Capitolo 3 - La verità
Mahoran,
Verseshire House
Era l'alba di domenica, la festa del Signore, ma non riuscivo a rallegrarmi. Il sole non era ancora sorto ed io ero affacciata alla finestra aperta, incurante del vento che entrava. L'ultimo spicchio di luna illuminava una figura che stava risalendo il vialetto diretta alla chiesetta; doveva essere pastore Wood.
Indossai un abito verde, un modello semplice e senza fronzoli, mi sedetti alla toeletta e iniziai a spazzolare i capelli.
Lord Verseshire doveva rispondere ai miei dubbi e lo avrebbe fatto proprio quel giorno. Ero cresciuta con l'amore rispettoso dei miei genitori e lo pretendevo anche dal mio futuro, nessuna amante e nessun figlio illegittimo. Soltanto io e lui. Se non c'era l'amore avrei preteso almeno il rispetto.
"Come affronterò l'argomento? Con quali parole?" pensai.
Mi guardai allo specchio ma non ebbi alcuna ispirazione. Con un sospiro mi voltai alla ricerca di qualche suggerimento nei tendaggi bianchi delle finestre, nelle coltrine dorate del letto, nei fiori freschi posti sul tavolo da toeletta. Il nulla.
Sconsolata, tornai a letto sperando di scivolare in un sonno premonitore e dovette accadere perché quando sentii la voce di Anne il sole entrava dalla finestra lasciata aperta.
«Milady, siete sveglia? Vi sentite male?»
«Sto bene» mormorai. «Devo prepararmi per la messa?».
«E' tardi per quella, milady. Sono le due di pomeriggio. Non riuscivamo a svegliarvi.»
«Ho perso la messa dunque? E chi sentirà mia madre ora» sbuffai.
«Non vi preoccupate. Daremo la colpa al mal di testa.»
«Avete ragione, Anne. Mio padre?»
«In biblioteca, milady. Volete fare colazione qui in camera?»
«Sì, buona idea. Questa mattina ho bisogno del caffè.»
«E la composta di fragole che vi piace tanto?»
«Anche quella» confermai, alzandomi dal letto e cercando di lisciare le pieghe dell'abito.
Consumata quel semplice pasto scesi in biblioteca e trovai mio padre alla scrivania, da solo. Era talmente preso dalle carte che non mi sentì arrivare se non quando mi vide in piedi davanti a lui.
«Padre, ho bisogno di parlarvi.»
Alzò dunque lo sguardo e m'invitò a prender posto sulle sedie blu di fronte. «Preferisco stare in piedi. Ditemi. Avete già preparato tutti i documenti per le nozze?»
«È tutto sistemato, Amelie. Al momento la mia preoccupazione è su altro» rispose frettoloso, tornando alla sua lettura.
«Il conte e io non vogliamo sposarci.»
«Ma lo farete, Amelie. Lord Dowen e io abbiamo firmato l'accordo. Siete ufficialmente promessa.»
No, non poteva essere. Edwin aveva ragione. Sentii le lacrime al lato degli occhi, ma strinsi i denti per non farle scendere.
«Mi state dicendo che se lui volesse sposarmi oggi, potrebbe farlo?»
«Sì, figliola.»
«Non è possibile...padre...»
Mi aveva illusa promettendo di rendermi partecipe del mio futuro, lo avrei costruito io e avrei scelto chi sposare. Non avevo idea di quanto invece fossi succube del volere degli adulti.
«Possiamo modificare il contratto?»
«Non ne vedo il motivo.»
«Mi avete ingannato! Da sempre!»
«Non era mia intenzione.»
«Non potete trovare una scusa per negare la mia mano?»
«No» s'irritò. «Ho dovuto assecondare la richiesta di Dowen per proteggere tutti noi.»
«Il figlio del vostro amico vuole sposarmi nonostante ami un'altra donna!»
«Sciocchezze» minimizzò con un gesto della mano. «Voi sarete sua moglie e lei solo un'infatuazione passeggera.»
« Berdyshire non rinuncerà a lei!»
«Cambierà idea molto presto, Amelie.»
Dov'era finito il padre comprensivo e affettuoso che conoscevo?
Davanti al quella freddezza mi sentii disperata, gli occhi ora erano colmi di lacrime e le forze mi stavano abbandonando. Avrei voluto scappare via, fuggire, nascondermi ma la mia angoscia crebbe maggiormente quando mi resi conto che non sapevo dove andare. Caddi di peso sulla sedia blu che avevo davanti.
Lord Verseshire abbandonò la scrivania e si avvicinò. «Mia cara...non è così brutto il vostro futuro. Pensate. Andremo a corte.»
Alzai il capo. «A corte?»
«Abbiamo bisogno dell'assenso reale per celebrare le nozze» e mi rivolse un sorriso comprensivo. «Rivedremo Dana.»
«Valgo così poco per voi? Pensate veramente che rivedere mia sorella mi sollevi da questa situazione?» mormorai.
«Suvvia. State facendo una scenata per una amante sola. Le ho avute anch'io e vostra madre...»
Improvvisamente le pareti attorno a me presero a girare e le orecchie a fischiare. Non riuscivo più a udire il ticchettio dell'orologio posto sulla scrivania e nemmeno il mio respiro. «Voi... che cosa?»
«Vostra madre ne era a conoscenza.»
Pericolose nubi scure oscurarono la mia vista e, prima che lord Verseshire potesse fermarmi, scappai. Scappai lontano da lui. Lontano da colui che credevo fosse il mio eroe buono.
Ma non ripercorsi i passi di poco prima verso la mia stanza, no. Il lungo corridoio portava al cortile ovest dal quale si accedeva al bosco ed era proprio questo la mia meta. Non m'importava del vestito verde che s'impigliava tra i cespugli bassi, delle foglie e dei rami che mi rovinavano la treccia e nemmeno delle scarpe che persi lungo il tragitto. Corsi e basta. Quando le forze vennero meno scivolai a terra e urlai a pieni polmoni. Mi lasciai scuotere dal vento e dal suo fruscio tra le chiome degli alberi finché mi sentii del tutto vuota. Chinai la testa tra le ginocchia e lì attesi, non so bene che cosa e per quanto tempo. Iniziai a sentire freddo, il sole stava tramontando.
Sentii una leggera carezza sui capelli e poi la voce delicata di mia madre.
«Amelie, entrare nella famiglia Dowen è un privilegio. Diventerai una contessa e, quando Dio lo vorrà, una marchesa. Sarai riverita e servita finché vivrai e, una volta giunto l'erede maschio, anche apprezzata da tutti.»
Non erano queste le parole di cui avevo bisogno. Mi sentivo a pezzi. Il mio mondo, il sogno di una vita, era stato spazzato via ed io mi sentivo vuota.
«Avrete molti amici influenti. Lord Dowen è imparentato con la famiglia reale quindi ci sarà sempre una buona parola da parte di Sua Maestà.»
Non ottenne da me alcuna risposta.
«Tutta la contea ti sarà grata, Amelie. L'avrete protetta da quei villani dei McGregor una volta per tutte. Giusto stamattina sono corsi qui altri contadini che giurano di aver udito i loro cavalli tra gli arbusti al mattino. Sono oramai ai confini est della proprietà, di nuovo.»
Non so bene che cosa mi fece alzare la testa ma avvenne e trovai in lei uno sguardo di comprensione.
«Ti affido alle cure di Anne ora. Mi aspetto di ritrovarti al più presto in una vasca di acqua bollente per scongiurare una infreddatura» e mi diede un delicato bacio sulla nuca, come soleva fare quando ero una bambina, per poi precedermi a casa.
Anne era a pochi metri ed attendeva, in silenzio, vicino alla sequoia. Mi offrì la sua mano calda e mi sorresse per tutto il tragitto di ritorno. Il suo vestito scuro si mescolava al mio, ai brandelli della gonna che sembravano molto simili a quelli della mia anima.
«Quello che vi serve ora è un buon riposo. Avete anche saltato il pranzo. Ho fatto preparare un po' di pane e formaggio nelle vostre stanze.»
Una volta in camera consumai quel leggero pasto e mi riscaldai nella vasca di acqua bollente. Mi preparai poi per la notte e, mentre le cameriere svuotavano e pulivano, mi distesi a letto tirando i tendaggi chiari.
«Milady, qui è tutto in ordine. Se avrete bisogno di me, starò qui fuori ancora per un pò» avvisò Anne.
Ero convinta di addormentarmi subito data la mia giornata, ma ciò non avvenne. Osservavo il tendaggio del baldacchino da non so quanto tempo quando sentii un fiacco bussare allo scuro della finestra. Era un rumore leggero come se quel qualcuno non volesse disturbare l'intera casa e neppure spaventare me.
"Chi può essere?" mi chiesi sperando non fosse la solo una persona che mi era giunta in mente.
Armandomi di coraggio scesi dal letto e afferrai il candelabro sul tavolino che avevo affianco. Con lo stomaco chiuso in una morsa, aprii di poco lo scuro e l'oggetto che tenevo in mano rimase a mezz'aria.
«Buonasera, lady Amelie.»
«Lord Thomas, ma...come...» chiesi, strabuzzando gli occhi. Il secondogenito dei Dowen era davanti a me, seduto sulla balaustra del terrazzino che dava sul cortile interno.
«Ho corrotto il giardiniere per farmi indicare la vostra stanza.»
«E perché lo avreste fatto?»
«Vi ho cercato in tutta la casa» ammise, strizzandomi l'occhio.
Quel gesto fece aumentare i battiti del mio cuore e sentii una vampata di calore, che non centrava nulla con il bagno caldo di poco fa.
«E per quale motivo, milord?»
«Non milord. Solo Thomas. Avete forse litigato con il vostro promesso?»
«Lui non è il mio promesso» risposi di getto, pentendomi subito dopo.
"Gli hai appena confessato che non vuoi sposare suo fratello? Complimenti Amelie".
«Non deve essere un bell'uomo dal vostro punto di vista» convenne, ignaro del mio turbamento.
«Milord...»
«Thomas...parlate liberamente con me, Amelie.»
E fu proprio così. C'era qualcosa in lui che mi faceva aprire. Era amichevole e disponibile, l'opposto del fratello, che mi piaceva parlare insieme. «Non parlo del suo aspetto fisico, milord, sono i suoi modi che mi fanno... impazzire!»
«Non brilla certamente per sensibilità, ma credo sia dovuto anche alla sua educazione. La contea di Berdyshire era sua ancor prima che nascesse. Ha sempre avuto tutto quello che desiderava.»
«Il rispetto per gli altri dovrebbe essere uno dei primi insegnamenti. Vostro fratello invece ne sembra sprovvisto.»
Si stava avvicinando, tanto da riuscire a sentire il profumo di menta e sapone, e il filo dei miei pensieri si perse in quegli occhi scuri e in quel ciuffo castano che gli scivolava sul viso.
«È un conte. E vi vuole in moglie» sussurrò a due spanne dal mio viso.
«Non importa» risposi.
In quel momento non esisteva regola sociale o pettegolezzo, ma solo quella sensazione che mi percorreva tutta e m'incatenava a lui. I nostri nasi si sfiorarono e percepii il suo respiro diventare pesante. Poi li udimmo. Due colpi alla porta della mia stanza e l'incantesimo si ruppe.
Posai le mani sul suo torace. «Dovete andare via, subito.»
«Non prima di avervi salutata per bene.»
Posò le labbra sulla mia mano così lentamente che, appena mi lasciò sola, controllai di non aver un marchio di fuoco lì dove aveva premute. Le mie guance erano un'altra storia.
I Dowen ripartirono il giorno dopo e ci saremmo visti direttamente a corte per chiedere la benedizione di Re Giorgio III.
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