ρꪖ᥅ꪻꫀ 4 - Realizzare
Jane decise di concedersi una lunga sosta da ogni veicolo di informazione. Niente tv, niente feed di notizie sul telefono, niente di niente.
Si costruì una realtà alternativa in cui esisteva soltanto lei, il suo lavoro mattutino alla panetteria e la sua lussuosa villetta, troppo spaziosa per ospitare una persona sola.
E per allontanare la solitudine e la malinconia, quella mattina aveva preso una decisione su due piedi, senza fermarsi troppo a pensare: adottare un randagio. Adesso era seduta sul divano con i piedi nudi poggiati a terra, sul grande tappeto persiano del salotto; osservava immobile i movimenti del cane, che incuriosito vagava in quell'ambiete a lui totalmente sconosciuto ficcando il naso ovunque.
Sorrise. Era davvero tenero.
Si chiamava Dado, o meglio questo era il nome che gli aveva assegnato non appena avevano varcato insieme il cancello del canile. Non era molto giovane, aveva circa otto anni, ma era di aspetto molto gradevole; un bastardino alto poco più di quaranta centimetri con un manto di pelo grigio costantemente arruffato, ed un paio di occhi dolci a decorare il suo muso snello e allungato. I volontari che lo avevano accudito fino ad allora le dissero che era stato abbandonato in una piazzola di sosta autostadale dai precedenti proprietari, e che da allora soffriva di una tremenda paura dell'abbandono. Era un cane molto amorevole, e le promisero che si sarebbe ambientato molto alla svelta se lei gli avesse dimostrato un po' di affetto.
E così fu.
Ma Jane non aveva mai avuto un animale domestico prima di allora, neanche da bambina; avrebbe dovuto imparare come prendersi cura di lui.
-No, non ti azzardare!- esclamò, raggiungendo frettolosamente la bestiola, che aveva preso in bocca il suo paio di scarpe preferito. Le sfilò dalle sue fauci e scosse energicamente la testa. -Non si fa, Dado. Capito? Non si fa-.
Il cane iniziò a scodinzolare, ottenendo una carezza.
Dopotutto anche quella povera bestiola era sola al mondo, esattamente come lo era lei. Non aveva una famiglia su cui contare, né un futuro roseo al quale aspirare.
Erano molto simili, in fin dei conti.
-Vai nella tua cuccia, dai- gli ordinò la ragazza, mentre accendeva distrattamente una sigaretta per poi portarla alla bocca.
Nonostante tutto, poteva ritenersi davvero molto fortunata: aveva una bella casa tutta per se, un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e adesso anche un compagno a quattro zampe con il quale trascorrere i suoi pomeriggi.
Si convinse che non aveva bisogno di nient'altro per essere felice, e che presto avrebbe visto la sua vita tornare alla più completa normalità.
Eppure, il destino pareva avere per lei un progetto molto diverso.
Non avendo mai posseduto alcun animale d'affezione non aveva niente con cui nutrire Dado, e così decise di recarsi al supermercato più vicino per comprare qualche scatoletta di boccocincini ed un sacco di crocchette. Lasciò un piccolo bacio sulla testa del cane prima di uscire, promettendogli ad alta voce che sarebbe rientrata a casa molto presto; chiuse poi a chiave la porta e si incamminò a passo svelto in direzione del supermercato. Giunta sul posto recuperò rapidamente i prodotti di cui aveva bisogno, e raggiunse la cassa.
Si sentiva molto rilassata, tanto che stava fischiettando; ma si ritrovò senza volerlo ad ascoltare le parole dell'anziana signora davanti a lei, che parlava con la cassiera mentre tentava di recuperare degli spiccioli dal borsello.
"L'hanno detto stamattina al telegiornale, non ha sentito la notizia?".
La donna seduta dietro alla cassa rispose in modo negativo, e così la donna continuò a parlare mentre le porgeva i soldi con una mano tremolante.
"Dicono che abbia tentato di suicidarsi, ma la polizia l'ha trovato in tempo ed è stato ricoverato in ospedale... Assurdo. Perché mai dovremmo salvare la vita ad un assassino?-.
Nell'udire quelle parole, pronunciate dalla voce rauca dell'anziana signora, Jane ebbe la sensazione di stare per svenire. Stava parlando di Jeff, non vi era spazio per molti dubbi.
Sentì il cuore iniziare a battere più forte nel suo petto, e si affrettò a riporre i suoi acquisti sul nastro per non rischiare di farli cadere a terra. Nella sua mente una voce continuava a ripeterle che le condizioni di Jeff non erano più affar suo, e che doveva ignorare quella notizia come stava facendo con tutte le altre; ma la domanda che fece subito dopo, uscì dalle sue labbra quasi senza il suo consenso.
-E come sta? L'hanno detto?- chiese, con un filo di voce.
La donna le rivolse uno sguardo strano mentre recuperava le borse ricolme di alimenti, poi le donò un timido sorriso. -Dicono che è in coma adesso. Overdose di farmaci mischiati all'alchool... Onestamente spero tanto che muoia, così avremo un criminale in meno a cui pensare... Soprattutto ora che gli hanno concesso anche dei diritti, a quelle bestiacce-. Detto questo se ne andò, e Jane si accorse di essere rimasta impalata davanti alla cassa solo quando la commessa le chiese se stesse bene.
Aveva chiuso con tutto questo, ci aveva pensato a lungo ed aveva deciso che dimenticare sarebbe stata la scelta migliore per lei, e che il passare del tempo avrebbe curato ogni sua ferita. Ma allora che cos'era quella terribile sensazione che stava provando?
Cos'era quella voragine che si era appena aperta nel suo stomaco, che si allargava fino a toglierle il fiato?
Si impose, ancora una volta, di mantenere il controllo; ritirò lo scontrino e pagò in contanti, per poi dirigersi verso casa senza alcuna sosta. La sua mente era di nuovo riempita da un cumulo di pensieri ed angoscie che non riusciva a cacciare via, e solo quando ebbe raggiunto la porta d'ingresso riuscì a calmarsi.
Fece girare la chiave, e fu subito accolta dallo scodinzolare di Dado, che aveva probabilmente atteso il suo ritorno con tanta ansia per tutto il tempo. L'animale aveva gli occhi colmi di gioia ed annaspava, saltellando sul posto in modo ossessivo; era proprio vero, aveva il terrore di essere abbandonato ancora.
Lei poggiò il sacco di crocchette a terra e chinò la schiena, accarezzando teneramente la nuca del cane.
-Sono tornata, hai visto?- gli disse, sorridendo. -Stai tranquillo. Non sarai abbandonato una seconda volta-.
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