ρꪖ᥅ꪻꫀ 43 - Somigliarsi

Jane lasciò cadere la testa, tornando ad appoggiarsi al pavimento gelido con una guancia. Aveva il corpo completamente intorpidito, ed un fitto dolore al collo le rendeva difficile mantenere qualsiasi altra posizione.
Impiegò diverse manciate di secondi a ricordare tutto quello che era successo, ed a realizzare quale fosse stato l'oggetto che Jeff aveva utilizzato per colpirla così forte da farla svenire: infatti poco distante da lei, riversa sul pavimento, vi era una delle statuette decorative che sua madre aveva acquistato decine di anni prima e riposto sul davanzale del salotto, luogo dal quale non aveva mai trovato il coraggio di spostarle.
Emettendo un gemito di dolore allungò lentamente una mano cercando di accarezzare Dado, che immobile continuava a guardarla come se avesse voluto aiutarla in quale modo; poi voltò lo sguardo sul divano, dove Jeff se ne stava comodamente seduto con le scarpe sui cuscini, intento a sorseggiare la bottiglia con uno sguardo perso, totalmente disconnesso dalla realtà che aveva intorno.
Dapprima, Jane fu pervarsa da una rabbia che la fece tremare: non riusciva a credere che lui le avesse fatto questo, non dopo che lei aveva letteralmente messo a repentaglio la sua vita per salvarlo, e lo aveva ospitato in casa come se nulla fosse mai accaduto.
Un brivido percorse la sua schiena, e le diede abbastanza forza da sollevarsi mettendosi a sedere sul pavimento anche se quel movimento non parve attirare in alcun modo l'attenzione del killer. Lo guardò per diversi secondi, a denti stretti: sorseggiava il Bourbon a ritmi regolari, e quando non era intento a bere il suo sguardo era puntato sullo schermo spento della televisione, come se nella sua immaginazione questo stesse proiettando qualcosa.
Ed in quel momento, seppur Jane non avrebbe saputo spiegarsi appieno il perché, la rabbia dentro di lei svanì all'improvviso lasciandole soltanto un enorme vuoto nel petto.
-Dove...- mormorò, realizzando di far fatica a parlare. -Dove hai preso... quella?-.
Jeff parve uscire da quella specie di stato di trance nel momento in cui udì la sua voce; si voltò verso di lei, totalmente inespressivo.
-Avevo gettato via...- continuò a farfugliare la ragazza, ansimando mentre tentava di avvicinarsi a lui, letteralmente strisciando sul pavimento. -Tutti gli alcolici... Che c'erano in casa...-.
Il killer la osservò impassibile, lasciando che lei raggiungesse con enorme fatica i piedi del divano. Poi fece una smorfia e strinse le spalle. -Nella dispensa- rispose, con una tranquillità disarmante. -L'avevo nascosta giorni fa sotto a della vecchia roba, per questo non l'hai notata-.
Jane abbassò lo sguardo; neanche lei riusciva a capire come si sentisse in quel momento. Seppur il pulsante dolore continuo che proveniva dal suo corpo le suggerisse che doveva raggiungere il cellulare posato sul tavolo e chiamare la polizia, allo stesso tempo l'affetto malsano che nel tempo aveva sviluppato nei confronti di Jeff le impediva di farlo.
Aggrappandosi al tessuto del divano con entrambe le mani riuscì ad issarsi fino a mettersi seduta accanto al ragazzo, che apparentemente del tutto disinteressato aveva ripreso a sorseggiare dal collo della bottiglia.
-Lo sai... Che ti fa male- borbottò ancora la ragazza, adagiando la testa sullo schienale con un gemito di dolore. Non aveva idea di quali fossero attualmente le sue condizioni, sperava soltanto di non avere nessun osso rotto. -Devi smettere... di bere-.
Il killer le rivolse uno sguardo strano che lei non riuscì a classificare, per poi allargare un appena percettibile sorriso carico di amarezza. -Ancora non l'hai capito, Jane- le disse. -La gente come me non cambia mai. Forse hai sperato che fosse possibile, ma sappi che non lo è-.
Parlava con una freddezza disumana, eppure c'era della tristezza nei suoi occhi.
Jane deglutì saliva e sospirò, messaggiandosi il collo con una mano. Era perfettamente conscia di trovarsi in una situazione di estremo pericolo dalla quale non avrebbe in alcun modo potuto fuggire, ma non le importava.
-Forse hai ragione- si limitò a dire, mentre con una lentezza snervante si spostava lungo il divano, fino a posizionarsi proprio accanto a lui. -Non posso cambiare questa parte di te-.
Jeff la osservò a lungo, forse incredulo di vederla agire in modo così assurdo: si trovava del tutto impotente dinnanzi a lui, eppure non accennava a voler fuggire. E sentì un brivido percorrere interamente la sua schiena, quando la ragazza appoggiò la testa al suo petto, come non risucisse più sorreggersi; a seguito di quel contatto sentì il suo corpo paralizzarsi, e la bottiglia che stava reggendo in mano scivolò via dalle sue dita, infrangendosi contro al pavimento. Il vetro si ruppe con l'impatto, ed il liquido che conteneva si sparse sul pavimento e sul tappeto persiano del salotto.
Un silenzio innaturale si impadronì della stanza, e Jane approfittò del momento di apparente quiete per chiudere gli occhi, e concentrarsi sull'ascolto del battito carciaco del killer, che sembrava quasi star trattenendo il fiato.
-Tu sei soltanto il frutto di quello che hai vissuto in passato- gli disse, con un filo si voce. -La tua mente è stata scissa in due parti, completamente diverse tra loro. Ma sono due lati... Della stessa medaglia-.
Jeff deglutì a vuoto, umettandosi le labbra con un poco di saliva. Il suo cuore aveva iniziato a battere più forte, mentre recuperava rapidamente il controllo della sua mente. E la puzza dell'alcool che aveva riversato sul pavimento, adesso era nettamente contrapposta al profumo che il corpo di Jane, avvolto sul suo, emanava.
Restò immobile a fissare il vuoto, e sentì lo stomaco annodarsi.
-..Mi dispiace- mormorò, con un filo di voce.
La ragazza sollevò una mano e la poggiò con estrema delicatezza sul suo petto. -Lo so- disse, con un piccolo sorriso. -Lo so che ti dispiace, Jeff-.
In quel momento non avrebbe voluto sentirsi dire nient'altro che questo: istintivamente il killer la strinse in un triste abbraccio, posando il mento sulla sua testa.
Quella che aveva tra le mani era la persona che aveva distrutto sotto ogni punto di vista, ed ora era anche la stessa che rappresentava tutto ciò che aveva di buono al mondo. E forse anche per lei valeva la stessa cosa, per quanto grottesco ed insensato fosse l'affetto che provava nei confronti del suo stesso carnefice.
Jane strinse nel pugno un lembo della sua maglia. -Quella donna che ho visto... Era tua madre, vero?-.
Il ragazzo tacque per interminabili secondi e chiuse gli occhi, come cercasse di impedire alla sua mente di riportare alla luce i ricordi. -Quale donna?- mugolò, fingendo poco abilmente di non capire.
-La donna che ho incontrato dentro alla tua mente- disse ancora lei, stringendo il pugno con più forza.
Jeff emise un lento sospiro, spostando lo sguardo altrove. -...Sì-. Era così tanto destabilizzato, da riuscire a stento a parlare.
-Quindi quella era... La casa in cui sei cresciuto- insistette Jane, chiudendo gli occhi.
Ma questa volta il killer non diede alcuna risposta a quella domanda: si limitò a tenere lo sguardo fisso in un angolo della stanza, ove Dado si era messo a sedere continuando ad osservarli, come volesse assicurarsi che non venisse fatto ancora del male alla sua padrona.
Ma Jane non necessitava di sentirtelo dire da lui; conosceva benissimo la risposta al suo quesito. E nel ricordare le pessime condizioni in cui riversava quell'ambiente, la freddezza disumana che quella donna aveva dimostrato nei suoi confronti, e quella tazza di veleno che le aveva ordinato di somministrare al padre giacente in un letto ormai reso incapace di reggersi in piedi, il suo cuore si strinse per l'ennesima volta. Riusciva solo vagamente ad immagiare quale terribile infanzia Jeff e suo fratello dovevano aver trascorso tra quelle mura ammuffite, plagiati dalla follia di una madre che li aveva certamente strumentalizzati e disumanizzati.
E forse la psicopatia di Jeff affondava le sue radici proprio in quella casa, e nell'amplificarsi nel corso del tempo aveva iniziato a distruggere la sua psiche pezzo dopo pezzo, come l'intonaco di quegli sporchi corridoio che si sgretolava esponendo le mura ammuffite, intrise di un abusi e sofferenza.

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