MALIK L'ANGELO CADUTO
Delia si svegliò indolenzita, la schiena le faceva male.
Il vento passava tra i suoi capelli ondulati.
I fili d'erba dondolavano.
Le foglie degli abeti frusciavano, facendoli cantare.
In lontananza gli uccellini cinguettavano allegri.
Il sole splendeva nel cielo limpido, tinto di azzurro chiaro.
Delia si alzò e si appoggiò alla parete umida della grotta.
Fece qualche piccolo passo calpestando alcune pietre.
Rivolse il suo sguardo assonato verso l'interno della cupa caverna.
Si inoltrò nell'oscurità.
Le tenebre l'avvolsero nel più assordante silenzio.
Rimase immobile, per qualche minuto, con l'orecchio teso.
Un rumore di passi stava venendo verso di lei.
Presa dal panico scappò verso l'uscita.
Qualcuno la stava seguendo.
Delia pensò che ormai era spacciata. Se era un animale feroce, come un orso o un lupo mannaro, l'avrebbe sbranata viva, lasciando solo un mucchietto di ossa.
Una voce attirò la sua attenzione. «C'è qualcuno?»
Delia fu colta dalla paura. Il cuore cominciò a martellarle forte nel petto. Smise di respirare.
Provò a farsi coraggio. «Mi chiamo Delia, mi sono persa», disse con voce tremante.
Si girò verso il buio, ma non scorgeva nessuno.
La figura misteriosa si trascinava lenta sul terreno ghiaioso.
La fanciulla, ancora con il fiato sospeso, aveva una grande paura di scoprire che razza di creatura fosse.
La luce mattutina illuminò i suoi piedi. Erano quelli di un uomo con le unghie ricurve e molto aguzze di colore giallastro.
Delia indietreggiò. Aveva gli occhi sgranati e pieni di terrore puntati verso il corpo di questo essere sconosciuto. Lo stava conducendo fuori dalla grotta. Nella penombra cominciava a scorgere il suo contorno.
Aveva le gambe lunghe e le cosce e polpacci muscolosi. Il bacino era coperto da una specie di lenzuolo aggrovigliato attorno alla vita.
Le mani erano grandi, con dita affusolate e unghie a punta, meno aguzze di quelle dei piedi, ma dello stesso colore. Le braccia erano muscolose come le gambe, striate di vene violacee.
Delia si stava rendendo conto di quanto fosse alto. Il suo viso venne abbagliato da sole e rimase meravigliata.
Il suo viso aveva lineamenti graziati, aveva le guance leggermente infossate e gli zigomi pronunciati. I suoi occhi erano grandi, di un azzurro intenso e brillavano alla luce del sole. I capelli erano dorati, gli cadevano ondulati fin sopra le spalle.
Sarebbe stato perfetto se non fosse stato per il corpo rovinato, ricoperto di ferite e di cicatrici, pari a quello di un morto. Sembrava che avesse combattuto una disastrosa guerra.
Pensò che si fosse perso anche lui.
Delia era scioccata e un po' intimorita.
Si domandava da dove provenisse e che cosa ci facesse tutto solo in questa grotta.
Rimase ferma.
Dietro alla schiena aveva delle strane protuberanze: aveva le ali. Ali corvine simili a quelle di un pipistrello con grossi artigli affilati.
Delia fu di nuovo pervasa dal timore. Voleva scappare, ma qualcosa la immobilizzava: lo sguardo di lui l'aveva ipnotizzata, era incantata dalla sua forma, dal suo corpo, dai suoi lineamenti e dal suo volto, che non sembrava affatto brutto e cattivo, era invece di una bellezza enigmatica, nonostante la sua carnagione pallida e la pelle lacerata da tagli non ancora rimarginati. Quel volto angelico suscitava fascino e misterioso.
«Chi sei tu?» Le parole le uscirono libere dalla bocca.
«Mi chiamo Malik. Sono un angelo caduto.»
Le brillarono gli occhi dallo stupore, non ci credeva che davanti a sé c'era una creatura celeste.
Era molto incuriosita. La paura l'abbandonò.
«Cosa ci fai qui?»
«Ti conviene andartene, non è posto per una fanciulla.» tagliò corto, indietreggiando.
«Ecco, io mi sono persa...» Pronunciò a bassa voce.
«Mi dispiace, io non posso aiutarti e nemmeno lasciare questo posto. Adesso per favore scappa, sparisci», scomparve nelle tenebre. «Vedrai che la strada la ritroverai. Addio.»
Delia lo seguì. Era troppo attratta da lui, non voleva lasciarlo lì, tutto solo, in quel buco freddo e oscuro. Il suo pietoso stato le aveva fatto provare tenerezza e una certa pena, voleva aiutarlo a liberarsi da quel posto.
Malik si sedette su una roccia sporgente.
La fanciulla gli comparì davanti.
«Non vuoi ascoltarmi», alzò la voce. «Ma lo sai che posto è questo?»
«Sì è una grotta», rispose ferma e decisa. «Da dove tu.» Gli puntò l'indice contro. «Dovresti uscire e prendere un po' di luce e aria fresca», constatò in modo innocente.
Si inginocchiò davanti a lui, appoggiando le mani sulle sue ginocchia.
«Tu stai male...»
Le morbide e calde mani accarezzarono le gambe di Malik. Era la prima volta che qualcuno lo toccava.
Non si era mai imbattuto in creature umane. «Di dove sei?» La sua domanda sorse spontanea.
«Provengo da un piccolo paesino, ma...» Le salì un strano nodo alla gola «Mi sono persa. Ero andata a raccogliere dei frutti di bosco. Ho visto uno splendido cerbiatto e l'ho rincorso. Ho smarrito la strada di casa. Era quasi il tramonto e ho trovato questa grotta e ci ho passato la notte.» Delia si ridestò. «E tu che ci fai qui tutto solo? È la tua dimora? È per questo che non vuoi lasciarla?»
Malik si voltò e indicò un punto buio e indefinito. «Vedi da quella parte?»
La fanciulla annuì.
«Per di là c'è una porta che ti conduce all'Inferno ed io sono uno degli angeli guardiani. Proteggo voi umani in modo che non entriate mai in quel posto maledetto. Chiunque varcasse quella soglia, da vivo o da morto, non riuscirebbe più a farvi ritorno.»
«Allora sei più un...»
Malik sospirò e concluse per lei. «Sono un demone, sono stato costretto a diventarlo.»
Delia scorse una nota di tristezza e di dolore nei suoi occhi, che erano diventati lucidi.
«Qualcosa dentro di me cominciò a crescere e a mettere radici. Mi assalì la frustrazione e la rabbia che si mescolò al dolore. C'erano notti che questa sofferenza sembrava quasi dilaniarmi l'anima: urlavo, piangevo, tiravo pugni alle pareti, mi graffiavo con le unghie. Mi sembrava di impazzire. Il dolore mi ha ucciso l'anima. Le tenebre l'hanno fatta diventare nera e marcia come il carbone. Ho perso la mia grazia angelica. Sono secoli che ormai convivo con questo fardello. Ormai ci sono abituato, ma continua a fare male.» Stava piangendo. «Sono solo e abbandonato.»
Delia gli asciugò con i pollici le lacrime umide. Gli diede un delicato bacio sulla fronte come se fosse la creatura più fragile dell'universo.
Intrecciò le mani alle sue. «Stai tranquillo ci sono io adesso. Mi prenderò io cura di te. Te lo prometto.»
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