12 - It Could Be a Wonderful World

Quando l'auto si fermò a Short Strand, Randy tirò un sospiro di sollievo.

Sapeva bene che in quel posto vivevano delle persone pericolose e che, per giunta, lo stavano cercando; tuttavia, dopo il viaggio che aveva fatto assieme a Gabriel e Darrell, non aspettava altro che aprire lo sportello per mettere piede a terra.

Per tutto il tempo, infatti, aveva percepito una tensione al limite dell'assurdo e anche il solo decidere una stazione radio era stato indice di discussione per quei due. Vederli bisticciare come dei bambini, di per sé, sarebbe anche stato divertente, ma Randy conosceva bene la ragione di tanto astio e si chiedeva come avessero fatto a mantenere i rapporti per tutti quegli anni solo per l'affetto di Logan.

«Continuo a credere che essere venuti qui sia una grande stronzata» esordì d'un tratto Darrell mentre, scendendo dall'auto, s'infilava il giacchetto di pelle.

Gabriel lo fulminò con lo sguardo e sbuffò un: «Non eri costretto a seguirci. Anzi, ti ricorderei che ti sei invitato da solo. Perciò sappi che potevi benissimo restare a casa».

«Sono venuto proprio perché penso che sia una colossale stronzata.» Cercò di essere più esaustivo possibile e si sistemò le ultime fibbie del collo, allacciandole e infilando la sciarpa nel colletto. Poi guardò Randy, certo che questi avrebbe dato conferma alle sue parole, ma lui non fece altro che schiarirsi la voce e divagare con un:

«Sicuri che volete fermarvi a mangiare proprio qui?». Vide Gabriel battere le palpebre con un accenno di perplessità, così si affrettò ad aggiungere: «Voglio dire, non possiamo sbrigarci a fare quello per cui siamo venuti e magari mangiare in un'altra zona?».

«Hai paura che qualcuno ti riconosca?» chiese.

«Molto intuitivo, Fratellino.» Darrell storse le labbra in una smorfia infastidita, alludendo nella sua direzione con scherno.

Allora Gabriel scosse la testa. «Non devi preoccuparti, Randy. Non sei da solo.»

Darrell si lasciò sfuggire un'esclamazione divertita, poi disse: «Già, sono certo che ci penserà lui a proteggerti. Devi sapere che è un soldato valorosissimo».

Randy si appoggiò contro lo sportello chiuso dell'auto e sospirò. Le mani in tasca e gli occhi pronti per essere ancora una volta ruotati verso il cielo. Era saturo dei loro battibecchi. «Oh, cazzo, quanto non vi sopporto» borbottò.

Sentendolo, Darrell gli si avvicinò con fare sornione. «Scusa tanto, Rondinella.» Sollevò un sopracciglio contrariato, poi continuò: «Sono dalla tua parte, malgrado non si noti».

Gabriel girò attorno all'auto e li raggiunse sul marciapiede, sollevando un braccio con nonchalance per indicare la tavola calda. «Questo posto sembra tranquillo, Randy. Di cosa hai paura? Pensi davvero che ci sia qualcuno di loro?»

In tutta risposta, lui fece spallucce e disse: «Non ne ho la più pallida idea, non ci sono mai stato prima d'ora, ma non mi sembra il caso di andare in giro ad appendere manifesti con su scritto "Sono Randy Morgan e sono tornato"».

«Giusto» commentò Darrell, spostando lo sguardo su Gabriel, il quale, dal canto suo, poté solo mormorare:

«Posso almeno ordinare qualcosa da portare via?». Lo vide annuire in silenzio, così si rivolse a Darrell e mormorò: «Te lo affido, mi raccomando. Non farmi pentire di averlo fatto». E lo pungolò all'altezza del petto con un indice inquisitorio.

Questi sollevò le mani in segno d'innocenza e, quando fu certo di averlo visto sparire dentro le porte a vetri della tavola calda, si lasciò andare a uno sbuffo frustrato. Rivolgendosi a Randy, disse: «Che razza di stronzo». Un sorriso dipinto sulle labbra e il mento sollevato. «Non credo si renda conto di quanto tutto questo sia egoistico.»

Lui rise appena, ma subito decise d'interrompersi, premendo una mano sulla bocca. Scosse la testa e schioccò la lingua sul palato, guardandolo. Con un movimento fluido, si allontanò dall'auto e fece qualche passo lungo il marciapiede. Avanti e indietro. «Tra voi due non so chi sia il più egoista» borbottò.

Darrell lo guardò contrariato e aggrottò le sopracciglia. «Non sono venuto fino a Short Strand per egoismo. Sarei potuto rimanere a casa con Logan, mentre tu e Gabriel sareste stati da soli e in pericolo per le strade di questa zona bigotta.»

«Non parlavo di questo» lo corresse.

«E di cosa?» Sempre più confuso e perplesso, inarcò un sopracciglio.

«È inutile parlarne, non capiresti.» Fece spallucce. «Dopotutto non ha alcuna analogia con questo discorso. Mi è solo venuto in mente e non ho potuto fare a meno di dirlo ad alta voce.» Lo vide avvicinarsi e, di rimando, fece un passo indietro. «Cosa c'è?»

«Vorrei saperlo, se non ti dispiace» iniziò a dire. «Hai detto che sono egoista, eppure mi conosci da pochi giorni. In cosa ti sono sembrato egoista?»

«So cosa hai fatto a Gabriel» sputò tutto d'un fiato. Lo guardò dritto negli occhi e arricciò il naso. «Non puoi fingere che sia stato un atto d'amore, una cosa normale. Anche a me pare un atto egoistico, Darrell.» Gli vide spalancare gli occhi, poi battere le palpebre con perplessità.

«Stai parlando di Lucia?»

Randy annuì lentamente e distolse lo sguardo. Nella sua voce poteva sentirsi un filo di biasimo mentre diceva: «Cazzo, il giorno delle sue nozze...».

«Smettila» lo interruppe. La mano sollevata, con il palmo aperto, rivolto verso di lui. «Non sai davvero di cosa stai parlando. Conosci il racconto di Gabriel, ma non il mio. E può averti raccontato qualsiasi cosa dal suo punto di vista. Non si tratta di egoismo.»

«Già, una storia raccontata da una sola persona non può fornire un giusto punto di vista» borbottò. «Mi ricorda qualcosa»

Darrell restrinse lo sguardo e mormorò: «C'è molto di più di quanto pensi, dietro quello che ti è stato raccontato».

«Altre cose che non so.»

«Esattamente.»

In quel momento, quasi provvidenziale, Gabriel uscì dalla tavola calda con in mano una bottiglia d'acqua minerale.

«Niente pranzo?» chiese Randy.

«Si sta riscaldando» rispose con un'alzata di spalle. «Non volevo lasciarvi troppo da soli, così ho deciso di prendere dei panini.»

«Dei panini?» Sorrise, guardandolo, e si avvicinò di un paio di passi. «Non sarà troppo proletario per te?» lo provocò bonariamente, vedendolo sorridere a sua volta. Allora sentì Darrell sospirare pesantemente alle proprie spalle e, voltandosi, lo vide calciare un sasso.

«Che fastidio» borbottò. «Potete tubare in un altro momento?»

«Cosa?» Randy storse le labbra e avvampò. Non si era minimamente reso conto di aver assunto un atteggiamento equivoco, perciò guardò Gabriel e gli vide scuotere la testa. Così ne ebbe subito la conferma: Darrell era geloso, e per di più senza motivo. Schioccò la lingua sul palato, lasciandosi andare a un lamento infastidito. «Che palle» sbottò. Le sopracciglia aggrottate e i nervi a fior di pelle, incrociò le braccia al petto. «Non posso neanche aprire bocca senza essere frainteso, cazzo.»

«È tutto a posto, Randy» lo rassicurò Gabriel, prima di guardare Darrell con una punta di disprezzo. «Devi capirlo, purtroppo è fatto così. Quando l'attenzione non ricade su di lui, tende a dire delle cose assurde.»

«Certo, come no» borbottò irritato. Si umettò le labbra, poi sollevò la voce per dire: «Insomma, i panini si saranno carbonizzati».

«Vuoi andare tu a prenderli?» lo provocò. «Se hai così tanta fame, puoi farlo.»

«Ha senso, Fratellino, visto che non sono stato io a ordinarli» commentò ironico, infilando le mani in tasca e stringendosi nelle spalle.

«Finitela una buona volta!» Randy si portò entrambe le mani sulle orecchie in un moto di esasperazione. «Mi fate quasi desiderare di restare qui e mandarvi a 'fanculo.»

Gabriel deglutì a vuoto, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla sua figura. Si sentì uno sciocco e, rabbrividendo, comprese di essere in parte responsabile di tutta quella frustrazione. «Mi dispiace» soffiò.

«Volete davvero continuare a odiarvi così?» chiese piano. Gli occhi bassi, puntati sull'asfalto. «Volete guardarvi ogni giorno e minarvi passo dopo passo, pensando che le persone che vi circondando non ne risentano? Perché io sono solo di passaggio, è vero, ma Logan non lo è. E, cazzo, voi non state creando delle basi solide per farlo crescere bene.»

Darrell non disse nulla. Era consapevole del fatto che Randy avesse ragione, ma mantenere un buon rapporto con Gabriel dopo quanto successo era pressoché impossibile. Irritato, fece un'espressione divertita, cinica, e serrò i denti per impedire a se stesso di dire qualcosa di cui, ne era certo, si sarebbe amaramente pentito; una delle sue frasi infelici. «Tu non capisci» si lasciò sfuggire dopo qualche istante.

E Randy chiuse gli occhi, sospirò, fece cadere entrambe le braccia lungo i fianchi. Disse: «Non capisco, davvero».

Gli occhi di Darrell si accesero, brillarono di un sentimento simile alla furia e le sue labbra si schiusero automaticamente. Le orecchie sorde, irraggiungibili, sputò: «Come puoi parlare della crescita di mio figlio quando la tua è stata un totale fallimento?». Lo guardò, e subito si pentì di aver parlato. Gelò sul posto, si morse la lingua, sgranò gli occhi. Poi si sentì afferrare per le spalle. Nelle orecchie, un fischio sordo, che accompagnava la voce ovattata di Gabriel:

«Hai esagerato».

«Non volevo» balbettò.

Randy trattenne il fiato di fronte a Darrell e fece per rispondere, ma la sua voce si mozzò in gola, si bloccò in mezzo alle corde vocali, si strozzò. Batté le palpebre, chinando la testa, e gli occhi si riempirono di lacrime. «Vaffanculo» sibilò. Non disse altro, voltandosi e scappando via di corsa.

Darrell allungò una mano nella sua direzione, cercò di afferrarlo, ma non ci riuscì. Mosse anche un paio di passi, ma fu tutto inutile. Lo vide sgusciare via, divincolarsi, saettare lungo la strada e sparire. Perse un battito, iniziando a correre a perdifiato per le strade di Short Strand. Nell'arco di pochi minuti si accorse di aver perso l'orientamento e si trovò tra delle casupole tutte uguali. Batté un piede in terra e imprecò: «Cazzo!».

Dietro di lui, Gabriel. Aveva il fiato corto e lo sguardo smarrito. La bottiglia d'acqua minerale ancora stretta tra le dita e un'incredibile voglia di tirarla addosso a Darrell. Si trattenne, sollevando lo sguardo, e lo fulminò soltanto. Era preoccupato, arrabbiato perfino affannato. «Dobbiamo trovarlo» ansimò con una mano posata sul ginocchio. Piegato in avanti, spostò un attimo lo sguardo sull'asfalto e poi lo sollevò ancora su Darrell. Si allentò la stretta della sciarpa, infastidito dal suo terzo giro attorno al collo, dopodiché si schiarì la voce. «Non può restare da solo, non in questa zona. È pericoloso.»

«Non volevo, Gabriel» mormorò. La voce titubante, quasi tremula, e lo sguardo dispiaciuto. Fissava la strada dinanzi a sé con orrore. «Non avrei dovuto parlare.»

«No, non avresti dovuto parlare» confermò storcendo le labbra e restringendo lo sguardo. «Quella tua boccaccia...» sospirò stancamente, poi si tirò in piedi, ritto il più possibile, e inspirò a fondo. «Ma avrai tempo per scusarti non appena lo troveremo; fino alla nausea, volendo.»

Darrell chiuse gli occhi e deglutì, facendosi forza e annuendo. «Va bene» disse.

«Dove pensi che sia andato?»

«A casa sua» sussurrò. «Di sua nonna, intendo. È l'unico posto, che potrebbe essergli rimasto, in questo quartiere...»

«Giusto» assentì Gabriel prima di tirare fuori lo smartphone dalla tasca del cappotto. Impostò il percorso che Randy aveva calcolato quand'erano ancora a Casa Graham, e disse: «Mountforde Gardens, giusto».

«Non è molto distante.» Commentò allungando lo sguardo verso lo schermo dell'S9. Poi lo spostò verso la strada che aveva dinanzi, e si chiese se mai avessero fatto in tempo a raggiungerlo a metà percorso o se si trovasse già in pericolo.

Tuttavia, a quella velocità, Randy era una scheggia nel vento. Correva a perdifiato, con i polmoni che parevano chiedere pietà, e non riusciva a pensare ad altro che alla propria destinazione. Gli occhi socchiusi, a tratti perfino serrati, e la testa bassa, percorreva i marciapiedi di Short Strand più veloce che poteva. La fronte corrucciata e i denti che stridevano tra loro.

Si fermò solo quando vide il grosso foro nel cancello di legno di Mountforde Gardens, quello della casa di sua nonna. Il respiro corto, mozzato, e la vista appannata. Con i brividi che gli correvano lungo la schiena, si guardò intorno per accertarsi che non ci fossero loschi figuri, dopodiché forzò la serratura com'era solito fare di ritorno da scuola. Entrò nel giardino, cercò la chiave nel vaso di azalee e, dopo averla trovata, aprì la porta. Non ci mise molto, anzi, e quando la chiuse alle proprie spalle si poggiò contro di essa, scivolando verso il basso.

In terra, con le ginocchia strette al petto, singhiozzò. Tutti i ricordi dei giorni trascorsi in quel posto si fecero avanti, presero ad affollargli la mente come un uragano e si riversarono incontrollati su di lui. Non fu più in grado di trattenerli. E così, prima ancora di rendersene conto, vide il se stesso di un tempo mangiare una torta in cucina, bere un tè con la nonna sul divano, salire le scale per andare in camera. Volle seguirlo.

In silenzio, con ancora le lacrime agli occhi, si alzò per andare di sopra e indugiò appena laddove l'aveva vista l'ultima volta. La ricordava ancora: fredda, immobile, circondata dagli altri membri della setta, che intonavano inni a Satana. Deglutì.

«Non sarei dovuto tornare in questo posto» gemette.

Solo allora udì un suono. Leggero, fastidioso, non del tutto distante, che fu in grado di riportarlo alla realtà: erano le assi del pavimento, che, vecchie, scricchiolavano sotto i piedi di qualcuno.

Trattenne il fiato, fermo come una statua. Gli occhi ancora rivolti al letto e le labbra serrate. Se solo acuiva l'udito, poteva percepire un respiro non suo. Ma non aveva il coraggio di voltarsi ed era sicuro che, chiunque fosse, si stesse avvicinando.

Così s'impose il silenzio, avanzando di qualche passo nella stanza per dissimulare attenzione, fino a quando il rumore non svanì e ne seguì un'altro; più insistente, più evidente: quello della suola delle scarpe.

«'Fanculo» sputò. Non riuscì a trattenersi e, dopo aver posto una mano sulla maniglia, provò a chiudere la porta con rabbia.

Tuttavia non ci riuscì e iniziò a spingerla, lottando con qualcuno, che, dall'altro lato, stava facendo altrettanto nella direzione opposta. Non aveva visto chi fosse, ma di una cosa era certo: non si trattava né di Darrell, né di Gabriel.

«Che cazzo vuoi, stronzo?» chiese a gran voce, quasi ringhiò, puntando entrambi i piedi in terra, a un passo dal tappeto, per farsi leva con le spalle. Gli occhi sgranati e il respiro corto. Sapeva che, di lì a poco, il panico avrebbe avuto la meglio, ma non aveva intenzione di cedere. «Non vi ho fatto niente, cazzo! Lasciatemi stare!»

Sentì la gola annodarsi e subito si morse le labbra. Poi, di colpo, percepì la porta cedere sotto il suo peso e chiudersi di scatto. Batté le spalle contro di essa e strabuzzò gli occhi perplesso, ansimando agitato. Si guardò attorno, allungò una mano per girare la chiave e tirò un sospiro di sollievo.

E quegli stessi passi, veloci, presero a correre lungo il corridoio. Lo fecero rabbrividire, tremare, inorridire.

Randy capì subito di essere in pericolo quando i vetri della porta-finestra andarono in pezzi e fece girare la chiave nella toppa per darsela a gambe con un: «Cazzo».

Saettò fuori dalla stanza con il cuore in gola e si aggrappò alla balaustra. In quel momento avrebbe davvero pagato oro per riavere indietro quei due bambini viziati di Darrell e Gabriel, qualunque cosa pur di non restare solo, perché dall'alto vide un altro membro de Il Grande Drago Rosso muovere i primi passi sui gradini della scala.

Mancò un battito, socchiuse le labbra, sgranò perfino gli occhi e fu certo che non sarebbe stato in grado di salvarsi. Il suo respiro accelerò e lui non riuscì più a mantenere la calma. Serrò le dita attorno alla balaustra, gridando: «Siete solo delle marionette!». Poi non poté dire altro perché l'uomo alle sue spalle gli tappò la bocca con una mano.

«Chiudi il becco, Randy» sibilò nel suo orecchio destro, stringendolo a sé saldamente. Lo sentì dimenarsi e lo vide scalciare, mentre l'altro saliva le scale con estrema lentezza. «Non ti stavamo cercando, ma trovarti qui è stata una bella sorpresa.»

Randy sgranò gli occhi e mugolò, cercando di liberarsi ancora e ancora. Mosse le spalle, il busto, morse perfino la mano del suo aggressore e lo fece gridare dal dolore, prima di dargli una gomitata. Allora provò a fuggire verso quella che un tempo era la sua stanza, ma non riuscì a muovere nemmeno un paio di passi, che venne subito riacciuffato dall'altro tizio, il quale, colpendolo con un pugno al centro della schiena, lo fece boccheggiare e cadere sulle propria ginocchia.

«Stai attento» avvisò il compagno, indicando Randy con un cenno del capo. Poi lo afferrò per il cappotto e lo costrinse ad alzarsi. «È pericoloso, morde.» Ghignò, mentre Randy incespicava sui suoi stessi piedi.

«Me ne sono accorto» grugnì l'interpellato. Arricciò il naso e, guardandolo, colpì Randy con un manrovescio. Quando vide un rivolo di sangue scivolargli lungo il mento, sorrise soddisfatto e disse: «Bentornato a casa».

Note:

Ciao, ragazzi!

Lo so, la situazione è drasticamente cambiata rispetto ai capitoli precedenti. Randy si è un po' pentito di aver lasciato Darrell e Gabriel qualche via più in là, ma non sono distanti - non troppo; perciò, come immaginerete, c'è ancora speranza. Tuttavia non posso anticiparvi nulla e, legandomi le dita, vi dico che ci vedremo nel prossimo capitolo. Stay tuned!

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