L'INGANNO DEL BALLO
Una settimana dopo...
"La corte di Vasilescu,
annuncia l'apertura del Primo Ballo Delle Debuttanti
Sabato 29 Aprile alle ore 20:00
Castello Reale, città di Brașov.
Dopo la cerimonia gli invitati saranno lieti di festeggiare insieme alle famiglie nobili del regno.
Il Re e la Regina della Transylvania"
Il cielo sereno era trapuntato di fulgide stelle argentate. Il bosco oscuro era caduto in un pesante sonno di quiete. Un cocchiere guidava veloce una carrozza verso una via dissestata e ciottolata, aiutato dalla fievole luce di una candela custodita all'interno di una lanterna di vetro.
Clarissa sobbalzava e sbuffava a ogni buca in cui le ruote affondavano nelle pozzanghere fangose. Aveva le iridi malefiche puntate contro la madre. Indossava un semplice candido abito di seta, liscio, dalla gonna vaporosa. Ai piedi portava un paio di ballerine. I guanti lucidi le coprivano le braccia fino ai gomiti. I capelli erano raccolti con due fermagli di perle a forma di rosa. Un bianco velo sottile le copriva il capo e scendeva fino al bacino.
«Non guardarmi con quello sguardo cattivo.» Rocsana era stanca di ricevere occhiatacce dalla figlia. Era già abbastanza sotto pressione.
«Io voglio ritornare a casa. Non mi importa nulla di questo ballo, né di quel...» Si soffermò a riflettere, osservando le tenebre fuori dal finestrino.
«Andrei», la rimbeccò la madre, roteando gli occhi all'insù, spazientita. I suoi piedi picchiettavano sulle assi del legno del calesse. In mano teneva stretto un fazzoletto inamidato con il quale di tanto in tanto si asciugava i sudori. «Non possiamo più tornare indietro.»
La fanciulla si abbandonò sul divanetto di velluto rosso.
Rocsana si protese e prese per mano la figlia.
Clarissa la scrutò di sbieco. Infastidita si ritrasse. Era inutile che mostrasse del finto affetto per lei. Non l'avrebbe mai rassicurata tantomeno confortata.
«Mi raccomando sii educata e gentile. Sii elegante, raffinata e non goffa. Schiena e spalle sempre dritte. Non dimenticarti di sorridere a ogni gesto o complimento altrui. Devi fare assolutamente una buona impressione.»
«Altrimenti?» Tentò di provocarla.
Rocsana si bloccò, lanciandole uno sguardo severo. Si ricompose subito, ignorando la sua tentata istigazione. Non aveva voglia di litigare. «Vedrai ti divertirai.» Le mostrò un sorriso forzato. «Andrei è un bell'uomo. Legherete presto. Ne sono sicura.»
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La carrozza si arrestò davanti all'ingresso del castello reale della famiglia governante dei Vasilescu.
Due guardie armate di lancia andarono ad aprire la porta alle due invitate.
Rocsana cacciò il viso fuori.
Al di là di un ponte levatoio c'era un portone spalancato di legno massiccio. Le mura erano costruite in infinite file di spessi mattoni di pietra grigia. Le fiaccole appese alle solide pareti erano tutte accese, rischiaravano l'ingresso di una luce calda e aranciata.
Rocsana mise la mano in quella dell'uomo e saltò già dalla carrozza. Fece un lieve inchino «Grazie.»
Clarissa si affacciò furori. Ignorò l'aiuto delle guardie e scese anche lei, affondando le scarpette nel terreno ghiaioso.
Sua madre si voltò e le lisciò la gonna dell'abito, sgualcita dal lungo viaggio. «Tuo padre e i tuoi fratelli ci raggiungeranno a breve. Noi intanto entriamo.»
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Passarono al centro di un antro deserto e silenzioso. Altre due guardie le invitarono a salire una vertiginosa scalinata coperta da un lungo tappeto vermiglio. Una serie di arazzi scendevano dal soffitto, la luce delle candele appese ai tripodi sul muro mettevano in risalto ogni pregiato filamento, ogni fantasioso dettaglio colorato.
Clarissa ammirava assorta l'incantevole palazzo reale. Non era mai stata dentro a un castello. Era affascinata. Era come uno di quelli descritti nelle fiabe che tanto amava leggere.
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Giunsero davanti una porta chiusa, affiancata da due guardie reali. Una di loro compì un passo verso Rocsana. «Buonasera. Benvenute a corte. Come vi devo presentare?»
La donna diede entrambi i nominativi.
L'uomo in divisa acconsentì e si voltò per aprire il varco.
«Ci siamo.» La donna prese per mano la figlia. Era impaziente e molto agitata.
Clarissa emise un sospiro pesante. Si grattò il braccio. I guanti le pizzicavano la pelle. Stava iniziando a detestare quell'abito ampio e scomodo. In quel momento avrebbe tanto desiderato essere nella sua dimora, chiusa a chiave nella sua stanza sotto le calde e soffici coperte a immaginare una storia che non era la sua.
La porta venne aperta.
«Rocsana e Clarissa Dimitrescu.» La guardia annunciò la loro presenza al ballo.
La sala era gigante e maestosa. Il pavimento era lucido, in marmo bianco, delle sottili venature ambrate lo percorrevano in tutta la sua ampiezza. In ogni mattonella era inciso lo stemma della famiglia reale: un corona ornata da foglie di basilico gialle e blu. Le mura erano tinte di un rosa tenue sfumato di ocra. Nella parte superiore si estendevano, su tutte le quattro mura, grandi affreschi che coprivano l'intero soffitto. Raffiguravano la storia della regione e della sua dinastia di famiglie di cavalieri e nobili reali. Ognuno era circondato da cornici dorate e intarsiate da fili di foglie e da boccioli di peonie appena fiorite. Era un tripudio di arte e autentica meraviglia. Le vetrate ogivali erano illuminate dalla luce delle candele poste sopra dei tavoli. Riflettevano i colori dell'arcobaleno sul pavimento creando una magia variopinta e iridescente. Drappi pesanti di tende scarlatte cadevano ai lati delle finestre, erano legate da spesse coppie di corde intrecciate le une sulle altre.
Le invitate varcarono adagio la soglia.
Tutti si voltarono. Si fermarono a osservarle dal basso verso l'alto con aria curiosa e altezzosa.
Clarissa fremette, non si aspettava tutta quella gente.
Sua madre con un gesto la sospinse ad avanzare. Non conosceva nessuno. Incontrava solo volti estranei.
Nella sala era calato il silenzio.
La fanciulla percepiva i loro occhi puntati solo su di lei. Non era abituata alle attenzioni altrui. Iniziò a nutrire imbarazzo, le sue guance si sfumarono di rosso.
In fondo c'era una doppia scalinata laterale che portava a un piano superiore. Seduti su due troni vi erano il Re e la Regina.
Attorno alla folla vi erano disposi a cerchio una serie di tavoli imbanditi dalle tovaglie candide e sontuose. Sopra erano esposte le più gustose e rare prelibatezze che la corona potesse offrire ai suoi sudditi. I calici di cristallo traboccavano di vino rosso.
Clarissa sembrava di stare sognando. Era un luogo surreale e strabiliante.
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Altri invitati arrivarono e la gente con calma distolse l'attenzione dalla fanciulla che ritornò a essere solo un puntino bianco tra la folla.
Rocsana si mischiò ai chiacchiericci della gente presente.
Le raggiunsero anche il marito e i due gemelli.
Serghei si avvicinò alla moglie baciandole la guancia.
«È tutto pronto?» Sibilò il marito alla moglie.
«Credo di sì, forse dobbiamo solo attendere qualche minuto.»
Eric e Filip, senza farsi beccare, andarono a rubare dei bignè alla vaniglia. Con la bocca piena, scrutavano le giovani fanciulle, rivolgendo commenti sgraditi e maliziosi.
Clarissa era incantata dalla sublime bellezza del castello, ma era anche molto spaesata. Veniva sempre trattata male dagli altri esseri umani che aveva imparato a prendere le dovute distanze, non aveva mai più instaurato relazioni, infatti era senza amiche. Li detestava tutti quanti. Preferiva soffrire la solitudine piuttosto di venire sempre offesa dalle persone del villaggio e dai suoi genitori.
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Si scostò dal padre e dalla madre. Iniziò a girovagare per la sala in cerca di un disperato sguardo familiare. Andò a sbirciare tra i buffet. Non aveva mai visto così tanto cibo in vita sua: era solo uno spreco. Notò che nessun altro membro del suo paesino era stato invitato. Le risultò strano, non era l'unica ragazza giovane che avrebbe dovuto debuttare.
L'orchestra posizionata, in ombra, in fondo alla sala suonò una breve e profonda melodia.
Tutti smisero di parlare e si voltarono verso i sovrani.
Il Re e la Regina si alzarono e allagarono le braccia in segno di benvenuto alla loro gente, decretando ufficialmente l'apertura del primo ballo della stagione.
Rocsana si accorse che la figlia era sparita. Si portò la mani al viso. Le salì il panico. Andò a cercarla ovunque chiedendo in giro se qualcuno l'aveva incrociata.
La trovò vicino a un tavolo che assaporava una succosa fragola. L'afferrò per una spalla e la fece voltare. «Ma dove ti eri cacciata...» La strattonò per un braccio portandola via dal banchetto. «Fra poco iniziano le danze.»
Clarissa sbuffò. La sua voglia era sepolta sotto il terreno più umido e bruno.
«Devi tornare subito al tuo posto.»
La sala si divise in due schiere, il centro fu lasciato libero.
A sinistra si presentarono le fanciulle mentre a destra i giovani corteggiatori.
La madre sospinse Clarissa a prendere posto.
«Ma io non so ballare», confessò voltandosi verso di lei.
«Sorridi e fai finta di niente.» Con un gesto della mano la costrinse a seguire le sue coetanee. «Coraggio.»
L'orchestra riprese a suonare una gioiosa melodia.
La fanciulla copiò i movimenti delle compagne, sicuramente più esperte e più felici di lei di partecipare al ballo e di conoscere il loro futuro sposo, nonché marito con il quale avrebbero legato per il resto della vita.
Andò incontro a un giovane alto e snello. Aveva i capelli folti, boccoli color del grano gli coprivano la fronte. Due occhi blu, profondi come il mare, la fissavano con intenso ardore. Le sue sottili labbra si incurvarono in un lieve sorriso.
Si incontrarono. Lui prese la sua mano e gliela baciò con passione. «Cara fanciulla mi fareste l'onore di danzare con voi?»
La fanciulla spalancò la bocca, sbalordita da tanta bellezza ed eleganza.
Lo sconosciuto, con un gesto delicato, le legò al polso una peonia bianca appena sbocciata. Erano il simbolo del loro Paese.
«Se proprio devo...» Fece un lieve inchino.
Il giovane non riuscì a trattenere una goffa risata.
Clarissa lo guardò accigliata. Non era affatto infastidito dalla sua risposta svogliata.
Si avvicinò a lei e le cinse la vita con la mano destra mentre l'altra la intrecciò alla sua.
«Scusa ma non so ballare. È stata mia madre a obbligarmi», confessò sincera. Non le importava che impressione potesse fare.
«Tranquilla. Devi solo lasciarti andare.» Le sorrise.
Clarissa trasse un profondo sospiro e prese con calma coraggio. Insieme al fanciullo iniziò a volteggiare nella sala facendo attenzione a non pestargli i piedi.
La musica assunse un ritmo sempre più incalzante.
La fanciulla ogni tanto lanciava qualche occhiata alle altre coppie. Si accorse che era l'unica in abito bianco. Storse il naso. Un altro aspetto che le parve strano.
Rocsana gli osservava in apprensione, ma colma di gioia. Era una madre che aveva ottenuto quello che voleva per la figlia: un marito.
«Vedo che si stanno conoscendo.» Una voce familiare giunse alle sue orecchie.
La donna sobbalzò con il cuore in gola. Si voltò di scatto. Era Elizabeta.
«Sì, è meraviglioso», sospirò, scaricando un po' la tensione.
«Si troverà bene con mio figlio. È un ragazzo buono e gentile. Vedrai con il tempo imparerà ad amarlo.»
«Lo spero molto. Vorrei che diventasse una donna di casa e una madre come tutte noi.»
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Serghei si avvicinò a un gruppo di compagni cacciatori. «Buonasera.» Alzò in alto la sua coppa di vino.
«Buonasera Signor Dimitrescu.» Eusebiu, il più anziano con i capelli grigi brizzolati e la pancia prominente, gli strizzò l'occhio come segno di benvenuto.
Serghei si fece spazio fra gli uomini. Altri lo notarono e lo salutarono sollevando sempre i loro calici pieni.
«Come procede dalle vostre parti la caccia?» Domandò Nistor, il più ficcanaso della compagnia.
«Splendidamente, senz'altro meglio degli scorsi anni, ma è ancora difficile fare una stima precisa, siamo solo all'inizio.» Bevve un sorso di vino e si massaggiò il panciotto. «Comunque ho già abbastanza selvaggina per sopravvivere al prossimo gelido inverno.»
«Molto bene.» Stelian che lottava contro una grave scogliosi gli diede una pacca sulla spalla. «Speriamo continui così.»
Serghei scosse il capo e appoggiò il calice sopra il primo vassoio portato dai camerieri. «Non lo so...» Abbassò lo sguardo.
«Perché dite così?» Si intromise Claudiu, quello che aveva più figli maschi del villaggio.
«Io e i miei accompagnatori abbiamo trovato altri due lupi con il collo perforato.»
I presenti si rivolsero occhiate sorprese e preoccupate.
«Tu credi che...», tentò di parlare Nistor.
«C'è solo una creatura capace di fare quello che ha fatto a quel povero uomo e a quelle bestie innocenti.»
«Un Vampiro... Di nuovo...» Sbraitò Alecu che aveva origliato la conversazione alle spalle dell'anziano Eusebiu.
Gli altri si girarono e lo zittirono all'istante. Si scrutarono attorno per capire se qualche persona indiscreta avesse udito il loro dialogo.
«Non dobbiamo spargere la voce...» Ordinò Serghei con tono severo e minaccioso, puntando i suoi occhi perfidi contro ciascun presente.
«Sarà facile stanarlo e ucciderlo prima che...» Stelian si soffiò il naso con il fazzoletto preso dal taschino della giacca nera.
«Non evocare brutti ricordi.» Nella mente di Serghei riemerse una vivida immagine di lui giovane che pugnalava con un paletto un vampiro dentro a una casa del suo vecchio villaggio, oggi ridotto in un cumulo di cenere e dimenticato in mezzo al bosco.
«Dove potrebbe nascondersi?» Eusebiu si grattò la crespa e corta barba cinerina.
«In qualche grotta?» Provò a ipotizzare Alecu.
«No lo so. Potrebbe essere ovunque. Potrebbe non essere solo...», constatò Serghei rimembrando i suoi trascorsi.
«Speriamo di no. Altrimenti...» Stelian ingoiò un pasticcino alla crema.
«La storia si ripete sempre...» Claudiu incrociò le braccia, già in segno di resa. Anche lui aveva già avuto brutte esperienze con le creature della notte.
«Dobbiamo agire.» Eusebiu strinse il suo pugno davanti a tutti. Non potevano arrendersi troppo presto. «Dobbiamo chiamare a consiglio tutti i cacciatori e avvisare il Re.»
Serghei lo prese per un braccio, facendolo indietreggiare dal gruppo. «Il sovrano non dovrà sapere nulla.» Gli sibilò minaccioso. «Non possiamo far scoppiare un'altra guerra.»
«Serghei ha ragione», affermò Claudiu. «Siamo noi che abitiamo a ridosso del bosco. È una nostra responsabilità proteggere le nostre famiglie.»
«Vi terrò informato.» Serghei si mise le mani in tasca. «Ci rivediamo presto.» Li salutò tutti con un cenno di mano e si dileguò.
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I due fanciulli continuavano a volteggiare al centro della sala tra il turbinio di drappi colorati, leggeri e opulenti. A Clarissa stava quasi piacendo quel momento. Non pensava che il ballo potesse farla sentire libera e leggera come le farfalle del bosco.
«Mi dici il tuo nome?» Domandò nel trambusto di musica frenetica, piedi saltellanti e chiacchiericci vari.
«Io sono Andrei Radulescu.»
Clarissa ebbe un tuffo al cuore. Tossì forte. Distolse lo sguardo dal giovane. Era lui, il suo futuro sposo. Non se lo sarebbe mai aspettato.
«Mia cara fanciulla sarebbe così gentile da dirmi il suo nome?»
«Clarissa.» Si schiarì la voce tesa. «Clarissa Dimitrescu.»
«È un piacere immenso conoscerla», sorrise soddisfatto e compiaciuto nel sapere che stava danzando con la fanciulla giusta.
«Il mio è decisamente meno», sbottò. Era un giovane di bell'aspetto, ma non lo avrebbe sposato lo stesso. La vera bellezza di una persona è custodita dentro la sua anima.
Andrei rise, divertito. Era una fanciulla spiritosa ed estroversa. Non aveva paura di esporsi troppo oltre le buone maniere. Per lui sarebbe stata un'ottima compagna di conversazione.
Con la coda dell'occhio intravide sua madre fargli un cenno d'assenso con il capo.
Rimise gli occhi sulla fanciulla e lentamente la condusse al centro della sala.
Presero a volteggiare con più enfasi, seguendo sempre il ritmo dell'incalzante musica.
Le altre coppie si scostarono per lasciare a loro maggiore spazio per muoversi, gli invitati arretrarono dietro i tavoli imbanditi.
Tutti avevano gli occhi puntati sulla coppia nascente.
La musica perse d'intensità e il ritmo si affievolì; i violini smisero di suonare.
Clarissa e Andrei erano fermi, uno di fronte all'altra, al centro della sala.
La fanciulla si guardò intorno allarmata, non sapeva cosa stava accadendo. Tutti la stavano di nuovo fissando. Le risalì quel senso di disagio provato appena varcata l'entrata.
Andrei le prese la mano.
Adagio la condusse verso la scalinata che portava al cospetto dei sovrani.
Salì il primo gradino. Si girò verso Clarissa: il suo viso aveva un'espressione molto confusa e aveva le guance in fiamme.
Tremante lo seguì su per la scalinata.
Dietro di loro la folla attendeva in silenzio.
Gocce di sudore rigavano le tempie e il collo della fanciulla.
Rocsana ed Elizabeta si scambiarono due sguardi trepidanti di gioia e molto speranzosi.
Serghei bevve un sorso di vino, ammirava soddisfatto la figlia. Era la prima volta.
Eric e Filip si scambiarono occhiate complici seguite da risatine soffocate.
I due fanciulli erano davanti ai regnanti.
Andrei fece un lieve cenno a Clarissa d'inchinarsi.
Compì la riverenza incerta con fare goffo e inesperto.
Il Re acconsentì con un lieve gesto del capo. Con un gesto della mano richiamò all'ordine una guardia che attendeva in disparte, nascosta sotto un drappo di tenda.
Da un angolo tetro comparì un sacerdote in abiti regali e religiosi. Aveva un lungo mantello rosso impellicciato di bianco. Al collo portava una spessa e pesante croce dorata incastonata di rubini, zaffiri e quarzi. Era accompagnato da un infante valletto. In mano sorreggeva un candido e setoso cuscinetto, orlato di pizzo. Sopra erano appoggiati un paio di anelli dorati.
Clarissa sgranò gli occhi. Quello non era un ballo di debutto. Era il suo matrimonio. L'avevano ingannata. Sua madre l'aveva ingannata. Si voltò di scattò lanciandole uno sguardo spaventato. La vide con gli occhi luccicanti e lacrimanti di felicità.
Si rivoltò e abbassò lo sguardo, triste.
«Siamo qui oggi per celebrare il primo matrimonio della stagione.», annunciò il vescovo sollevando le braccia verso i promessi sposi e i sudditi.
Tra gli invitati si sollevò un sordo brusio di sorpresa e meraviglia.
L'orchestra prese a suonare una melodia, questa volta più debole e lenta.
«Andrei Conte Radulescu e Clarissa Dimitrescu siete venuti a contrarre il matrimonio in piena libertà, senza alcuna costrizione, pienamente consapevoli del significato della vostra decisione?»
«Sì», affermò deciso il giovane. Sollevò il mento verso la fanciulla.
Clarissa aveva il capo chino. Quello che stava succedendo non poteva essere vero. Lei era stata veramente costretta ad accettare queste nozze. L'unica realtà non vera era la sua libertà di scegliere, negategliela fin dalla nascita e la non consapevolezza che riserverà in futuro questa malsana decisione del suo perfido padre.
Andrei le toccò il dorso della mano sinistra per risvegliarla dai suoi pensieri.
«Sì», balbettò appena controvoglia.
«Siete disposti, nella nuova via del matrimonio, ad amarvi e onorarvi l'un l'altra per tutta la vita?»
«Sì», risposero insieme.
Clarissa non voleva cambiare vita. Si era promessa che avrebbe amato solo sé stessa.
«Se dunque è vostra intenzione unirvi in matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete il vostro consenso.»
Andrei strinse forte la mano della fanciulla. Gli rivolse un sorriso per rassicurarla un po'.
Gli occhi lucidi di Clarissa incontrarono quelli di lui.
«Io Andrei, prendo te Clarissa, come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.»
La fanciulla deglutì. Era ferma immobile davanti allo sposo. Non voleva pronunciare altre inutile parole, altre bugie.
Andrei fece un piccolo passo verso di lei. «Coraggio.» La invitò a dichiararsi sempre con quel radioso sorriso e le iridi luccicanti di speranza.
«Io», sospirò. «Clarissa prendo te Andrei come mio sposo e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.»
«Ora benedico questi anelli che vi donate scambievolmente in segno di amore e di fedeltà.»
Questo non era quello che sognava. Questo non era il suo destino. Doveva fare qualcosa, doveva reagire. Guardò il fanciullo. «Mi dispiace, ma non posso...», gli sussurrò, mortificata dal dolore.
Si voltò, si precipitò giù dalle scale e corse fuori dalla sala da ballo.
Andrei rimase lì, solo, con il suo anello stretto fra il pollice e l'indice.
La folla emise un profondo eco di sgomento e sorpresa. Le donne si scambiarono occhiate scioccate, coprendosi la bocca spalancata con i guanti. Gli uomini mormorarono e gesticolarono parole incomprensibili.
Rocsana ed Elizabetha sbiancarono sotto la luce calda delle candele. Si scambiarono sguardi impacciati e impanicati.
Il Re si alzò in piedi puntando i suoi occhi severi verso le rispettive famiglie e verso Serghei che lasciò furtivo il palazzo reale.
Clarissa si precipitò fuori dal castello. Aprì d'impeto la carrozza e salì dentro, dritta verso casa.
Lontana da Andrei, lontana da tutti.
~᯽᯽᯽~
Clarissa entrò nella dimora e si fiondò nella sua stanza. Sbatté la porta con un tonfo secco. Le pareti vibrarono.
Frustrata andò allo specchio. Afferrò una manica dell'abito e la strappò, rivelando la sottoveste. Si levò i guanti e li gettò sulle assi di legno impolverate.
Aveva il fiato corto, annaspava in cerca d'aria. La gola si era stretta in un nodo di agitazione e angoscia irrazionali. Stava lentamente soffocando. Un forte dolore le colpì il centro del petto. Si mise un palmo sul cuore. Batteva troppo forte. Terrorizzata indietreggiò, andando a sbattere contro il muro. Venne pervasa da impetuosa ondata di calore bruciante come il fuoco. La sua mano prese a tremare come anche le braccia e le gambe che cedettero, facendola cadere. Tossì con violenza, voleva vomitare, buttare fuori dal copro tutte le emozioni contrastati e la tensione provata al ballo. La vista le si offuscò, la stanza iniziò a girare, a girare sempre più veloce. Si accasciò e si distese a terra, sconfitta.
L'irruente padre spalancò la porta e si fiondò verso di lei. La prese per il collo e la lanciò sopra il letto. Si protese verso di lei e iniziò a picchiarla dritta in viso.
Sua madre accorse anche lei. «Non c'è bisogno...» Era accaldata e sudata al volto.
«Zitta! Fila via!» Gli urlò furibondo.
Le sferrò un altro colpo in pieno viso.
Clarissa si dimenava impotente sotto la sua solida presa. Era terrorizzata, stava singhiozzando e soffocando nelle sue stesse lacrime.
«Per favore», arrancò in cerca di un soffio di sopravvivenza. «Lasciami andare.» Rosse lacrime bagnarono il viso gonfio.
«Vergognati! È sempre e solo colpa tua! Sei un disastro. Non hai mai fatto nulla di buono nella tua vita.» La scaraventò a terra.
Clarissa sbatté la testa. Sputò sangue dalla bocca. Una scura macchia penetrò tra le sottili e lunghe fessure del legno.
«Ci hai fatto fare una figuraccia davanti a tutta la corte.» Si inginocchiò e la prese per il collo con entrambe le mani. Bramava tanto strangolarla. La sua pazienza era andata in frantumi. «Ora nessuno vorrà avere più a che fare con noi. Abbiamo perso rispetto e dignità.»
Clarissa stava morendo lentamente nella sua presa.
«Potevamo diventare ricchi. Avere una vita migliore...una casa migliore.» Le tirò un ultimo ceffone. Lamentandosi in silenzio si ridestò e si ricompose.
Le diede le spalle e lasciò la stanza, chiudendola dentro.
Clarissa scoppiò a piangere a dirotto. Urla strazianti riempirono la camera da letto.
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Si risollevò appena aggrappandosi alla coperta. Fra gemiti e piagnucolii riuscì a levarsi in piedi.
Girò il volto verso lo specchio. Era impasticciato di lacrime e sangue secco. Aveva il labbro inferiore spaccato in due da un piccolo ma profondo taglio. Il naso sporco e dolorante. Gli zigomi gonfi e lussati. La tempia destra era cerchiata da un colore scuro e violaceo.
Le doleva il volto, ma anche ogni arto del corpo.
Non poteva più vivere in questa famiglia. Doveva scappare e fuggire via o la prossima volta sarebbe finita dentro una bara, seppellita nel cimitero del villaggio vicino ai suo nonni.
Aprì il balcone. Rivolse gli occhi vuoti e spenti verso la nera notte.
Salì sul davanzale. Prese un respiro di coraggio. Il profumo mielato dei pini confortò e risanò i suoi sensi danneggiati dalle troppe percosse.
Saltò giù atterrando nell'erba umida e morbida.
Emise un grido soffocato. «Ahia.» Con la mano si tastò la gamba. Le si era storta la caviglia, ma ora non poteva badarci. Serrò le labbra e le palpebre per combattere un altro dolore. Gemette e si rimise in piedi.
Zoppicando si inoltrò nel bosco.
Le tenebre la inghiottirono.
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