ρꪖ᥅ꪻꫀ 3 - Fuggire

Il profumo del pane appena uscito dal forno era una delle cose che facevano amare a Jane il suo lavoro: se ne riempiva le narici come fosse una sorta di droga, amava quell'odore perché le trasmetteva una piacevole sensazione di rilassatezza.
Stava sfornando le ultime pagnotte di quella mattina quando, venendo distratta dalla voce della telecronista in tv, una di queste cadde sul pavimento sporco. Sbuffando alzò gli occhi sul piccolo schermo appeso alla parete, ed osservò inespressiva la giornalista che stava venendo in quel momento inquadrata. 
"È proprio così! Pare ci siano delle novità sul caso di Jeff the Killer, il criminale che sta sfuggendo alle forze dell'ordine ormai da due mesi e mezzo".
Istintivamente la ragazza poggiò la teglia calda sul ripiano e strinse i denti, sentendo un brivido percorrere la sua schiena. Aveva promesso che si sarebbe lasciata tutto quanto alle spalle, eppure ogni volta che sentiva qualcuno nominare Jeff non poteva fare a meno di chiedersi se lui stesse bene.
Tentò di distrarsi, ma ecco che solo un attimo dopo i suoi occhi erano di nuovo puntati sulla tv. Adesso il cameraman riprendeva il volto di un uomo sbarbato, che indossava un paio di spessi occhiali da vista.
"Qui entra ed esce molta gente, non ho fatto caso a lui, anche se avrei dovuto siccome era incappucciato e non pareva avere buone intenzioni. Ma quando mi sono accorto che stava tentando di uscire senza passare dalla cassa, gli ho gridato subito di fermarsi e lui è scappato via".
"È riuscito a vedere quali prodotti ha rubato?".
"Tre bottiglie di vodka".
Jane strinse le labbra ed emise un piccolo sospiro, per poi distogliere lo sguardo dal televisore. Jeff non pareva essere cambiato di una sola virgola: aveva rubato dell'alcool in un negozio di alimentari, e sicuramente adesso era andato ad ubriacarsi da qualche parte.
Che razza di idiota.
Scosse la testa e si impose di rimettersi a lavoro, in modo tale da non dover pensare a quella faccenda; dopotutto, non la riguardava più in nessun modo. Prese la scopa e ripulì tutta la cucina come faceva ogni mattuna, per poi igienizzare il pavimento con acqua e sapone; al termine del suo turno, piuttosto stanca, salutò i colleghi ed uscì dal negozio con la testa bassa.
Nonostante avesse ormai ripreso del tutto il controllo sulla sua vita, aveva l'impressione di essere ancora troppo ancorata e tormentata dal passato, e sapeva che avrebbe dovuto fingere di dimenticare tutto per poter andare avanti.
Le cazzate di Jeff non erano più un suo problema.

.....

Il sole stava calando lentamente dietro ai profili tetri dei palazzi, colorando il cielo di una malinconica tonalità di arancione. L'aria si faceva pian piano più fredda e la città si spegneva, molta gente rietrava a casa dal lavoro e chiudeva a chiave i portoni. Anche gli uccellini avevano cessato il loro canto adesso, per andare a rintanarsi negli anfratti dei pochi alberi cresciuti ai lati delle strade.
Silenzio.
Solo il miagolio di un gatto teneva compagnia a Jeff, che seduto a terra come uno straccione era intento a buttare giù l'ennesimo sorso di Vodka.
La sua mente era ormai annebbiata dal potente effetto di quel liquido nauseabondo, i suoi nervi distesi e la testa leggera.
La luce di un lampione penetrava attraverso il vetro sporco della finestra e si infrangeva al suolo, dove la polvere si era accumulata per molti mesi. Il suo attuale rifugio non era che un appartamento vuoto, che attendeva di essere ristrutturato per poter essere proposto di nuovo sul mercato degli affitti.
Non vi era energia elettrica né acqua, ma per il killer rappresentava un luogo sicuro dove nascondersi dagli occhi indiscreti del mondo ed annullare la sua stessa esistenza.
Quindi era perfetto.
Ma doveva essere molto cauto; sapeva bene di essere stato individuato quella mattina al negozio di alimentari, ed era certo che più di una squadra di poliziotti era ancora alle sue calcagna.
Piegò le ginocchia raggomitolandosi su se stesso, e sollevò ancora una volta la bottiglia mezza vuota con la mano che tremava; l'ubriachezza era l'unico stato in cui riusciva a sentirsi in pace con se stesso, e mai come adesso ne aveva fottutamente bisogno.
Concedersi una tregua dalle voci assordanti che risuonavano nella sua mente, dai pensieri ossessivi che la riempivano fino a farla scoppiare, da quel soffocante senso di inadeguatezza. Solo spegnendo la sua mente malata riusciva a trovare la pace necessaria per sopravviere, ormai.
Non aveva la più pallida idea di quanto avesse bevuto quel giorno, la sua capacità di ragionamento era ormai del tutto compromessa; ma il forte bruciore che percepiva nella parte alta dello stomaco, gli suggeriva che avrebbe dovuto fermarsi.
Non lo fece.
Poggiò la nuca contro alla parete e buttò giù un altro abbondante sorso, arricciando le labbra. Neanche gli piaceva, il sapore di quella merda; tutto ciò che desiderava era ottenere uno stordimento tale da dimenticarsi della sua stessa esistenza per qualche ora, o magari un giorno intero.
Ma pareva che neanche l'alcool riuscisse ad aiutarlo, in quel momento; i ricordi che stava prendendo a calci, proprio non volevano andarsene via dalla sua testa. Così, barcollando con la mano destra premuta contro alla parete, raggiunse l'angolo in cui aveva riposto un piccolo zaino, ed estrasse una delle cose più preziose che aveva: una piccola bottiglietta di vetro scuro.
Benzodiazepine.
Conosceva bene il loro potente effetto, se associato con il consuno di alchool; se ne avesse assunte una ventina di gocce, probabilmente avrebbe dormiro ininterrottamente per un paio di giorni.
Non ci pensò molto. Svitò il tappo e portò la bottiglietta alla bocca, senza preoccuparsi della quantità di liquido che stava facendo cadere sulla lingua.
Desiderava ottenere un po' di pace, più di ogni altra cosa al mondo; e sapeva che quello sarebbe stato il modo più veloce per ottenerla. Avrebbe fatto una lunghissima dormita su quel maledetto pavimento ricoperto di polvere e sporcizia, e si sarebbe risvegliato in condizioni di certo migliori.
Emise un flebile lamento; quella roba aveva un sapore terribilmente amaro, e non aveva acqua potabile con cui diluirla.
Tornò a distendersi nel medesimo posto di poco prima, volgendo lo sguardo alla luce ovattata che proveniva dall'esterno. Il farmaco agì dopo pochi minuti, e senza che avesse la possibilità di rendersene conto il ragazzo crollò a terra, con la faccia riversa sul pavimento freddo.
Solo un attimo prima di serrare le palpebre realizzò che forse, da quel sonno, non si sarebbe neanche più risvegliato.

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