ρꪖ᥅ꪻꫀ 34 - Scontrarsi
Arden parlava con tranquillità, le sue guance erano distese e lo sguardo sicuro; eppure, qualcosa nel suo volto lasciava trasparire una tensione che Jane riuscì a notare.
Quell'uomo stava forse nascondendo qualcos'altro, che non era stato detto fino a quel momento?
-..Topolino...- mormorò Natalie poggiando timidamente una mano sulla spalla della mora, ma non ebbe il tempo di dire null'altro perché la voce di Arden la sovrastò aggressiva.
-Me ne occupo io, Natalie. Non preoccuparti, è tutto sotto controllo- le disse, per poi rivolgere a Jane un sorriso che risultò falso e forzato a dismisura. -Somministrerò al paziente un calmante per tenerlo buono fino a che non avrà... Recuperato del tutto il contatto con la realtà-.
Jeff era immobile seduto sul letto, con la schiena inarcata e lo sguardo perso nel vuoto; i lunghi capelli neri si adagiavano delicati sulle spalle sottili, che sottolineavano chiaramente il dimagrimento al quale era stato sottoposto durante quei giorni di profondo coma. Ma non appena udì la frase che era stata appena pronunciata dal dottore, forse dimenticandosi del suo stato di salute, balzò giù dal letto gettando via le coperte con un gesto deciso e rapido; poggiò a terra i piedi nudi e in un attimo si trovava faccia a faccia con il Dottor Arden, che indietreggiò intimorito.
-Stai indietro, che cazzo fai?- sbraitò, portando le mani avanti ed iniziando ad agitarle a mezz'aria.
Ma solo una manciata di secondi dopo, Jeff realizzò di essere molto più debole di quanto credesse; sentì le orecchie fischiare e la sua vista si annebbiò rapidamente. Capì che non solo gli era impossibile affrontare quell'uomo, ma trovava un'ardua impresa anche reggersi semplicemente sulle sue gambe; era debole, troppo debilitato, e si accorse adesso che le sue ginocchia avevano iniziato a tremare vistosamente.
-Jeff!-. La voce di Jane, che chiamò il suo nome, giunse alle sue orecchie ovattata. Con una mano si appoggiò al materasso per non rischiare di cadere a terra, e contemporaneamente si sentì raggiungere dalle braccia della ragazza, che avvolsero il suo torso stringendo la canotta bianca che indossava.
-Siediti, sei debole- gli disse la mora, con voce fioca. -Va tutto bene Jeff, davvero. Siediti...-.
Il killer si vide costretto a mollare, nonostante avrebbe voluto più di ogni altra cosa staccare la testa a quell'uomo ed usarla per giocare a tennis; non poteva tollerare di esser stato utilizzato come uno stupido oggetto che, una volta consumato del tutto, si getta via. Troppe cose era riuscito ad udire nonostante il coma, ed ognuna di esse non aveva fatto altro che accrescere il suo odio nei confronti di quei due sconosciuti, chiunque essi fossero.
Jeff sospirò, e strinse il pugno come volesse stritolare il lembo di lenzuolo che aveva afferrato; se c'era una cosa che proprio non riusciva a sopportare, era la sensazione di impotenza.
-Tienilo fermo Jane, per favore- esordì il dottor arden, impugnando una siringa dal cui ago aveva appena fatto uscire una piccolissima goccia di liquido trasparente. -Mi dispiace farlo, ma devo sedarlo-.
La ragazza scosse la testa, e d'impulso afferrò il braccio sinistro del killer. -No no, non è necessario- balbettò nervosa, stringendo la presa come a voler convincere il ragazzo a collaborare. -Cerca solo di stare tranquillo, ok Jeff? So che sei confuso m...-.
-Sono tranquillo- la interruppe lui, con un tono che lasciava trasparire un punto d'ironia. Spostò lo sguardo sul pavimento, accorgendosi che il contatto con la mano della ragazza lo stava calmando davvero.
Arden strinse le spalle ed aggrottò la fronte. -Me lo auguro. Stiamo solo cercando di aiutarti, sai? Tutti quanti- inveì, con disprezzo. -Questa povera ragazza lotta da giorni per salvarti la pelle-.
Il killer non mosse un muscolo, e continuò a fissare il vuoto per una lunga manciata di secondi. Forse, in quelll'esatto momento aveva deciso che, per una volta, avrebbe consumato la sua vendetta come un gustoso piatto freddo. E solo per questo, avrebbe collaborato a quell'assurda messa in scena.
Sollevò lo sguardo solo per un millisecondo, incrociando gli occhi preoccupati di Jane soltanto per rassicurarla sul fatto che stava bene.
Non riusciva ancora a capire come si sentisse nel profondo, nel notificare che qualcuno tenesse così tanto a lui; non ricorava l'ultima volta che gli era capitato di provare una sensazione simile.
-Hai bisogno di riposare, posso ospitarti ancora per un giorno o due- continuò a dire il dottore incrociando le braccia sul petto. -Ma se tenterai di aggredirmi ancora, non sarò più così gentile con te-.
Il killer strinse i denti. Sentiva la rabbia continuare a crescere dentro di lui ogni secondo di più, ma sapeva di essere troppo debole per reagire e in ogni caso desiderava restare fedele alla decisione che aveva appena preso: avrebbe avuto la sua vendetta, ma non ora.
Di certo non voleva mettere in pericolo Jane più di quanto non lo fosse già.
-Grazie Arden, lo apprezzo davvero- mormorò la ragazza che rispose al posto suo, lasciando la presa sul moro solo dopo essersi assicurata che avesse davvero riacquistato la calma. Sospirò pesantemente svuotando i polmoni, per poi rivolgersi ancora all'uomo. -Ti dispiace se... Insomma...- borbottò impacciata. -Potete lasciarci da soli qualche minuto?-.
Natalie annuì con la testa quasi immediatamente, per poi lanciare un'occhiata speranzosa in direzione del dottore; quest'ultimo sembrò ragionare a lungo, per poi annuire a sua volta. -E va bene- borbottò.
Uscendo dalla stanza, Natalie lanciò a Jane un sorriso sfuggente, per poi chiudere la porta. E solo un attimo dopo, il meccanismo della serratura scattò.
Avevano deciso di chiudere entrambi dentro, girando la chiave. Forse temevano che avrebbero tentato la fuga.
Solo quando si trovò in quella stanza mezza vuota ed avvolta in un pacifico silenzio, Jeff parve trovare la forza di sollevare il capo e guardare la mora dritta negli occhi. Per l'ennesima volta scoprì di odiare se stesso, perché non riusciva a provare la gratudine che avrebbe dovuto percepire trovandosi al cospetto della persona che aveva appena salvato la sua vita.
Ma quella vita, lui, non la voleva.
-Sei più testarda di quanto credessi...- bobrottò, con un volto quasi del tutto privo di espressione.
Lei ridacchiò nervosamente, ma tornò seria solo un attimo dopo. -Non avrei mai potuto lasciare che... Insomma...-.
Intrecciò le mani e si accorse di avere la pelle bagnata di sudore; era stanca e nervosa, ma allo stesso tempo estremamente felice di come fossero andate le cose. -Se non fossi riuscita a svegliarti, loro ti avrebbero lasciato morire- mormorò.
Sul viso del killer apparve un piccolo amaro sorriso, mentre si umettava le labbra.
-Non sono mai stato in coma, Jane- le disse con un filo di voce, come volesse assicurarsi che gli altri due fuori dalla porta non potessero sentirlo. -Queste persone ci hanno usati, tutti e due. Capito?-.
La ragazza rimase interdetta, e dapprima non seppe che cosa rispondere. Lo guardò negli occhi mentre cercava di ricomporre i pensieri, e in un attimo realizzò che nessuna delle brutte sensazioni che aveva percepito riguardo a quel posto fosse stata infondata.
-Che vuoi dire?- rispose, sottovoce. -Sei stato incosciente per giorni, Jeff... Ho visto io stessa- balbettò, quasi come a voler convincere se stessa.
Ma il moro scosse lentamente il capo ed abbassò lo sguardo, con il volto stanco di chi nonostante abbia appena attraversato l'inferno sa che il suo calvario non è ancora finito.
-Sono stati loro... Mi hanno indotto un coma farmacologico, ecco cosa voglio dire-.
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