CAPITOLO XI (R) ✔ - La frustrazione
Successivamente alla sconvolgente testimonianza di Gozzi, lo spacciatore da lui citato venne rintracciato e condotto in commissariato. Qualora fosse stato confermato che era lui l'uomo che forniva la droga a Poretti, la sua posizione avrebbe preso una piega senza dubbio poco piacevole.
Luca Mancini era un uomo dall'aspetto tutt'altro che intimidatorio, di media altezza, i capelli neri tagliati di fresco, la barba corta e ben curata. Indossava abiti firmati e il suo viso appariva colorito e in salute.
Non era certo il tipo di persona che avrebbero pensato di trovarsi di fronte.
In genere, i piccoli spacciatori erano solo dei tossici un po' più intraprendenti e ripuliti, che miravano a fare più soldi possibili solo per non farsi mai mancare le dosi giornaliere.
- Posso sapere che cazzo volete da me? - esordì Mancini, rivelando così un carattere tutt'altro che affabile.
Si trovavano nella sala degli interrogatori ed era presente anche Gatti, che a causa delle sue sigarette aveva già reso l'aria della piccola stanza irrespirabile.
- Prima di tutto abbassi i toni, Mancini. Sicuro di non voler telefonare al suo avvocato? Qualcosa mi dice che ne avrà bisogno! - asserì Barzagli, mentre gli porgeva le fotografie post mortem di Poretti.
- Ma che... -
Mancini prese a sfogliarle. Inizialmente sembrò sconvolto, ma presto tornò a riassumere l'espressione impassibile di poco prima, gettandole alla rinfusa sul tavolo d'acciaio, davanti a lui.
- Allora, Mancini. Cosa ci può dire a riguardo? Immagino che non sia la prima volta che lo vede. - continuò Alessandro, incrociando le braccia.
- Che gli è successo? - chiese a bassa voce l'uomo, dopo un breve silenzio.
- Oh... quello che succede spesso quando si è tossici! Ci si innietta una dose tagliata male e... addio per sempre ! - intervenne Ferro, sorridendogli beffardo.
- Non capisco perché lo stiate dicendo a me, io non mi sono mai drogato in vita mia! - si difese Mancini, sostenendo il suo sguardo.
In quel momento fece il suo ingresso nella stanza l'agente Bassi, la quale richiamando l'attenzione di Giorgio, lo invitò a seguirla all'esterno.
Appena furono fuori Martina gli consegnò il rapporto della perquisizione in casa di Mancini.
- Sono stati trovati ingenti quantitativi di eroina e cocaina, in parte già confezionati e divisi per dosi, oltre a bilancini di precisione e quant'altro. -
Parlò velocemente e con altrettanta rapidità si voltò per tornare al suo lavoro.
- Aspetta, Martina! Aspetta un attimo! - la chiamò Giorgio, afferrandola per un braccio.
Lei si girò a guardarlo, riluttante.
- Non mi dici niente? Il bracciale non ti è piaciuto? Se è così possiamo cambiarlo, la commessa del negozio ha detto che... -
Martina lo interruppe con il semplice gesto di una mano.
- Non è questo il momento per parlarne, devi... devi tornare dentro! - escalmò, e scostando la sua mano dal proprio braccio si allontanò.
Giorgio rimase ad osservarla per un lungo istante con la mano ancora sospesa a mezz'aria, prima di riscuotersi e tornare al proprio lavoro.
Una volta dentro, sfogò tutta la sua frustrazione sull'indagato.
- Mancini... Mancini... poc'anzi si chiedeva come mai venissimo a raccontare proprio a lei tutte quelle storielle su drogati e spacciatori! - lo sfidò con un ghigno crudele sul viso, passando al commissario i documenti che Martina gli aveva appena consegnato.
Gatti diede una rapida occhiata al fascicolo, osservando in seguito Mancini. Il colorito dell'uomo stava lentamente cambiando, da roseo qual era, in quel momento poteva dirsi addirittura pallido e ciò poteva significare che avessero intrapreso la strada giusta. Senza distogliere lo sguardo da quello dello spacciatore, fece quindi cenno all'ispettore di continuare.
- Adesso si decide a parlare o ha intenzione di stare qui a prenderci per il culo ancora per molto? - chiese quest'ultimo fissandolo. Glaciale.
L'uomo a quel punto non fu più in grado di sostenere lo sguardo del poliziotto e i suoi occhi si fecero lucidi. - Cosa volete sapere esattamente? - sussurrò.
- Come ha conosciuto Poretti? Da quanto tempo stavate in "affari" per così dire? -
Fu Barzagli a formulare la prima domanda, mentre Mancini prese ad agitarsi nervosamente sulla sedia. Il suo respiro si fece accelerato, tanto da far sospettare agli inquirenti che fosse in procinto di esplodere in un violento attacco di panico.
- Adriano lo conoscevo da vent'anni. - iniziò, dopo aver deglutito più volte - Il liceo che frequentavo, era a pochi metri dal suo! -
Giorgio e Alessandro si scambiarono un'occhiata, ricordando la strada che ospitava i due istituti scolastici, che effettivamente erano vicinissimi tra loro. In più la moglie di Lorenzo Poretti frequentava proprio quello stesso liceo.
- Però dopo la scuola ci siamo persi di vista, lui si trasferì a Verona, mentre io ho continuato gli studi qua, a Genova. - chiarì l'uomo chinando nuovamente la testa.
- Evidentemente però siete rimasti in contatto, non vorrà farci credere che i vostri ultimi incontri siano stati casuali! - continuò Giorgio.
- Invece è proprio così! Io non l'ho mai più visto né sentito fino a... circa due anni fa. -
Fece una lunga pausa, durante la quale sembrò cercare il coraggio per proseguire. La sua agitazione era tangibile, tanto che si poteva vedere chiaramente il sudore che scendeva lungo le tempie.
Ferro schioccò la lingua spazientito, si alzò e fece il giro del tavolo, arrivando molto vicino a Mancini. Appoggiò entrambe le mani sullo schienale della sedia di quest'ultimo e con la bocca a pochi centimetri dal suo orecchio disse: - Mancini, forse non ha ben chiara la sua attuale posizione. Abbiamo un uomo che lei conosceva da tempo immemore, morto stecchito su una merda di letto, di un altrettanto merdosa camera d'albergo, per overdose di eroina. -
Diede una forte pacca sulle spalle del sospettato, facendolo sobbalzare e continuando a parlare tornò al suo posto.
- Ah... dimenticavo! Il caso vuole che proprio lei, caro Mancini, noto spacciatore della zona, passasse abitualmente a "trovare" il povero Poretti nel suddetto hotel. -
Giorgio era un fiume in piena e non interrompeva nemmeno per un istante il contatto visivo con lo spacciatore, che a sua volta, rispondeva al suo sguardo con occhi colmi di terrore.
- Lei è già nei guai fino al collo, mi creda, e un'accusa di omicidio le assicuro che non è roba da poco! Quindi adesso ci dirà tutto quello che sa o il motivo che l'ha spinta a fare fuori il suo vecchio amico! -
Mancini scosse la testa con vigore, guardando disperatamente i volti di tutti i presenti.
- Non sono stato io ad ammazzarlo, non avevo niente contro di lui, l'ho
rincontrato per puro caso circa due anni fa alla stazione Brignole. Mi disse che di tanto in tanto tornava in città per fare visita alle nipoti e... tra una chiacchiera e l'altra venne fuori che lui si faceva e... sì insomma, io cominciai a vendergli la roba! -
In un altro contesto la spiegazione dell'uomo avrebbe anche potuto risultare credibile. Il problema era quel dannato post-it con la scritta "Invicta". Mancava più di un tassello e qualcosa nel racconto del sospettato non quadrava.
Mancini non stava dicendo tutto.
Ferro si massaggiò le tempie con le dita, se Gatti non fosse stato presente in quel momento, avrebbe assestato a quel bastardo un destro secco dritto in faccia. Guardò con la coda dell'occhio Alessandro e capì che anche lui stava pensando esattamente la stessa cosa.
- Tutto qui? Quindi, se ho capito bene, lei incontra per caso il suo amichetto. - intervenne Barzagli, molto vicino a tramutare in realtà le fantasie sue e del collega. - In seguito appurate che lui è tossicodipendente e lei uno spacciatore provetto, quindi entrate in affari e dopo? In quale occasione decide di vendergli una dose appositamente tagliata in maniera tale da ucciderlo, per poi lasciare che venga trovato il suo "biglietto da visita" del cazzo? - terminò l'ispettore, sbattendo letteralmente in faccia al sospettato, la fotografia che ritraeva il post-it giallo.
Mancini si ritrasse, guardando prima la foto, poi i due ispettori. La stanza era carica di adrenalina, i volti di tutti i presenti erano maschere di tensione e profonda stanchezza e lo spacciatore sembrava aver totalmente perso l'uso della parola. Annaspava, incapace di proferire anche solo una sillaba. Era difficile riuscire a intuire cosa gli stesse passando per la testa in quel momento, ma il suo viso non era più disteso e sereno come quando era entrato.
- Che le succede, Mancini? - Giorgio, in piedi davanti a lui, lo fissò con disprezzo. - Il gatto le ha per caso mangiato la lingua? Mi faccia indovinare, aveva rincontrato per caso anche il fratello di Poretti? -
Gatti, dalla sua poltrona, annuì soddisfatto in direzione del suo ispettore, il quale, completamente padrone della situazione, continuò:
- Poi magari, mentre pescavate, complice qualche birra di troppo, avete cominciato a litigare e quindi... perché no? Ha deciso di mandarlo a far compagnia al fratellino! -
Mancini sgranò gli occhi, mentre una lacrima solitaria scendeva lenta lungo il suo viso, mescolandosi con il sudore.
- E poi il vecchio amico Vacchi... oh sì! Quello sì che era un simpaticone, non è vero? Uhm... forse troppo. Sì. Quindi via! Ammazziamo anche lui! -
Giorgio sembrava in trance agonistica, percorreva la stanza a lunghe falcate, avanti e indietro e mentre Barzagli lo osservava incuriosito, Gatti sembrava al contrario compiaciuto per il modus con cui aveva deciso di gestire l'interrogatorio.
- Ma che cazzo state dicendo? - la voce a malapena udibile dell'uomo, interruppe la marcia dell'ispettore, che si voltò a guardarlo.
-Lo... Lorenzo e Nick sono morti? - chiese Mancini in un sussurro.
Giorgio incrociò lo sguardo con quello del collega, poi crollò stremato sulla sedia muovendo il collo da un lato verso l'altro, ritmicamente, cercando così di sciogliere la tensione accumulata.
Alessandro sorrise ironico.
- Ammesso che non sia stato lei, non li legge i giornali? Non guarda mai la televisione? -
- Vi giuro... non ne sapevo niente, do... dovete credermi! - piagnucolò l'uomo.
Gatti a quel punto fece un cenno ai due agenti oltre la parete a specchio.
- Portate questo bastardo lontano dalla mia vista! -
Gli agenti entrarono, avvicinandosi a Mancini e afferrandolo per le braccia, pronti ad ammanettarlo. Lui tentò una debole resistenza, desistendo quasi subito. Le forze sembravano averlo ormai abbandonato e piangeva: piangeva senza alcuna vergogna.
- Non li ho uccisi io, dovete credermi! Sono stato incastrato... ascoltatemi vi prego! - implorò pietosamente, guardando il commissario e gli ispettori accanto ad esso.
- Chi l'ha incastrata, Mancini? Chi? -
tuonò Gatti sbattendo con violenza un pugno sul tavolo.
La risposta fu un altro lunghissimo silenzio, nel corso del quale l'uomo scosse la testa, abbassandola sconfitto alla fine.
Una rapida occhiata agli agenti e il sospettato numero uno fu condotto fuori, per essere successivamente trasferito in questura.
- Domani parlerà! - furono le ultime parole di Ferro, prima che tutti quanti si alzassero e mettessero fine a quell'estenuante giornata di duro lavoro.
***
Quella stessa notte Mancini fu colto da malore e trasportato d'urgenza in ospedale. Nulla di grave, ma il forte stress subito aveva messo a dura prova le sue coronarie e costretto i medici a ordinare assoluto riposo, almeno fintanto che i suoi parametri fossero tornati nella normalità.
L'appuntamento con i parenti del compagno disabile era fissato per l'indomani, per cui quel giorno, in commissariato, tutti si dedicarono a uno studio approfondito sui fascicoli delle vittime.
La giornata di Giorgio non iniziò nel migliore dei modi, infatti non appena prese posto alla sua scrivania, Martina gli si parò davanti, sfidandolo con uno sguardo freddo e impassibile.
In mano stringeva la piccola scatola contenente il bracciale che lui le aveva regalato e non ci mise molto a capire dove la ragazza volesse andare a parare.
Giorgio la guardò appena, sollevando di poco la testa. Era chiaro che non fosse venuta con l'intento di saltargli al collo felice, nè tantomeno per ringraziarlo.
- Non c'era nessun bisogno che ti disturbassi a farmi questo... regalo! -
esordì infatti lei, indicando la scatoletta - Credevo di essere stata chiara, non voglio avere niente a che fare con te, a meno che non si tratti di lavoro. Tieni! - terminò porgendogli il pacchetto.
Lui non si mosse, nè fece trapelare la minima emozione. Rimase nella stessa posizione di poco prima, a osservare colei che, a poco a poco, parola dopo parola, stava schiacciando sotto le sue scarpe, tutto ciò che aveva creduto fino a quel momento di conoscere in fatto di donne.
Non vedendo reazioni da parte del superiore, Martina lasciò cadere il pacchetto col suo contenuto davanti a lui. Rimase ancora un momento a scrutare la maschera di cera che gli copriva il volto, poi, così come era arrivata, sparì.
Giorgio, rimasto da solo, abbassò lo sguardo verso quello che, aveva pensato, sarebbe stato il mezzo per poter arrivare al cuore della giovane agente.
Era però evidente che la ragazza non fosse poi così interessata a lui.
Aveva già perso troppo tempo dietro a quella verginella acida, d'ora in avanti non l'avrebbe più infastidita, aveva la rubrica piena di ragazze che non avevano certo bisogno di farsi pregare per divertirsi con lui. Non sarebbe stata certo la fine del mondo.
Però, allo stesso tempo, non seppe spiegarsi il motivo per cui afferrò quel maledetto bracciale scaraventandolo con violenza contro alla porta. La stessa dalla quale lei era appena uscita.
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