ρꪖ᥅ꪻꫀ 32 - Stringersi

(-Ti porto via con me...-).
Il killer non disse una parola, il suo sguardo non sembrava esprimere alcun tipo di emozione. Sembrava essere un manichino privo d'anima, un guscio vuoto che era stato riposto dietro a quelle sbarre di ferro arrugginite e lasciato lì a marcire in eterno.
Poco dopo, tra le grida ed i rumori inquietanti che rimbombavano nei corridoio, iniziò a sentirci il suono disturbato di una voce registrata.

"Ciao sono Liu, purtroppo non posso rispondere in questo momento...".

-..Jeff?- mormorò ancora con preoccupazione Jane, facendo un passo avanti e poggiando con delicatezza una mano sulla porta della cella. Ma ecco che solo un attimo dopo, il ragazzo infilò una mano in tasca con un movimento molto rapido della mano, per poi estrarre un lungo coltello luccicante.
Lei si immobilizzò e deglutì a vuoto, scoprendosi improvvisamente incapace di trovare le parole. Che cosa intendeva fare, con quell'affare?

"Lascia un messaggio e ti richiamerò appena possibile...".

Aprì la bocca, tentò di parlare ma ne uscì solo un borbottìo incomprensibile mentre Jeff, con un movimento lento, portava il coltello davanti alla sua stessa faccia e lo osservava con estrema attenzione.
Restò così fermo per una lunga manciata di secondi, facendo scorrere lo sguardo sulla stessa lama lucente che tante volte aveva imbrattato del sangue di innocenti vittime.
Non era in grado di spiegare a Jane che cosa stesse accadendo, la parte più malata ed irragionevole della sua mente stava rapidamente venendo a galla; offuscando i suoi pensieri, spingendolo a seguire i suoi istinti più contorti e maligni.
-Devi svegliarti, Jeff- esordì ancora la mora, dopo aver recuperato un po' di controllo. Iniziò a tirare la porta di ferro che chiudeva la cella, rendendosi conto poco dopo che la serratura era ovviamente chiusa a chiave.

"E Jeff, se sei stato tu a chiamare... Ti prego, torna a casa...".

-Devo portarti via, è la mia ultima possibilità!- insistette, iniziando a strattonare le sbarre. Tirò verso di sé con tutte le forze che aveva in corpo, ma non riuscì a combinare niente; e continuò a tentare finché, all'improvviso, non vide Jeff balzare in piedi.
Il ragazzo adesso aveva entrambe le braccia distese lungo i fianchi, ed il volto chino verso il basso; parve sogghignare per una frazione di secondo, poi sollevò di colpo il coltello ed iniziò a conficcarlo nelle sue guance. La lama squarciò la pelle con facilità, tracciando un solco profondo proprio sopra alla cicatrice che era già presente; prima a sinistra, poi a destra, fino a ricreare quello stesso terrificante sorriso che aveva inciso sul suo volto da ragazzino, il giorno in cui uccise i suoi genitori.

"...Siamo tutti molto preoccupati per te".

Jane fece un passo indietro, paralizzata dal terrore. -No...Jeff! Smettila, ti prego- borbottò, agitando le braccia.
Ma lui sembrava non poterla neanche sentire; continuò a passare il coltello su quello squarcio caldo, dal quale fiotti di sangue fuoriuscivano abbondanti ed imbrattavano i suoi vestiti. E di tanto in tanto, ridacchiava dondolandosi sulle ginocchia.
-Jeff...-.
Il giovane killer si voltò verso di lei, e fu allora che Jane si rese conto che nei suoi occhi in quel momento non vi era nulla di umano: niente che lasciasse percepire un pensiero, un'emozione, un sentimento. Quello sguardo fisso che adesso era posato su di lei era dominato da un'inarrestabile e disumana follia, che brillava nelle sue iridi come una stella accesa nel cielo nero.
Il killer sorrise, e la curvatura delle sue labbra si allineò con la ferita sanguinante che aveva appena inciso nella sua pelle. L'espressione sul suo volto si fece così terrificante che Jane indietreggiò istintivamente di alcuni passi, fino a sbattere la schiena contro alle sbarre della cella che si trovava dietro di lei.
Un suono assordante riempì le sue orecchie, un frastuono che pareva provenire da ogni angolo di quel maledetto carcere; la ragazza portò le mani alle orecchie nel tentativo di farlo smettere, e solo allora riconobbe il volto beffardo volto di Jason oltre quelle barre di ferro arrugginito.
Jason The Toy Maker.
Non avrebbe mai potuto dimenticare il suo viso, l'espressione contorta che lo dominava.
Era conscia di trovarsi all'interno del sogno di Jeff, ma sapeva che anche nella realtà quell'uomo si trovava ancora dietro le sbarre. Non era mai stato liberato.
-Vattene, non sei la benvenuta!- le inveì contro, sbattendo ripetutamente i palmi delle mani contro alla porta della sua lurida cella. -Vattene!-.
Jane decise di ignorarlo del tutto; non aveva alcun senso interagire con il ricordo di Jason.
Aveva capito che l'unica possibilità di strappare Jeff dal suo sogno, ammesso che un modo esistesse, era quella di affrontarlo direttamente. Tornò quindi dinnanzi alle sbarre che la dividevano dal killer, con il fiato mozzato dalla paura e le mani che non sembravano voler più smettere di tremare.
Fece un lungo sospiro e chiuse gli occhi per una frazione di secondo.
-Non ti lascio qui, capito?- esclamò poi, svuotando i polmoni di tutta l'aria che contenevano. Sapeva di avere un certo potere all'interno dell'inconscio di Jeff: dopotutto, nella sua prima immersione aveva involontariamente causato quell'orribile incendio. Si disse che se era in grado di condizionare gli avvenimenti all'intero di quel sogno, allora avrebbe potuto farlo anche adesso.
Avrebbe potuto sbloccare quella serratura ed aprire la porta della cella di Jeff.
Con le mandibole serrate e la mente in subbuglio avvicinò entrambe le mani alla serratura di ferro, percependo una sorta di campo magnetico che sembrava circondarla; e mentre faceva questo, Jeff la osservava completamente immobile, con un volto del tutto inespressivo. Non si preoccupava affatto del fiume di sangue che stava inzuppando la sua maglia, né delle terrificanti urla disperate che in quello stesso momento si erano propagate nell'aria, provenienti quasi certamente dalle altre celle.
Jane tremava, tremava come mai prima d'ora. Era terrorizzata ma sapeva di non poter mollare proprio adesso, non poteva concedersi alcuna debolezza fino a che Jeff non fosse stato tratto in salvo.
Tentò di concentrare tutta la sua energia mentale su quella maledetta serratura, che con immensa sorpresa vide aprirsi con un sonoro "click" metallico davanti ai suoi occhi. Ma non si lasciò il tempo di complimentarsi con sé stessa, perché subito spalancò la porta di ferro e si precipitò all'interno della cella.
D'un tratto la paura l'aveva abbandonata, lasciando il suo posto al disperato desiderio di strappare quel ragazzo alla morte. Nonostante fosse palese che Jeff non era in sé, la consapevolezza di non poter subire alcun danno fisico all'interno di quel sogno la spinse a fare un balzo verso di lui, senza neanche dargli il tempo di capire che cosa stesse accadendo.
Allungò le mani dietro al suo collo e lo strinse a sé così forte da togliergli il respiro.
Lo abbracciò forte, e sentì il sangue umido bagnare il suo collo.

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