ρꪖ᥅ꪻꫀ 5 - Sopravvivere
-No.. No, no! Smettila!-. Gesticolando in modo scoordinato Jane spalancò gli occhi, mentre tentava di allontare il cane che, imperterrito, continuava a leccarle la faccia.
Erano circa le sei del mattino, un fascio di luce sbatteva sulla vetrata della camera attraversando un varco tra le nubi grigiastre che riempivano il manto celeste.
-Smettila Dado, basta- mugolò ancora, issando la schiena e sbattendo più volte le palpebre. Come faceva ogni mattina, per prima cosa recuperò la parrucca nera poggiata sul comodino e la sistemò sulla testa; non stava mai senza, neanche quando era da sola in casa: odiava percepire la nuca così liscia e vuota, e non sopportava di non sentire l'elastico della parrucca premervi sopra.
Dado si mise a sedere sul tappeto ed iniziò ad osservarla con due occhi carichi d'amore, mentre scodinzolava muovendo la coda rapidamente da entrambi i lati.
-Hai fame? Aspetta che di riempio la ciotola...-.
Era passata ormai una settimana dal giorno dell'adozione e Jane era molto più felice di avere quella bestia al suo fianco di quanto avrebbe mai potuto sperare: Dado le teneva compagnia, riempiva le sue monotone giornate e la faceva sentire amata in modo incondizionato; era l'unico, in grado di rompere il silenzio improgionato tra le pareti di quella villetta in periferia.
La ragazza si alzò svogliatamente dal letto e si diresse in cucina, dove recuperò dallo stipetto le crocchette e ne versò una abbontante quantità nella ciotola sotto alla finestra; osservò poi il cane che la raggiungeva saltellando, per poi ficcarci dentro il muso con voracità.
Sospirò silenziosamente.
Non aveva più avuto alcuna notizia sulla situazione di Jeff perché si era rifiutata di accedere il televisore o il computer negli ultimi sette giorni, imponendosi di restare nascosta nella falsa ma rassicurante realtà che si era creata. Non aveva idea se fosse vivo, se i medici fossero riusciti a salvarlo o se avesse finalmente trovato la pace in un riposo buio ed eterno.
Ma adesso tutto era diverso. Viveva un'esistenza tranquilla al fianco di Dado, aveva un buon lavoro e tempo libero a suffienza per valutare l'idea di intraprendere un nuovo percorso di studi, magari un corso online.
Riempì la moka di polvere di caffè ed acqua, e con un gesto lento e calcolato la sistemò sul fornello per poi dare vita alla fiamma.
Tutto sommato era felice di ciò che era diventata seppur non stesse facendo nulla di speciale della sua vita, perché era conscia di essere riuscita a mettere finalmente da parte tutto il rancore e la malinconia che negli anni l'avevano divorata.
Tutto sembrava poter andare per il meglio, ed incrociare lo sguardo gioioso di Dado era per lei una continua conferma del fatto di avere preso le decisioni più giuste. Quei suoi occhi scuri la guardavano come fosse la cosa più meravigliosa del mondo, trovare i suoi peli nei vestiti le ricordava di non essere più sola.
Ma quel vuoto che sentiva dentro, quella vaga sensazione di pericolo che percepiva ogni qual volta restava in silenzio ed iniziava a pensare, ancora tormentavano le sue notti.
Capì che ignorare ogni cosa ed andare avanti con tutte le forze che aveva era l'unica strategia che le fosse possibile attuare; ma giunse un giorno in cui il castello di carta che aveva costruito cadde a terra con un singolo soffio di vento.
Il cielo era grigio e minacciava pioggia, quando qualcuno bussò alla sua porta con insistenza. Nessuno lo aveva mai fatto prima di allora; non aveva mai ricevuto visite se non da parte del postino, che si era sempre limitato a lasciare pacchi e lettere dinanzi al portone.
Chi mai poteva essere?
Con un'evidente titubanza Jane lanciò uno sguardo preoccupato al cane, per poi avvicinarsi a passo lento alla porta d'uscita. Vi avvicinò il viso e spiò attraverso il minuscolo vetro circolare incastronato nel legno, notificando la presenza di una giovane donna dall'altro lato.
Aveva un'abbondante capigliatura mossa di una particolare tonalità di marrone, indossava una giacca scura ben attillata ed aveva un sorriso tirato a decorarle il volto, come stesse imponendo a se stessa di comportarsi in modo gentile. Era certa di non averla mai vista prima.
Scacciando via la sgradevole sensazione che le suggerì di fare silenzio e fingere di non essere in casa, Jane aprì la porta e ricambiò timidamente quel sorriso.
-Salve- mugolò. E soltanto allora il suo sguardo si posò su un inquietante dettaglio che attraverso il vetro dello spioncino non aveva potuto notare: la sconosciuta aveva un occhio di vetro.
E la cosa non sarebbe stata poi così strana, se non fosse che il falso occhio incastronato nella sua orbita era un oggetto decisamente fuori dal comune: aveva un aspetto lucente, molto più del normale, e laddove sarebbe dovuta trovarsi un iride identica a quella dell'altro occhio, era invece stato disegnato con impeccabile precisione un realistico orologio di aspetto antico, con tanto di lancette ed ingranaggi ben visibili.
Jane si accorse solo pochi secondi dopo di star fissando quello strano oggetto in modo spudorato e subito si ricompose, realizzando di aver assunto un comportamento decisamente poco carino.
-Chi cerca?- chiese, con un filo di voce.
La sconoscita sollevò una mano e sistemò un ciuffo dei suoi capelli dietro alle orecchie, sorridendo ancora e spostando lo sguardo del suo occhio sano sulla destra. Sembrava estremamente amichevole. -Questo è il tuo cane? Che carino!-.
La mora aggrottò la fronte e si girò a sua volta, rendendosi conto che Dado era in piedi proprio accanto a lei ed annusava con interesse e temenza l'odore della sconosciuta alla porta.
- Sì, è mio- rispose freddamente, tornando a rivolgere a lei il suo sguardo. -Stava cercando qualcuno?- ripeté, alzando il tono della voce.
La giovane donna scosse brevemente la testa e si fece una piccola risata, alzando le spalle. -Beh, sì. E direi che ti ho appena trovata-.
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