrociò lo sguardo di Gabriel e ghignò senza pudore. «A me puoi dirlo: vuoi scopartelo?»

«Cielo, no!»

Darrell sollevò entrambe le sopracciglia perplesso. «Perché lo hai portato a casa? Puzza come un cane bagnato, ha buttato i suoi vestiti in terra, nel tuo studio, e non so cosa è andato a fare lì in bagno» disse, sollevando la mano, che stringeva ancora il bicchiere vuoto di Scotch. «Devi ammettere che lo scenario è uno dei più fraintendibili, Fratellino.»

«Non tutti ragionano con il secondo cervello» borbottò Gabriel seccato. «Io preferisco usare il primo, lo preferisco decisamente, e si dà il caso che il nostro ospite sia qui per fini puramente scientifici.»

«Scientifici, eh...» ripeté tra sé e sé. «In pratica hai intenzione di psicanalizzarlo o una roba simile.» Attese una risposta senza ottenerne alcuna e restrinse lo sguardo per poi sbuffare indispettito. «Probabilmente non sai un bel niente di quel ragazzino: lo avrai trovato in strada come un cane abbandonato e avrai finto di adottarlo fin quando lui non ti avrà morso la mano; allora ti sarai imposto e lo avrai obbligato a seguirti con una scusa idiota. Sì, conoscendoti sarà andata sicuramente così.» Scosse la testa con biasimo e fece spallucce. «Mi fa davvero pena. Magari non aveva la benché minima voglia di seguirti, di venire fin qui, e tu avrai buttato giù la solita, utopistica, idea del libro.»

Gabriel sollevò un indice per ammonire Darrell e sgranò gli occhi. «Non azzardarti!» lo fulminò. «Quel libro non è utopistico, è un saggio perfetto che sta solo aspettando di trovare il soggetto perfetto.»

«Ah!» Mosse un piede in avanti, battendolo sul parquet in modo a dir poco infantile, mentre indicava Gabriel come se avesse appena scoperto un'insospettabile verità. «Sei pessimo, Fratellino, davvero pessimo, lasciatelo dire.»

Lui serrò i denti e si trattenne dal rispondere. Grugnì, udendo poi in lontananza il suono dell'acqua, che scrosciava nella doccia. Così distolse lo sguardo da Darrell, lo roteò con fare infantile e storse il naso, pronto ad allontanarsi dallo studio per fare ciò che aveva promesso a Randy. «Esci di qui, per favore» borbottò quando lo raggiunse sull'uscio della porta. «Devo andare a prendere delle coperte e dei vestiti per il nostro ospite.»

«Il nostro ospite ha anche un nome?» chiese in un piccolo barlume di lucidità mentre sollevava il capo di quei pochi centimetri che lo separavano da Gabriel.

«Si chiama Randy» disse velocemente, spingendolo in corridoio. «Ma limita le tue interazioni al minimo indispensabile, grazie.»

«Sicuro di non averlo portato qui per scopare?» indagò con un sopracciglio sollevato. «Da dove nasce tutta questa gelosia? Non ho certamente intenzione d'interferire con i tuoi fini puramente scientifici» citò infine.

Senza neanche rispondere, Gabriel lo abbandonò in corridoio per dirigersi verso le scale che conducevano al piano superiore, certo che avrebbe potuto andarsene o seguirlo; tuttavia non accadde nulla di tutto questo.

Darrell, dopo essersi guardato attorno con aria assorta, decise d'indagare infantilmente sulla misteriosa identità del loro ospite e, totalmente privo di qualsivoglia controllo fraterno, decise di fare uno scatto felino verso il cappotto di Randy. Lo sollevò da terra, iniziando a studiarlo circospetto. «Puzza terribilmente» borbottò tra sé e sé, arricciando il naso, prima di sedersi sul parquet a gambe incrociate.

Come un bambino curioso, prese a guardare nelle tasche e non mostrò il minimo rispetto per il concetto di privacy; per lui, in quel momento, non esisteva altro che l'ava scoperta. Doveva assolutamente sapere chi diamine si era portato in casa Gabriel e doveva farlo prima che questi scrivesse chissà quale delirante libro.

«Sono finiti gli asciugamani» disse Randy, facendo capolino dalla porta del bagno. Allora s'immobilizzò nell'eco dello scroscio della doccia. Le dita strette sul montante della porta e gli occhi sgranati, fissi sulle spalle di Darrell. «Che cazzo stai facendo?» sbottò contrariato.

«Niente, tranquillo» mentì lui. Sollevò perfino le mani in segno di resa e si finse innocente, mentre il cappotto gli finiva pesantemente sulle cosce.

Ma quella blanda spiegazione, ovviamente, non gli bastò: era troppo palese che stesse mentendo, o perlomeno così si disse da esperto, riuscendo a fiutare le idiozie lontano un miglio. «Non ho soldi con me, se sono quelli che stai cercando» gli fece notare. Aveva già visto qualcuno con le mani nella marmellata, ma di sicuro quel qualcuno non era né così elegante, né ubriaco.

«Pensi davvero che sia così idiota da derubare qualcuno che mio fratello ha palesemente raccolto dalla strada?» Storse le labbra con disappunto, poi scosse la testa come rafforzativo e, divertito, aggiunse: «È ovvio che tu non abbia un soldo bucato, specie nelle tasche del cappotto, o non lo lasceresti così incustodito».

«Grazie della fiducia...» replicò secco Randy.

«Sono solo un acuto osservatore, non volermene.» Nel dirlo, Darrell si sospinse un poco all'indietro e posò entrambi gli avambracci sul parquet. Sospirò e reclinò la testa in una posa a dir poco scomposta.

«Dunque ti stavi solo facendo gli affari miei.» Lo sentì mugugnare in tutta risposta, perciò restrinse lo sguardo, schioccò la lingua e disse: «Dovevo pensarci prima: tale e quale a tuo fratello».

«Così mi offendi» scherzò lamentoso.

«Offesa meritata.»

Darrell si lasciò sfuggire una risatina sincera, poi spostò il cappotto di Randy in terra. «Fa nulla, me la sono cercata, hai ragione. Lo rimetto dov'era.»

«Sarà meglio» grugnì.

«Gli asciugamani sono nel mobile alla tua destra» rispose, tornando implicitamente indietro nel tempo e facendo le veci di Gabriel. «Quello color panna» precisò prima di tornare ritto con le spalle. Allora s'issò in piedi e barcollò appena, aggiungendo: «Prendi pure quello che preferisci; anzi, prendili tutti. Io ora ho da fare, quindi ti saluto».

Randy non rispose, lo guardò soltanto con una punta di sospetto, mentre questi si allontanava con passo incerto verso il corridoio.

Poi, una volta rientrato in bagno, posò la fronte sulla superficie lignea e sospirò. I capelli bagnati, l'acqua che cadeva in lunghi rivoli scomposti attraverso le linee che aveva tracciato dall'alto della doccia. «Che gente strana» si disse.

Rabbrividì sul posto, infine si voltò verso il mobile che Darrell gli aveva indicato e allungò una mano per aprirlo, andando subito alla ricerca del famigerato asciugamano. Era nudo, solo, improvvisamente pieno di quei ricordi che tanto lo tormentavano. E non era poi così diverso da quando se ne stava lì, seduto contro la saracinesca di quel negozio in vendita, sotto la pioggia, perché nessuno avrebbe potuto toccarlo, ferirlo, distruggerlo ancora una volta.

«'Fanculo, sai che importa» borbottò strofinando velocemente l'asciugamano sulla testa.


Note:

Ciao a tutti!

In questo secondo capitolo ho avuto il piacere di presentarvi Darrell Graham, un personaggio controverso, che mi farà penare per tutti i capitoli che verranno, ma che allo stesso tempo adoro con tutta me stessa. Lui è diverso da suo fratello, si vede, ed è proprio questo che lo rende tanto affascinante - ha il fascino del disadattato, almeno a primo acchito; ma non lasciatevi ingannare dalle apparenze: non è tutto come sembra, perciò non lo considerate così male, ve ne prego...

Grazie di aver letto fin qui. Spero di avervi incuriosito almeno un po'. Se così fosse, lasciate un commento o anche solo una stellina!

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