Prologo

Contea di Rutland, Mahoran
Dicembre 1778

La cittadina di Mahoran era ancora addormentata in quella mattina fredda e gelida. Quella notte aveva nevicato abbondantemente ed ora, alle prime luci del sole, uno strato di neve ricopriva l'intero paesaggio: dall'agglomerato di case e stalle, ai campi dormienti fino al bivio del paese. Nessun abitante vide sopraggiungere quella nube strana che si stava avvicinando troppo velocemente per essere una manifestazione della natura.

Tra quell'impalpabile coltre avanzava, alla testa dei soldati, un uomo robusto dai capelli lunghi e fulvi in sella ad un destriero nero come il mantello pesante che indossava. Al suo fianco, cavalcavano tre giovani fanciulli e, dietro a loro, una trentina di soldati.

Le fiaccole accese che reggevano in mano potevano farli assomigliare a una carovana che giungeva lì per rifocillarsi e riposarsi dopo una lunga nottata di cammino. Non era così. I soldati varcarono le porte della cittadina e le gettarono sui tetti delle case.

L'odore di cenere e di bruciato si sparse per tutto il paese che si svegliò in preda alla paura e alla disperazione: contadini e mercanti correvano tra le case in fiamme e, per sfuggire a quell'aggressione, si gettavano a terra, si nascondevano e cercavano di scappare verso il bosco poiché a quei soldati non bastò incendiare e bruciare ma li inseguivano sfoderando le loro spade.

Le donne stringevano i loro bambini cercando riparo tra gli alberi ma non tutte riuscirono a trovare rifugio. Alcune vennero issate a peso sui cavalli di quei rozzi soldati e, cercando di liberarsi in ogni modo, mordevano e si divincolavano come possedute.

«Agguantatele per i capelli!» ordinò il fanciullo alla sinistra dell'uomo fulvo, osservando come una di quelle ragazze si gettò a terra.

Si udì una grassa risata sardonica. «Frederick, siete il mio degno erede» disse l'uomo, afferrando la spalla del suo figlio maggiore. Con un colpo di reni spronò il cavallo a tornare sui loro passi e l'intera comitiva uscì dalla cittadina lasciando solo cenere e desolazione.

Giunti al bivio Louis Reed McGregor ebbe occhi solo per quella freccia rossa che balenava sul palo di legno, la cui punta era diretta verso sud est. Non vi era bisogno di leggere quelle lettere bianche per lo scozzese. La conosceva fin troppo bene. «Può bastare per oggi. Il fumo sarà visibile anche a Verseshire House».

I soldati tornarono nei propri territori silenziosamente com'erano giunti, portando con loro il bottino razziato: donne, cibarie e oggetti di valore sopravvissuti alla devastazione.

McGregor aveva ragione. Alla finestra il III conte di Rutland osservava, disperato, quella colonna di fumo.

«Non posso attendere oltre» sospirò, rivolgendosi all'uomo dietro di sé. «La mia gente sta morendo».

«Basterà firmare e avrete tutti i miei soldati. Cacceremo via per sempre quella feccia e la sua stirpe» rispose lord Dowen.

James Verseshire sapeva a cosa si stava riferendo l'amico ma qualcosa lo frenava. Le promesse lui le manteneva, era uno dei suoi meriti, ma in quella situazione avrebbe dovuto rimangiarsi la più importante.

«Dopo Fort Carillon potete fidarvi di me» lo incoraggiò Dowen. «Vi ho raccolto tra i cadaveri e portato in salvo».

«Di questo ve ne sarò per sempre grato, George. Qualche sera mi pare ancora di udire gli ultimi gemiti di quel ragazzo accanto a me. È stata una vera e propria disfatta!»

«Impiegheremo molti anni prima di poter guardare a tutte quelle morti senza rabbrividire». Era stato proprio il lontano parente del marchese Dowen, re Giorgio II, a dare l'ordine di attaccare il forte francese sulle sponde del lago Champlain nella colonia d'oltreoceano.

«Le guarnigioni erano sprovviste di artiglieria ed era inevitabile che finisse con la nostra sconfitta» sospirò il conte Verseshire. «Ringraziai il cielo quando mi tiraste fuori dalla massa di cadaveri che erano divenuti i miei uomini. Non sapevo come chiedere aiuto e a chi. Oggi come in passato».

«James, sapete bene che cosa voglio in cambio».

«E sia. Datemi il contratto» cedette infine, con una fitta al cuore.

Il Marchese si voltò verso il suo valletto che, silenzio, uscì dalla stanza per tornare poco dopo reggendo un vassoio e una candela accesa. Lo depositò sul tavolo dello studio e i due nobili si chinarono per siglare quella promessa che avrebbe unito per sempre le due famiglie.

«Firmate qui». Dowen indicò un punto preciso alla sinistra della lettera.

Il Conte prese il pennino, sottoscrisse e poi aggiunse: «Le nozze si celebreranno solo al compimento dei diciassette anni. Lasciatemi godere della sua compagnia ancora un po'».

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