18 - Fade Into You
Dopo aver parlato con Simon Burke, Randy si chiuse in un impenetrabile silenzio e cercò di distrarsi con la lettura dei "Racconti del terrore"; tuttavia non ci riuscì e continuò a fissare il suo biglietto da visita a momenti alterni, mordicchiandosi l'interno delle guance e grugnendo tra sé e sé.
Infine, disturbato da Darrell, si decise ad abbandonare il salone per salire in camera e barricarsi dentro fino all'ora di pranzo, momento in cui, a causa della fame, si decise a scendere.
Fu allora che vide Gabriel: era seduto a tavola, con ancora gli occhiali da riposo sulla sommità del naso e un'espressione assorta. Così si disse che, molto probabilmente, era stato impegnato nella stesura di una qualche bozza fino poco prima.
Deglutì e, muto come un pesce, abbassò il capo in un moto d'imbarazzo; non poteva fare a meno che pensare a quello che era successo quella notte e alle parole di Simon. Arrossì appena e distolse lo sguardo, puntandolo sul proprio piatto di verdure, che subito prese a pungolare con la forchetta.
Lui lo guardò e storse appena le labbra. «Dove siete stati questa mattina?» chiese.
Darrell non rispose, continuando a sistemare le porzioni in tavola e lanciando un'occhiata veloce a Randy, il quale si strinse nelle spalle e mugolò solo un:
«In giro».
Allora Gabriel si guardò attorno con fare spazientito e aggrottò le sopracciglia in direzione di Darrell. «Sono stato con Logan tutto il tempo» gli ricordò. «Ho il diritto sapere che avete fatto, non credi?»
«Per quanto mi riguarda non ci sono problemi, ma pare che lui non voglia dirtelo.» Darrell accennò nella direzione di Randy con il capo. «Quindi non è con me che devi prendertela, Fratellino.»
Questi sospirò e si tolse gli occhiali, appoggiandoli accanto alle posate. «Sei arrabbiato con me, Randy» domandò. Il tono calmo, gentile. Aveva il timore che non avesse superato ciò che era accaduto quella notte e si sentiva terribilmente in colpa. Posò le mani sul bordo del tavolo e lo guardò, restando in attesa.
«No, affatto.» Infilzò un cavolfiore e se lo portò alle labbra senza fare complimenti, considerato chiuso il discorso.
«Cosa c'è che non va, allora? Perché non parli? Di solito sei molto loquace» incalzò.
Darrell aveva una mezza idea in proposito, per questo aveva cercato di attirare la sua attenzione battendo il ferro fintanto che era caldo. Tacque, sospirando, e si mise a sedere accanto a Logan, il quale, sul seggiolone, affondava il cucchiaino in lattice nella pastina al sugo.
«Non ho nulla» mentì. «È solo che non ho voglia di parlare.» Ingoiò un altro boccone, poi aggiunse: «Tu, piuttosto, cosa mi dici al riguardo del lavoro?».
Sentendo quelle parole, Gabriel batté le palpebre e, incuriosito, lo guardò con le sopracciglia sollevate. «Hai incontrato Simon, per caso?» Non disse altro, ma avvicinò la mano destra alla forchetta e la sollevò lentamente.
Darrell non riuscì a trattenere un suono divertito. Scosse la testa, fulminato dall'occhiataccia di Randy. «Non è stupido» disse a sua discolpa. «Lo sapevi che, prima o poi, sarebbe giunto a questa conclusione anche da solo.» Fece spallucce, poi si voltò verso Logan e gli tolse il cucchiaino di mano per iniziare a imboccarlo.
«Avresti potuto evitare di confermare la sua tesi» lo rimproverò, arricciando il naso irritato. Poi sbuffò e roteò gli occhi. «Sì, ho incontrato Simon» borbottò all'indirizzo di Gabriel. «Contento?»
Lui sospirò e scosse la testa in segno di negazione. «Al contrario» disse. «Avrei preferito che passassi una giornata piacevole, anche se in compagnia di mio fratello, non con un peso addosso.» Prese una piccola pausa e posò la forchetta sul bordo del piatto, sentendo improvvisamente un nodo all'altezza dello stomaco. «Cosa ti ha detto?»
«Che sei in ritardo con il lavoro» minimizzò, continuando a ingozzarsi senza alzare lo sguardo. «Perché me lo chiedi?»
Era certo che stesse mentendo, in fondo conosceva Simon troppo bene per sperare in una sua discreta uscita di scena. «Sei troppo assorto» commentò sottovoce, attirando l'attenzione di Darrell, il quale lo guardò con la coda dell'occhio. «Non vorrei che ti avesse importunato con qualche sciocchezza.»
Randy fece spallucce e, con il boccone in bocca, borbottò: «Non ha le palle per farlo. Credo che abbia paura di me, perciò non preoccuparti. Dopotutto io sono un animale selvatico; o qualcosa di simile, non ricordo bene. Una persona come lui non mi darebbe mai troppa importanza.» Gesticolò con la forchetta, poi tornò a giocare con le verdure.
Allora Darrell corrugò la fronte e storse le labbra in una smorfia. Non volendo, fece ridere Logan, il quale batté le manine e si lasciò imboccare tranquillamente di fronte alla sua smorfia.
Gabriel si massaggiò la sommità del naso, poi sospirò. «Non sei affatto un animale» lo contraddisse. «Simon parla a sproposito, alcune volte. Pensavo che ormai lo avessi capito.»
«Stavo solo facendo ironia» mormorò, gesticolando di nuovo con un broccolo. «Ma, se anche lo pensasse, per me non fa alcuna differenza.» Si strinse nelle spalle e, con noncuranza, tornò a mangiare. Gli occhi bassi, gli avambracci posati sul bordo del tavolo.
«Dobbiamo per forza parlare dello Stronzo?» intervenne Darrell. «Lo sai che non lo sopporto.» In tutta risposta, ottenne un'occhiata complice da parte di Randy e un accenno di sorriso. Sorrise a sua volta, venendo subito intercettato da Gabriel, il quale restrinse lo sguardo e si alzò da tavola senza dire una parola.
Randy deglutì, conscio di averlo offeso, e chinò ancora lo sguardo per puntarlo nel proprio piatto. Udì i suoi passi e li sentì rimbombare nelle orecchie, nel petto. Così chiuse gli occhi e prese a mordicchiarsi il labbro inferiore, dandosi dello stupido. Avrebbe potuto dirgli la verità, vuotare il sacco, eppure, come un vero idiota, non lo aveva fatto.
«Simon deve averti detto qualcosa di terribile» borbottò Darrell, quando fu finalmente da solo con lui. Lo guardò con una punta di curiosità, sperando che si aprisse, tuttavia non accadde e provò a incalzare con un: «Mi chiedo cosa, visto che non riesci neppure a dirlo».
Allora Randy schioccò la lingua sul palato e arricciò le labbra, schiacciandosi bene contro lo schienale della sedia. «Non ti facevo tanto impiccione» disse aspro. «Ma forse avrei dovuto intuirlo sin da quando avevi messo le mani nelle tasche del mio cappotto.»
«In quel momento eri solo uno sconosciuto, che era stato appena portato in casa da mio fratello, e io ero ubriaco» gli fece notare con un cipiglio crucciato. «Quand'è che mi perdonerai per averlo fatto?» Sollevò un sopracciglio con fare contrariato, e subito gli vide fare spallucce. Sospirò, poi riprese: «Stai divagando, Rondinella. È possibile che non ti fidi di me dopo tutto quello che è successo tra noi?».
«Forse è proprio per questo, per tutto quello che è successo, che non riesco a fidarmi» sussurrò.
Gli sembrò che Darrell stesse per perdere la calma, ma poi lo vide concentrarsi su Logan e capì che stava cercando solo un modo per sfuggire al suo sguardo, per smaltire la rabbia e leccarsi le ferite.
Era consapevole di aver esagerato, tuttavia non ritrattò e, anzi, continuò a mangiare in silenzio fin quando non ripulì tutto il piatto. Solo allora si decise ad alzarsi e lasciò la sala da pranzo in totale silenzio. La testa piena di pensieri e le parole di Simon marchiate a fuoco nella coscienza, nel petto, laddove sentiva il cuore battere troppo velocemente. Gli facevano male, lo turbavano, lo rendevano inquieto.
Per questo non riuscì a fare altro che serrare i denti di fronte a Gabriel quando, aperta la porta della propria stanza, se lo trovò di fronte.
«Perché sei qui?» domandò sorpreso, battendo le palpebre un paio di volte. «Non dovresti essere impegnato nella stesura dell'incipit?»
«Volevo parlarti» iniziò a dire, alzandosi dalla sedia, che aveva spostato di fronte alla scrivania. «Ma ero sicuro che, se solo avessi provato a chiedertelo, ti saresti rifiutato di seguirmi nello studio. Così ho deciso di aspettarti.»
«Un'imboscata» commentò in uno schioccò. Scosse la testa, avvicinandosi con passo fermo, e lo guardò dal basso a causa del la differenza di altezza che li separava. «Bene, allora, sono tutto orecchie.» Incrociò le braccia al petto e attese in silenzio.
Gabriel si portò una mano al viso, di fronte alle labbra, e poi si schiarì la voce. Disse: «Voglio crederti, quando dici che non sei arrabbiato con me, però non lo dimostri».
«Cosa dovrei fare per dimostrarlo?»
«Non c'è un modo per dimostrarlo o meno, Randy.» Si umettò le labbra e continuò: «Ma ho promesso che ti starò vicino. Non posso tornare indietro, perciò vorrei essere perdonato».
«Ti ho già perdonato» mormorò. «C'è altro?» Distolse lo sguardo e gli sentì dire:
«Sì, la questione di Simon. So che lo hai incontrato fuori casa, quando sei tornato con Darrell, ma non so cosa ti ha detto di preciso. Mi piacerebbe saperlo, se possibile».
«Mi stai costringendo a dirtelo, in pratica» disse a mezza bocca, arricciando il naso piccato.
«No, non lo sto facendo.»
«Che bugiardo» lo apostrofò. «Ti sei sentito? Mi aspetti in camera, mi riempi di domande, insisti affinché ti dica cosa volesse da me e fai leva sul mio senso di colpa. Cosa credi che sia, questa, se non una costrizione?» Aggrottò le sopracciglia e storse le labbra in una smorfia delusa. Poi sbuffò frustrato e distolse lo sguardo dal suo volto per posarlo altrove. Intercettò il movimento sospetto della sua mano destra, che cercava di nascondersi in una tasca, e scattò istintivamente nella sua direzione, afferrandolo per il polso. Occhi negli occhi con lui, sibilò un: «Cos'hai lì?».
«Niente» mentì spudoratamente e serrò le labbra, indurendo i muscoli del volto. Divenne una statua di sale e s'irrigidì, facendo in modo che il braccio s'immobilizzasse e la mano calasse completamente nel pantalone.
Randy allargò furioso le narici e pensò subito al biglietto da visita di Simon, certo di averlo lasciato nel libro Edgar Allan Poe per segnare la pagina. Abbandonò il polso di Gabriel e restrinse lo sguardo, poi si diresse verso la scrivania per controllare; eppure, a un passo dalla stessa, venne bloccato dalle braccia di Gabriel.
Era un contatto strano, per nulla minaccioso, quasi possessivo e implorante: un abbraccio. Il suo petto contro la schiena, il respiro che gli solleticava la nuca, le mani premute sull'addome.
Avvampò e gelò sul posto senza riuscire a pronunciare una sola parola.
«Scusami, non avrei dovuto farlo» sussurrò Gabriel.
Lui chiuse gli occhi per un attimo e ricordò le parole di Simon, sentendosi mancare il respiro nel petto. Allora si morse il labbro e si diede dell'idiota. Non solo non credeva possibile una cosa del genere, ma, se anche fosse stata reale, l'avrebbe detestata, perché frutto di un'illusione. «Lo sai, vero, che io non sono Lucia?» si lasciò sfuggire piano. Aveva il cuore in gola mentre pronunciava quelle parole.
E Gabriel rimase immobile. Impallidì, non seppe cosa dire. Si trovò spiazzato di fronte a un'accusa del genere. «Come puoi pensare che io ti veda in questo modo?» chiese. «Io so benissimo chi sei, Randy.»
Questi serrò i denti e batté le palpebre. Aveva gli occhi lucidi, perché avrebbe tanto voluto credergli, ma non riusciva a farlo; non dopo quello che gli aveva detto Simon.
«È stato lui a metterti in testa queste strane idee?» mormorò. «Simon, dico. Lui ti ha detto che, quando ti guardo, non ti vedo per quello che sei, ma come Lucia?»
Indugiò nel rispondere, perché sapeva che, se avesse detto una parola di troppo, avrebbe potuto creare dei grossi guai. «No» mentì. «È una mia idea. Di certo non è a me che pensi quando ti fai le seghe, no?»
«Questo cosa c'entra adesso?» balbettò imbarazzato, abbandonando la presa e sentendolo sgusciare via. Batté le palpebre un paio di volte, poi si fece rubare il biglietto da visita dalla tasca dei pantaloni senza opporre resistenza e si schiarì la voce con un colpo di tosse.
«Non posso restare qui.»
Sgranò gli occhi e socchiuse le labbra, restando immobile di fronte al suo sguardo serio.
«Non posso restare in questa casa, Gabriel. Io non sono Lucia, non voglio essere Lucia e non voglio continuare a farmi prestare le cose da te come un mantenuto.» Abbassò gli occhi e li puntò al suolo, non riuscendo a sostenere lo shock e la delusione che aveva dinanzi. «Perciò farò come mi ha suggerito Simon.»
«Vuoi andare da lui?» Lo vide annuire e rimase letteralmente a bocca aperta.
«È la soluzione migliore» disse. «Tornerò con lui a casa di mia nonna per prendere dei vestiti, così non gli sarò di alcun peso, e mi sdebiterò non appena divideremo i soldi del libro.» Si sentì afferrare per le spalle e sollevò la testa istintivamente, di scatto. Gli occhi fissi in quelli di Gabriel e le labbra socchiuse.
«Non voglio che tu te ne vada.»
«Non dire sciocchezze» biascicò impacciato. «Non c'è motivo perché io resti qui. Ti sono solo d'intralcio con il lavoro: non hai scritto niente, e questo non va bene.»
«Ma non è andando via che mi aiuterai.» Gli fece notare con le sopracciglia aggrottate. «Simon ti ha fatto credere una cosa sbagliata, Randy, perché tu non hai alcuna colpa.»
«Mi ha aperto gli occhi, invece» obiettò. «Sono rimasto qui come un ospite e non è servito a niente, solo a confondervi.»
«Di cosa stai parlando?»
«Sto parlando di Darrell, sto parlando di te, sto parlando di tutto quanto» esplose. La voce strozzata e i battiti accelerati. Era agitato, era evidente, e perfino Gabriel se ne accorse, guardandolo. «Avete continuato a parlarmi di Lucia, a paragonarmi a lei, mi è perfino stato dato un soprannome. Non ho chiesto tutto questo, non era necessario, eppure è successo.»
«Vuoi che Darrell la smetta di chiamarti in quel modo? Posso parlare con lui, posso risolvere il problema.»
Randy scosse la testa. «Non è quello il problema, è l'insieme di cose che non va bene. È tutto sbagliato, Gabriel, e tu non te ne accorgi nemmeno.» Era affranto, turbato, ed evidentemente avrebbe preferito evitare di ascoltare le parole di Simon; Gabriel se ne rendeva conto, ma non riusciva a fare nulla per cambiare le cose.
«Ti prego, Randy» iniziò a dire, venendo subito interrotto con un:
«Non farlo, non pregarmi, non dargli ragione...».
«Voglio sapere cosa ti ha detto per farti reagire in questo modo» scandì. Restrinse perfino lo sguardo e apparve quasi minaccioso. «Vorrei prenderlo a pugni, e, se potessi, lo farei anche adesso.»
«Non serve» mormorò, scuotendo la testa. Si lasciò andare a un sospiro, infine mormorò: «Ha solo detto qualcosa che non avrei voluto sentire».
«Quindi non riguarda solo il libro.»
Indugiò. Il solo contatto delle sue mani sulle spalle sembrava mandarlo in fiamme e lo metteva terribilmente a disagio. «Cosa provi per me?» chiese, muovendo appena le labbra. Quasi non si rese conto di averlo fatto, ma vide l'espressione di Gabriel cambiare drasticamente e, allora, capì di aver detto qualcosa di assurdo.
Questi impallidì, strabuzzò gli occhi e batté le palpebre, non riuscendo a sostenere lo sguardo serio di Randy; così distolse il proprio e si voltò, mostrando il profilo affilato. Deglutì a vuoto. Non avrebbe mai immaginato di dover riprendere quel discorso, in special modo con lui.
«Cosa pensi che possa provare, Randy, se non del semplice affetto?» rispose piano, puntando la porta e tendendo le labbra in una strana smorfia. I muscoli tesi e le mani in tasca. Sembrava che si sentisse come un funambolo esordiente, il quale, preoccupato per la propria sorte, non osava guardare in basso. «Mi sto affezionando a te man mano che passano i giorni, è vero, ma, se Simon ha provato a insinuare qualcosa di diverso, è stato un infame. Non avrebbe dovuto turbarti in questo modo, né sparlare alle mie spalle.» Scosse la testa e si passò una mano sul viso. «Non provo nulla che non possa essere giustificato alla luce del sole, Randy.»
«Quindi sei a posto con la coscienza» mormorò, non smettendo di studiarne i movimenti. «Non hai alcun motivo per paragonarmi a Lucia, giusto? Non è per questo che quel giorno, in strada, ti sei avvicinato a me. E non è per questo che continui a essere così gentile nei miei riguardi. Tu sei così, sei come ti vedo: viziato, ma educato.»
Gabriel lo guardò con la coda dell'occhio, conscio del fatto che avrebbe dovuto mentire per trattenerlo a casa Graham. Inspirò a fondo, ma, prima ancora di rispondere, gli vide aggrottare le sopracciglia e gli sentì dire:
«Sei terribile, stavi per farlo davvero».
«Cosa?»
«Prendermi per il culo. Cazzo, Gabriel, stavi per farlo. Te l'ho letto negli occhi» schioccò. Lo spinse, colpendolo all'altezza dell'avambraccio, e lo vide vacillare di lato. Allora abbassò lo sguardo, troppo deluso e turbato per dire qualsiasi cosa.
«È vero, non voglio mentirti e non voglio offendere la tua intelligenza. Quando ti ho visto per la prima volta ho pensato che i tuoi capelli fossero molto belli, proprio del colore che Lucia non era riuscita ad ottenere. Poi ho incontrato i tuoi occhi e sono rimasto senza fiato, senza parole, e mi è subito tornata in mente. Mi è sembrato che fosse viva. E non volevo lasciarti andare via, così come non lo voglio adesso, perché non volevo smettere di guardare quegli occhi.»
Randy si lasciò scappare un suono divertito. «Tutto questo è ridicolo» disse a mezza bocca. «Non resterò qui per farti vedere i suoi occhi» parafrasò acidamente.
«So che non sono i suoi, Randy. Ho imparato a conoscerti.»
Restrinse lo sguardo con fare sospettoso e arricciò perfino il naso, sentendogli dire:
«Te lo giuro: adesso è te che vedo, non lei». Si voltò a guardarlo e sollevò una mano per carezzargli una guancia.
Lui chiuse gli occhi e restò immobile a quel contatto. «Ciò non significa che io possa restare» sospirò. «Sai, Gabriel, sono una persona davvero sbagliata e pericolosa. Immagino che te ne sia accorto a Mountforde Gardens. Restare qui significa mettere in pericolo non solo la vita di te e Darrell, ma soprattutto quella Logan. E non voglio farlo.» Prese una piccola pausa, infine disse: «E poi devo andarmene, perché non voglio che voi due torniate a litigare».
Allontanò la mano di Gabriel, vedendogli assumere un'espressione confusa. Allora si disse che, forse, neppure lui aveva capito il reale senso della sua affezione.
Note:
Ciao, ragazzi!
Lo so, questo capitolo è stato un po' uno shock - credo. Ma è colpa di Simon, ricordatelo sempre, io sono innocente...
Lasciatemi un commento o una stellina, mi raccomando, perché ci tengo a sapere cosa ne pensate!
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