11 - Spooky

Quando Randy aprì gli occhi ebbe come un déjà-vu.

Placidamente avvolto dalla calma dello studio di Gabriel, si disse che avrebbe voluto dormire lì per sempre.

Socchiuse lentamente le palpebre e osservò, da sotto le ciglia rossicce, la scrivania, la bottiglia vuota di Scotch, perfino la finestra e la lampada ancora accesa. Con una stretta al petto, si ricordò della sera trascorsa e deglutì, muovendo appena le spalle.

Poi sentì mugolare Gabriel nel sonno e trattenne il respiro. Solo allora si rese conto di essere letteralmente stretto a lui, sotto una coperta di fortuna, ancora seduto scompostamente sul divano. Le gambe piegate di lato e i piedi incastrati tra i cuscini. Arrossì e rabbrividì, pensando di essersi addormentato come un vero sciocco dopo aver pianto fino allo sfinimento. Allora chiuse gli occhi e si lasciò cullare da quella strana sensazione che provava in fondo al petto, imponendosi di non dargli un nome per non complicare la sua situazione già precaria.

Dopotutto era vero, o almeno così si disse, non lo conosceva affatto e si stava legando a lui per il modo gentile in cui veniva trattato.

Arricciò le labbra, borbottando uno: «Scemo».

«Non è proprio il buongiorno che mi aspettavo, ma ci si può lavorare» disse Gabriel, la voce impastata dal sonno e il respiro vicino, che quasi gli solleticava il collo.

Randy trasalì e si scostò un po', battendo le palpebre. Sentì la presa di una mano sulla spalla e, guardandolo di sguincio, si accorse di avere ancora il suo braccio dietro la schiena. «Non ce l'avevo con te» balbettò impacciato. Lo vide sorridere e, chissà perché, sorrise a sua volta, nonostante il forte mal di testa post sbornia che gli premeva sulle tempie.

«Buongiorno, Randy» mormorò, posando un lieve bacio sulla sua fronte. Lo fece arrossire e subito si ritrasse, notandolo. Si allontanò, facendo scivolare via la mano anchilosata, che fino a poco prima gli stringeva la spalla. «Hai dormito un po' scomodo, immagino. Io, perlomeno, non sono abituato a stare rannicchiato sul divano per tutta la notte.»

Fece spallucce e strinse la coperta in due pugni all'altezza delle cosce. «Non importa, per il momento mi fa solo male la testa; ed è colpa mia, di tutto lo Scotch che ho bevuto.»

«Già, lo Scotch...» Gabriel si alzò, poi si avvicinò lentamente alla scrivania e afferrò la bottiglia vuota per rigirarsela tra le mani e osservarla con aria assorta. «Credo che Darrell non sarà molto contento della nostra trovata notturna.»

«Berrà qualche altra cosa» tagliò corto Randy. «O andrà a comprarsene un'altra, se proprio ci tiene.» E storse le labbra in una smorfia infastidita.

«Sì, credo proprio che lo farà.» Detto questo, la fece cadere nel cestino vicino e accennò un sorriso. Poi sollevò lo sguardo verso Randy e chiese: «Sei ancora arrabbiato?».

Questi batté le palpebre, non capendo a cosa si stesse riferendo, ma subito si ricordò della loro discussione e, chinando lo sguardo, fece spallucce. «No, non più» disse. «Ma adesso non prendiamo l'argomento, va bene?»

Lui annuì, confermando con un tenue: «Va bene». Poi gli si avvicinò e gli scompigliò i capelli, sentendolo ridacchiare. La sensazione delle dita contro la sua cute era davvero piacevole, tanto che lo avrebbe rifatto; eppure dovette trattenersi, perché Randy, socchiudendo gli occhi, borbottò un:

«Sei scemo?». Lo guardò confuso, sistemandosi i ricci come possibile. «Che male ti ha fatto la mia testa?» Gli allontanò la mano, che era rimasta ferma a mezz'aria, sentendo le proprie dita intrecciarsi con le sue, e avvampò. Le tempie che pulsavano, gli occhi ancora lucidi di sonno.

«Niente» mormorò divertito, scuotendo la testa. Lo avvicinò a sé con uno scatto e cercò di guardarlo negli occhi. Allora sorrise. «Erano arruffati.»

Sentendo quella blanda giustificazione, corrugò appena la fronte e storse le labbra. «Mah, sarà...»

«Cosa c'è, non mi credi?» Sentì le sue dita scivolare via e quasi se ne dispiacque, ma non lo trattenne.

«Dovrei?» Ridacchiò, poi sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto. «Stamattina sei strano.»

Gabriel deglutì e, sotto il suo cipiglio indagatore, si sentì uno sciocco. Fece un sorriso forzato e si allontanò con le mani sollevate in segno di resa. Raggiunse il divano, intenzionato a rassettare, e piegò sbrigativamente la coperta. Così, chino in avanti, si schiarì la voce e disse: «Non mi pare. Forse è perché devo ancora svegliarmi per bene». Gli lanciò un'occhiata fugace e tornò ritto con la schiena, stringendo la coperta al petto. «Dovrei fare colazione. Sì, decisamente. Tu vuoi un caffè? Posso prepararlo anche per te.»

Perplesso, Randy posò il bacino contro la scrivania e mormorò: «Ieri mattina non eri così assonnato».

«Ieri mattina mi sono svegliato in un vero letto.» Gabriel adagiò la coperta sul bracciolo del divano e si avvicinò alla porta per aprirla. Poi fece cenno a Randy per essere seguito e s'incamminò lungo il corridoio, precedendolo con un: «Vieni».

Lui rimase un attimo a guardarlo, infine lo raggiunse e arrivò in cucina giusto in tempo per vederlo trafficare con la macchinetta del caffè. Spostò lo sguardo verso il tavolo, dove Darrell stava sgranocchiando dei biscotti con in braccio Logan, il quale, goffamente, cercava di mangiare della mela grattugiata con un cucchiaino in silicone.

«'Giorno» sussurrò impacciato, prima di sorridere al piccolo.

«'Giorno, Rondinella.» Darrell lanciò un'occhiata nella direzione di Randy e sollevò un angolo delle labbra, stupendolo con quella che, almeno a suo dire, fu l'espressione più mite mai vista sul suo volto.

Subito pensò che fosse merito della presenza di Logan, così sorvolò sulla cosa e non disse nulla. Tuttavia, il dubbio che fosse causa di ciò che era accaduto la notte passata lo carezzò appena e lo imbarazzò alquanto.

Gabriel non se ne accorse; era di spalle, intento a preparare due tazze di caffè per la colazione. «Vuoi del latte o dello zucchero?» domandò, riscuotendolo dai suoi pensieri.

«Del latte, grazie» confermò mentre si metteva a sedere, gli occhi fissi su Logan e la speranza di non incappare in uno scomodo dialogo.

Eppure Darrell proruppe con una domanda: «Stanotte non hai dormito nella tua stanza, come mai?».

A rispondere fu Gabriel, disse: «Abbiamo bevuto fino a tardi». Si voltò, posando di fronte a Randy una tazza fumante di caffellatte. Poi si sedette a capotavola e prese a sorseggiare dalla propria. «Spero che non ti dispiaccia, ma abbiamo finito il tuo Single Malt.»

«Dispiacermi, e perché mai dovrebbe?» schioccò questi, con fare ironico. «Avete solo fatto festa senza di me, con il mio Scotch, e lo avete finito. Non posso certamente prendermela per così poco.»

Randy sospirò, mentre l'idea che si era fatto al risveglio diveniva certezza: l'offesa di Darrell Graham. Picchiettò sulla tazza con i polpastrelli, guardando Gabriel con la coda dell'occhio, e cercò in lui un qualche tipo di appoggio. «Non era nostra intenzione tagliarti fuori. È successo e basta» mormorò.

L'interpellato si lasciò andare a un'esclamazione divertita. «È successo e basta» ripeté come un pappagallo. Si lasciò andare a un suono divertito, poi scosse la testa e disse: «Molte cose succedono, ma sta alle persone dotate di buonsenso fermarle sul nascere».

«So a cosa ti stai riferendo» intervenne Gabriel, posando la propria tazza sul tavolo e fulminandolo con un'occhiata. «E ciò che dici non è affatto carino.»

«Non sai affatto ciò che sto dicendo» lo corresse, aggrottando le sopracciglia.

Logan mugolò contrariato, percependo la tensione, e si guardò attorno confuso; allora, Darrell, sorrise e gli tolse gentilmente il cucchiaino dalle mani per riempirlo con un po' di mela grattugiata. Mimò in modo buffo l'atterraggio di un aereo vicino alla sua bocca e, facendolo ridere, lo imboccò un paio di volte.

«Meglio non prendere l'argomento» mormorò Randy, avvicinandosi la tazza alle labbra. «È una cosa di cui non voglio parlare.»

«È una cosa di cui nessuno ha voglia di parlare, nemmeno Gabriel-il-perfettino» gli fece notare Darrell, continuando a sorridere mentre si dedicava a Logan con la sua facciata da padre impeccabile.

«Il fatto che io non fossi presente, non significa che non possa essermi fatto un'idea dell'accaduto» sibilò questi irritato.

«Hai sentito solo un racconto su due, tra l'altro mentre bevevi e ti ubriacavi alle mie spalle, quindi la tua opinione vale meno di zero.»

«Non litigate, cazzo» borbottò Randy, massaggiandosi una tempia. Una mano posata sul piano del tavolo e la fronte corrugata per il dolore e l'angoscia. «Qualunque cosa sia successa è stata un errore. Darrell non è l'unico ad avere responsabilità, perfino io ce l'ho. È un cinquanta e cinquanta.»

Gabriel sollevò le sopracciglia perplesso, certo che Randy fosse stato di tutt'altro avviso la notte passata. Tuttavia non obiettò e tornò a bere silenziosamente il caffè, sentendo Darrell dire:

«Un cinquanta e cinquanta, eh? E, illuminami, la mia parte di colpa è stata raccontarti "Il Principe Felice", una storia per bambini?».

«Senza finale» precisò Randy. Lo guardò di sguincio, poi aggiunse: «No, comunque, la tua colpa è stata darmi quel cazzo di bacio in bagno».

Gabriel guardò Darrell, poi, divertito, chiese: «Da quando in qua racconti storie senza finale?». Gli vide cambiare espressione e scosse la testa, alzandosi per prendere la scatola di metallo in cui di solito metteva i suoi biscotti della colazione. Così, dopo averla raggiunta, la posizionò al centro del tavolo e si mise a sedere con un sospiro. «Sono buoni, fidati» disse nella direzione di Randy, abbozzando un sorriso tenue. «Assaggiali. Ti conviene farlo prima di prendere qualcosa per il mal di testa, altrimenti la medicina ti brucerà lo stomaco.» Lo vide annuire, poi sollevare il coperchio della scatola e infilare una mano per ritirarla con un biscotto tondo all'uvetta. Allora, forse impudentemente, soffiò: «Se vuoi conoscere la fine di quella storia posso raccontartela io. Sai, mia madre me la leggeva spesso quand'ero piccolo».

«Davvero?» Randy lo guardò con un misto di curiosità e speranza.

Di fronte a lui, Darrell digrignò i denti e fissò Gabriel con astio. «Non impicciarti» grugnì, facendo sobbalzare sia Randy che Logan. «Non sono cose che ti riguardano.»

«Perché?» chiese questi con fare laconico. «Pensi che raccontare il finale di una storia sia più compromettente che bere insieme o dormire vicini?» lo provocò in un'occhiata. «Oppure è perché continui a chiamarlo con quell'assurdo soprannome. Qual è? Ah, sì, Rondinella.»

Darrell indurì i muscoli del viso e sentì Logan lamentarsi tra le sue braccia. Così, senza pensarci troppo, si alzò di scatto dalla sedia e abbandonò il tavolo prima di potersi pentire di una qualsiasi risposta, mentre Randy tratteneva il respiro e si chiedeva perché Gabriel avesse agito in un modo tanto indisponente nei suoi riguardi.

Il silenzio calò nella cucina, poi, d'un tratto, venne rotto da una domanda: «Sai, stavo pensando che la casa di tua nonna deve mancarti molto». Attese qualche istante, spostando lo sguardo dalla porta aperta a Randy, e lo trovò sorpreso, stranito. «So che l'hai lasciata da un po' e mi chiedevo se volessi tornarci per una visita.»

«Una visita? In che senso?» Socchiuse le labbra e sentì il proprio cuore galoppare veloce, schizzare in gola, squassargli il petto. Per poco non si strozzò con il caffellatte, mentre diceva quelle parole e tentava di formulare un pensiero. «Mi stai cacciando, Gabriel? È un modo per portarmi da loro?»

«No, affatto» negò, scosse perfino la testa. «Ma lì ci saranno ancora le tue cose, immagino. Avrai lasciato dei ricordi, qualcosa.» Lo vide annuire lentamente e gli sentì dire:

«Prima che mi portassero via da lì, ho dovuto prendere dei vestiti, ma non ho potuto fare altro che riempire una piccola valigia. Poca roba, ecco».

«Non vuoi tornare a Short Strand per vedere quella casa?»

«Perché me lo chiedi proprio adesso?» domandò piano, dubbioso. Più parlava con Gabriel e più si rendeva conto di non riuscire a restare tranquillo: il suo cuore aveva dei picchi di agitazione tremendi, improvvisi, e quasi gli girava la testa. «È per quello che ti ha detto Simon? Devi trovare un inizio interessante per il libro?»

Gabriel sorseggiò il caffè, poi lo guardò dritto negli occhi e mormorò: «Non puoi pensare, almeno per una volta, che io stia cercando di fare qualcosa di carino per te?».

«Qualcosa di carino per me sarebbe ascoltarmi mentre mi sfogo, prepararmi la colazione, raccontarmi il finale di una storia che quel deficiente di Darrell ha troncato su due piedi...» iniziò con un groppo in gola. «Non riportarmi in un covo di serpenti.»

Allora fu costretto a sospirare e ad ammette: «Sì, Randy, è per il libro». Distolse lo sguardo, vergognandosi per la propria idea, tuttavia non mollò la presa: «La tua testimonianza è importante, potrebbe servire per mandare all'aria un gruppo di folli che brulicano in un quartiere tranquillo di Belfast. E io posso darti l'attenzione che meriti, posso essere la tua voce in un paese che, molto probabilmente, farebbe passare in sordina la questione».

Ci pensò, rifletté sulle sue parole non potendo fare a meno di sentirsi ferito per la bugia che gli era stata costruita attorno; infine, osservando il colore marroncino del caffellatte, sussurrò un: «Va bene». Si sentì osservato e fu certo che Gabriel desiderasse maggior convinzione nelle sue parole, perciò si schiarì la voce e riformulò: «Facciamolo. Portami a Short Strand».

Gabriel accennò un sorriso nella sua direzione e scolò il contenuto della tazza tutto d'un colpo. Si alzò, allungò una mano verso la scatola dei biscotti e ne prese uno che subito addentò e sgranocchiò piano. In silenzio, prese il proprio smartphone e lo posizionò sotto il naso di Randy con l'applicazione di Maps aperta. Solo allora disse: «Digita l'indirizzo, così nel frattempo calcoliamo il percorso». Lo vide annuire con un po' di titubanza e fare come gli era stato richiesto senza però battere ciglio.

«Ecco fatto» mugolò dopo qualche istante, ridandogli l'S9 con un'alzata di spalle. «Mountforde Gardens.»

«Dovremmo fare un piccolo viaggetto insieme» commentò, osservando la mappa segnata in azzurro.

Randy fece spallucce e disse: «È stata una tua idea, non mia». Lo sguardo distante, per nulla interessato, e il tono piccato.

«Fino a un attimo fa non eri arrabbiato. Cosa succede adesso? Ci hai ripensato?»

«Non succede niente» mentì. «Non ho cambiato idea, tranquillo.» Il magone gli gonfiò il petto, mentre disse: «Vado a sistemarmi». E si alzò con lo sguardo basso.

Gabriel lo fissò dubbioso, provando a dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì un suono. La gola improvvisamente secca, l'imbarazzo che gli assaliva la nuca in una vampata fino a sbiancargli il volto. Si sentì uno sciocco per aver proposto a Randy una cosa del genere, tuttavia ricordò le parole di Simon, le sue insinuazioni in merito alla pigrizia che stava dimostrando, e di getto diede un pugno al tavolo.

Era combattuto, furioso con se stesso, e per questo restrinse lo sguardo. Con le narici allargate e il pensiero rivolto al tragitto che, ne era certo, avrebbe fatto in totale silenzio, grugnì un: «L'ho ferito, dannazione». Guardò in direzione della porta, laddove lo aveva visto svanire, e poi distolse lo sguardo, sospirò.

Solo allora si alzò in piedi. Sparecchiò la tavola alla svelta e spostò piatti e tazze nella lavastoviglie mezza piena. In silenzio, crucciato, spiegò il quotidiano e si poggiò contro il marmo, accanto alla finestra schiusa, per accendersi una sigaretta.

Dopo qualche istante, però, si rese conto di essere osservato. Arricciando il naso, senza nemmeno sollevare gli occhi dall'articolo, chiese: «Non te ne eri andato?» Sapeva che si trattava di lui, Darrell, perciò storse le labbra in una smorfia infastidita.

Questi, sentendosi chiamare, si scostò dall'uscio della porta. «Sono andato a mettere Logan nel box» disse, facendo spallucce. «Ma non essere troppo felice di vedermi, sennò mi emoziono.»

«Pensavo che per stamattina avessimo litigato abbastanza» disse in uno sbuffo, fulminandolo. «Sei forse tornato perché hai formulato una nuova battuta?»

Lui alzò gli occhi al cielo. «No, te l'ho detto, ho messo Logan a giocare nel box.» Sollevò un sopracciglio contrariato, poi incalzò: «Ma dimmi di te, Fratellino: ho notato che Randy se ne è andato con un cipiglio irritato. È successo qualcosa?».

«Qualcosa che non ti riguarda.» Secco, chiuse il quotidiano e sbuffò una nuvola di fumo fuori dalla finestra.

«Non mi riguarda davvero o perché non vuoi che mi riguardi?»

Lo sguardo fisso sulle nuvole, mormorò: «Non ti riguarda davvero, non questa volta; ma, se ci tieni a sapere di cos'abbiamo parlato, te lo dirò. Non ho nulla da nascondere, non io».

«Gentile da parte tua!»

Si portò la sigaretta alle labbra e disse: «Lo faccio solo per evitare che tu vada a infastidirlo con delle domande, tutto qui».

Darrell si lasciò cadere con le spalle contro il montante della porta e incrociò le braccia al petto. «Avanti, allora, sono tutto orecchie.»

«Gli ho proposto di tornare nella casa in cui ha passato gli ultimi anni in compagnia di sua nonna.» Lo vide assumere un'espressione strana, quasi perplessa e, prima che potesse aprire bocca, continuò: «L'ho fatto per lui, ovviamente, ma anche per il libro. Aiuterà entrambi per motivi diversi».

«Mi sfugge il modo in cui aiuterà lui» borbottò Darrell, indurendo i muscoli del viso. «Ti rendi conto che, in quella zona, ci sono delle persone che vogliono fargli del male, vero? Lo stai portando lì, da loro.»

«Ma non sarà solo» obiettò. «Ci sarò io con lui. Non correrà alcun pericolo.» Era così convinto che, quando gli vide aggrottare le sopracciglia, sospirò irritato. «Cosa c'è, pensi forse che io non sia in grado di proteggerlo?»

«Esattamente» confermò. Gli vide assumere una postura retta dinanzi alla finestra ed ebbe come l'impressione che lo stesse sfidando. Così scosse la testa, mentre lui, allontanando la sigaretta dalle labbra, strinse il filtro tra indice e pollice. «Non lo dico per farti dispetto, ma perché penso che non si debba scherzare con certa gente.»

«Certa gente?» echeggiò con le sopracciglia sollevate. «E tu pensi di poterne parlare perché hai incontrato uno di loro di sfuggita?»

«Penso di poterne parlare perché ho un cervello, anche se l'averne incontrato uno mi rende automaticamente una voce più che autorevole.» Vide Gabriel portarsi una mano al viso e si sentì schernito, tuttavia non volle cogliere quella provocazione e, arricciando il naso, disse solo: «Chiamerò Judy».

«Per quale motivo? Hai già intenzione di attaccarti alla bottiglia?»

Darrell restrinse lo sguardo con biasimo. Avrebbe voluto ricordargli che era stato lui quello che, solo la sera prima, lo aveva fatto; tuttavia si trattenne e, anzi, continuò con il mento alto: «Verrò con voi. Non ti lascio fare questa stronzata da solo, Fratellino».

Note:

Ciao, ragazzi!

E anche questa volta ci siamo; spero che il capitolo vi piaccia e che la storia vi stia interessando, anche perché adesso le cose si complicheranno un po' a causa della brillante idea di Gabriel. Non vi anticipo nulla, ovviamente, ma provate a immaginarvi cosa potrebbe accadere a Short Strand, nel frattempo...

Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate un commento e una stellina, mi farebbe tanto piacere! E un baciottolo!

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