℘ąཞɬɛ 50 - Finale

La tv a schermo piatto proiettava le immagini sbiadite di un vecchio documentario ed il volume era impostato sul valore più basso, in modo che il suono emesso dalle casse fosse solo un rumore di sottofondo appena percettibile.
Oltre a questo, il salotto di casa Arkensaw era avvolto nel silenzio più totale.
Un sottile strato di polvere era posato sui davanzali più in alto, mentre il tavolinetto da fumo era da poco stato ripulito e lucidato con attenzione. Una sensazione di ritrovata pace aleggiava nell'aria, unita al profumo che un bastoncino di incenso acceso stava emanando attraverso una sottile scia di fumo.
Eppure, nella mente di Jeff, risuonava costante ed opprimente un caotico susseguirsi di voci e suoni che non appartenevano a quella stanza; aveva l'impressione di trovarsi nel bel mezzo di una platea di persone, che non facevano altro che vociferare frasi e parole incomprensibili.
Il ragazzo, seduto sul divano con le gambe incrociate, si reggeva il mento con entrambe le mani e fissava in modo costante lo schermo della tv, ma senza guardarla per davvero. Tutto doveva essere tornato alla normalità da un paio di giorni, ma per lui le cose non erano andate esattamente così.
Si sentiva strano, sapeva che il controllo sui suoi impulsi si stava indebolendo e non ne comprendeva pienamente il motivo: era tornato a casa assieme a Jane, l'avevano fatta franca entrambi ed ogni cosa era tornata al suo posto seppur non avesse ancora certezze per il suo futuro.
Una voce nei meandri della sua mente continuava a suggerirgli che tutto stava andando troppo bene, che non meritava di trovarsi in quel luogo ed in quel momento.
Non lo meritava affatto.
La sua vita era sempre stata un susseguirsi di tragedie, errori imperdonabili e violenze di ogni genere; ne era avvezzo, quella era la sua sola ed unica normalità.
Lentamente spostò lo sguardo sulla porta aperta che si affacciava sul corridoio, il suo volto era totalmente inespressivo; a pochi metri sentiva i passi di Jane, suono che aveva sempre ritenuto confortante ma che adesso, per qualche ragione, gli scaturiva una sensazione sgradevole.
Tutto era andato troppo bene.
Sentiva di non riuscire a tollerarlo, di non sentirsi a suo agio in quella posizione di comfort, di non essere parte di quella realtà in cui era riuscito a stabilire un contatto con suo fratello dopo tutti quegli anni ed essere tornato a casa sano e salvo dopo aver portato a termine l'impresa che li aveva riuniti.
Distese le gambe e si alzò in piedi, abbandonando il cuscino sul quale era rimasto seduto per un tempo indefinito ma sufficiente a lasciarvi impresso il profilo delle natiche e della schiena; poi, a passo lento, abbandonò il salotto.
Trovò Jane in corridoio, e si accorse subito che nel suo sguardo era presente della preoccupazione; o meglio, della paura. La vide bloccarsi e restare immobile a guardarlo, con una mano leggermente sollevata e tesa verso di lui. Sembrava avesse già capito cosa stava per accadere, lo conosceva ormai molto bene.
Jeff avvicinò la mano sinistra alla tasca dei pantaloni e sfilò fuori un coltello, non era certo di sapere quando e dove lo avesse preso; ma adesso non aveva alcuna importanza. Nel momento in cui Jane vide l'arma stretta tra le sue mani spalancò le palpebre ed indietreggiò rapidamente andando a sbattere contro alla parete, ma non ebbe tempo a sufficienza per fuggire: un attimo dopo lui l'aveva già afferrata e bloccata contro allo stipite della porta, avvicinando la lama alla sua gola. La mano con cui reggeva il coltello tremava visibilmente, tanto da far vibrare la lama appoggiata alla pelle.
La conosceva bene, quella pelle: ne conosceva l'odore, la morbidezza, il calore. Nonostante tutto ciò che aveva passato Jane aveva scelto di restare al suo fianco per tutto quel tempo, convincendosi che in lui ci fosse davvero qualcosa di buono.
Si sbagliava.
"Distruggo tutto quello che tocco" le aveva confidato, sapendo bene di star dicendo la verità. E adesso sì che anche lei se ne sarebbe resa conto una volta per tutte.
Il killer non esitò a conficcarle il coltello nella gola, lo fece con fermezza e convizione; un gesto rapido gli permise di far affondare la lama nella sua carne, ed in un attimo si ritrovò con le mani intrise di sangue. Del sangue dell'unica persona che forse lui avesse mai amato, e che aveva ricambiato il suo affetto nella medesima intensità.
Caldo, viscido ed appiccicoso.

..
-Jeff, va tutto bene?-.
..

Stordito il ragazzo fece un passo indietro ed iniziò ad annaspare, scoprendosi improvvisamente molto più scosso e spaventato di quanto non fosse mai stato. Guardò le sue mani e si accorse che erano in realtà pulite; nel distendere le dita lasciò cadere quello che fino ad un attimo prima aveva creduto fosse un coltello, ma che scoprì soltanto adesso essere un semplice bicchiere di vetro.
Pieno d'acqua, per giunta, che a seguito dell'impatto e si riversato sul pavimento.
Jeff sollevò lo sguardo con le palpebre spalancate ed il fiato sospeso, cercò gli occhi di Jane e li trovò avanti a se. Lei era tutta intera, la sua gola non presentava alcuna ferita; ma lo guardava con evidente preoccupazione, e sembrava non comprendere che cosa fosse appena accaduto.
-Stai bene?- gli ripeté.
Tremendamente scosso Jeff abbassò ancora lo sguardo sulle sue mani e si accorse che stava tremando come una foglia. Si era trattato di una terribile allucinazone, aveva appena immaginato tutto quanto, e seppur questo gli diede un'immediata sensazione di sollievo non poté che chiedersi che diavolo stesse accadendo alla sua mente.
-..Sì- mormorò, schiudendo appena le labbra. Non sapeva come spigarle di averla appena uccisa nella sua immaginazione.
Lasciò che lei lo accompagnasse nuovamente in salotto con una mano sulla spalla, e tornò a sedersi sul divano dal quale si era alzato poco prima.
-Ne prendo un'altro, non ti preoccupare-.
La sensazione che provò in quel momento fu forse la peggiore che avesse mai sperimentato: una totale perdita del contatto con la realtà, una confusione mentale così violenta da invadere i suoi pensieri ed impedirgli di distinguere cosa fosse reale. Attese pochi secondi con lo sguardo perso nel vuoto, prima che Jane non tornasse da lui mettendogli tra le mani un altro bicchiere riempito d'acqua solo per metà; poi, con il palmo socchiuso gli porse due pastiglie dalla capsula colorata.
Ecco che cosa stava facendo poco prima.
-Prendile, su. Starai meglio-.
Jane si mise a sedere al suo fianco e si assicurò che le mandasse giù entrambe; qualunque cosa fosse appena accaduta non le piaceva per niente. Di certo quei giorni erano stati fortemente stressanti per lui, lo erano stati per tutti quanti, ed il fatto che avesse sospeso la terapia farmacologica per diversi giorni non aveva di certo giovato alla sua salute.
Era decisamente tempo di rimediare a questo, per il bene di entrambi.
Afferrò il telecomando ed alzò il volume della tv con il preciso intento di rompere quel pesante silenzio che si era creato, ma ecco che solo qualche secondo dopo udì il suono squillante del citofono.
Sospirò, e mentre si alzava lasciò una carezza sulla spalla di Jeff come a volergli dire che sarebbe tornata subito. Raggiunse la porta d'ingresso e sbirciò fuori, riconoscendo la sagoma di Liu dietro alle sbarre del cancello; ne rimase scioccata, non si aspettava assolutamente di rivederlo, ed in quel momento non poté che temere il peggio. Forse era venuto per arrestarla, o meglio per arrestarli entrambi.
Sentì il panico salire fino alla gola, ma presto capí che anche in quel caso non avrebbe comunque potuto sfuggirgli: Jeff non era nelle condizioni di farlo, e non sarebbe di certo sparita scappando dal retro e lasciandolo li da solo.
Con titubanza aprí il portone, e subito lo sguardo del castano la raggiunse; non stava indossando la sua divisa da poliziotto ma era comunque ben vestito e pettinato, l'espressione sul suo viso era amichevole e sembrava essere solo.
-Ciao, Jane- le disse, agitando delicatamente una mano.
La mora richiuse la porta dietro alle sue spalle e si avvicinò di qualche passo, percorrendo il vialetto. -Liu, che ci fai qui?- gli disse.
-Mi fai entrare?- ribatté il castano. -Sono venuto da solo, stai tranquilla-.
Ma la ragazza scosse la testa, si sentiva in imbarazzo ma non sapeva con quali parole avrebbe potuto spiegargli la situazione. -Non è proprio il momento giusto- si limitò a dire.
Il giovane poliziotto dall'altro lato del cancello chiuso assunse uno sguardo pensieroso, ma non si azzardò ad insistere. -Oh, non volevo disturbare, scusami-. Sembrò deluso, ma non intenzionato a farle alcun tipo di pressione.
Jane, che lo aveva ormai raggiunto, si accorse che anche lui sembrava molto a disagio. Ma poté constatare che fosse solo per davvero, dal momento che non le fu possibile scorgere la figura di nessun'altro poliziotto lungo la strada, e così cambiò idea. -Senti, entra pure- disse, stringendo le spalle. -Non importa-.
Il castano sorrise in modo quasi istantaneo, e continuò a fissarla mentre lei apriva il cancello dall'interno. Percorse il vialetto seguendo i suoi passi senza dire una parola, e quando entrambi furono giunti davanti alla porta d'ingresso vide Jane sbarrargli la strada nuovamente.
-Senti... Come ti ho detto è un momento delicato. Non so come Jeff possa reagire perciò...-.
-Tranquilla- la interruppe. -Se sarò di troppo me ne andrò così come sono arrivato. Voglio solo parlare con lui-.
Grata della sua comprensione la ragazza sorrise, e spingendola con il palmo di una mano aprí la porta in modo lento e silenzioso.
Nel momento un cui Liu calpestò le mattonelle sul pavimento del corridoio, il volto di Jeff si sollevò di scatto; il suo corpo si irrigidì per la tensione, e con un riflesso spontaneo si alzò dal divano.
I due fratelli si scambiarono un lungo sguardo senza dirsi nulla, come se l'uno stesse guardando dentro l'altro.
E Liu, pietrificato da una miriade di emozioni che lo assalirono, sentì le ginocchia tremare come se d'un tratto facessero fatica a sorreggere il peso del suo corpo. -Jeff, volevo assicurarmi che...- mormorò, facendo un paio di passi verso di lui.
Sentiva di avere la gola secca, e le mano sudate. -...Foste riusciti a scappare entrambi- concluse la frase, non con poca fatica.
Riconobbe un vuoto viscerale negli occhi chiari di suo fratello, che continuavano a fissarlo quasi come si stesse chiedendo se la sua presenza fosse reale o si trattasse dell'ennesimo scherzo giocato dalla sua mente.
Non riusciva a comprenderlo, anzi era quasi certo di trovarsi ancora intrappolato in una dolorosa allucinazione: Liu lo odiava profondamente, non poteva averlo raggiunto per davvero e soltanto per assicurarsi che stesse bene.
Jeff spostò lo sguardo su Jane come se cercasse in lei conferme riguardo a ciò che stava vedendo, e rimase in totale silenzio. Riuscì a capire di trovarsi nella realtà soltanto quando il fratello maggiore gli si avvicinò e, con un gesto impulsivo che in nessun modo avrebbe potuto prevedere, avvolse le braccia dietro alla sua schiena e lo strinse forte contro al suo petto.
Riconobbe ancora il suo odore, ciò che stava vivendo era reale.
-Sono felice... Sono tanto felice- balbettò il giovane poliziotto, posando una guancia sulla sua spalla.
In quel momento apparse nella mente di Liu il ricordo di quelle profonde cicatrici che aveva visto sulle braccia del fratello, il gelo nei suoi occhi mentre lo aveva guardato puntandosi la pistola alla tempia, e si realizzò pienamente quanto lui fosse in realtà fragile. Dopotutto Jane aveva sempre avuto ragione, sotto quel punto di vista.
La voce di Jeff giunse come un sibilo alle sue orecchie. -Mi dispiace tanto, Liu-. Ed adesso sapeva, con assoluta certezza, di star stringendo tra le braccia lo stesso ragazzino con il quale aveva giocato assieme durante l'infanzia.
Ad un passo di distanza, Jane scoppiò a piangere; ma di felicità.
Qualunque fosse il motivo per cui Liu aveva deciso di mettere da parte tutto l'odio che lo aveva logorato in quegli anni, era certa che ciò avrebbe giovato infinitamente ad entrambi. E forse, quell'ultimo tassello sarebbe stato quello decisivo per rimettere in sensto l'anima frammentata di Jeff, cancellare almeno parzialmente il dolore che per troppo tempo l'aveva tormentata.
Forse alla fine si sarebbero resi conto che al mondo vi era spazio anche per loro, non importava quanto fossero feriti dentro. E non vi era più una valida ragione per restare divisi.
Jane si asciugò via le lacrime con la manica.
Non si era mai sentita così tanto felice.

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