ρꪖ᥅ꪻꫀ 2 - Ricordare

Trarre un insano piacere dal dolore era una delle cose che Jeff aveva imparato a fare meglio, nel tortuoso percorso della sua vita. Riusciva ad afferrare quel sottile velo di sollievo che ricopriva ogni evento tragico ed ogni azione disumana che compiva dando ascolto alle demoniache voci nella sua testa, ne inspitava l'odore, se ne riempiva i polmoni.
Era certo di essere una delle poche persone al mondo ad avere quella qualità, che per quanto potesse sembrare inutile e perversa, fino a quel momento gli aveva permesso di aver salva la vita.
Trarre piacere dal dolore; e non solo da quello altrui, ma anche dal proprio. A volte si sentiva come un esploratore che aveva perso la via addentrandosi in una boscaglia; doveva vivere del poco che trovava, gioendo di cose delle quali alle persone comuni non importava un bel niente.
Perché sì, c'è una luce in fondo ad ogni tunnel, ma spesso è solo un breve tratto di cielo che precede l'inizio di una nuova oscurità. E lui, da quel poco di luce, si lasciava bruciare la pelle.
Talvolta cospargersi il volto del sangue delle sue vittime era per lui una specie di rituale depurativo, che scacciava via i mostri nella sua testa per un bel po' di tempo; ma quando ciò non bastava, quello stesso coltello che aveva usato per privare quelle anime delle loro squallide vite, lo usava su se stesso.
Trovare il più malato piacere, nel profondo dolore.
Jeff aveva imparato a giocare con le sue emozioni, per riuscire a provare qualcosa di forte ed autentico che lo facesse sentire ancora vivo, che gli desse una motivazione valida per continuare a respirare ancora. E così, tra le mura silenziose di una vecchia abitazione dismessa, con i capelli ancora bagnati dalla pioggia e la pancia che borbottava per la fame, provò a mischiare le sue emozioni tra loro come fossero ingredienti di una torta.
Con la mano destra impugnava il suo coltello, la cui punta affilata era già penetrata nella sua gamba sinistra ed ora scorreva verso l'altro, squarciando il tessuto della tuta e con esso la pelle integra che trovava sul suo tragitto; mentre con la sinistra abbassava lentamente il cavallo dei pantaloni, ed impugnava con non curanza il suo membro.
Piacere e dolore, che si mischiavano assieme creando uno scenario tanto maestoso quanto raccapricciante.
Non aveva voglia di pensare a quanto i suoi comportamenti fossero strani, soprattuto considerato il fatto che era completamente solo, in quella fatiscente abitazione. Sollevò il mento e chiuse gli occhi, finendo per concentrarsi senza volerlo sulla sua respirazione; ascoltava il ritmico entrare ed uscire dell'aria statìa nei suoi polmoni, mentre piccoli brividi di piacere percorrevano il suo basso ventre.
Sollevò il coltello ossevando brevemente la ferita che si era appena procurato, per poi calare ancora la lama a pochi centimetri di distanza, ove la pelle era ancora bianca ed immacolata. Nell'affondare il coltello nella carne aumentò il movimento dell'altra sua mano emettendo un piccolo gemito di piacere, anche se non era tanto la masturbazione a generare in lui quella sensazione piacevole, quanto la percezione del sangue che stava scendendo lentamente lungo la sua gamba.
Seppur avrebbe di certo preferito il silenzio, nella sua mente risuonarono beffarde le grida delle sue vittime più recenti, con il loro suono stridulo e carico di puro terrore; poi, come a voler schernirlo, il ricordo ormai lontano della voce di suo fratello.
Il killer aggrottò la fronte ed incise un terzo squarcio nella pelle, tentando di scacciare via quelle voci dalla sua testa; e ci riuscì, ma al loro posto apparve senza un preciso motivo il volto di Jane.
La ragazza che lo aveva salvato, più o meno volontariamente, dalla sua prigionia. Quella stessa persona che lo aveva odiato con ogni cellula del suo corpo, ma che infondo sembrava aver visto in lui qualcosa che nessun altro prima aveva anche solo potuto vagamente percepire.
Senza rendersene conto si ritrovò a pensare a lei, al modo in cui nascondeva i segni del suo passato sotto a quel fondo tinta, alla sua andatura lenta e calcolata, al suono rassicurante della sua voce. Non l'aveva più vista ne cercata, dal giorno in cui Smiley si era suicidato davanti a tutte quelle persone.
Con un gesto rapido spostò il coltello sulla gamba opposta e vi conficcò ferocemente la punta della lama, mentre piegando la testa in avanti raggiungeva l'apice del piacere. Gli parve strano, farlo proprio mentre pensava a lei; ma era abituato a non porsi troppe domande riguardo a quello che diceva e faceva, convinto di essere probabilmente anche più pazzo di quel che si diceva in giro.
Provava una strana sensazione di conforto nel ricordare i lineamenti del volto di quella ragazza, seppur in un remoto passato non era stata niente più di una delle innumerevoli vittime che avevano assaggiato il suo coltello.
Si alzò in piedi ed allacciò i pantaloni, senza curarsi in alcun modo del fatto che il sangue ne stesse già tingendo il tessuto, e si avvicinò alla finestra. Attraverso il vetro sporco, sospirando lievemente, osservò i palazzi popolari che si erigevano davanti al suo sguardo, con i loro piccoli balconi corrosi dal tempo e le lenzuola stese ad asciugare al vento.
Si era chiesto molto spesso come sarebbe stata la sua vita, se avesse potuto essere una persona normale come tutte le altre; ma probabilmente, non avrebbe mai avuto una risposta a quella domanda. Perché lui era tutto fuorché normale.
Il lampeggiante blu e rosso di una volante della polizia catturò all'improvviso il suo sguardo; stava percorrendo la via statale che si trovava proprio sotto di lui. La osservò passare ed allontanarsi con il fiato sospeso, ed una mano tinta di sangue poggiata sul vetro.
Le forze dell'ordine lo stavano ancora cercando, ma parevano non avere la più pallida idea di dove lui si trovasse davvero.

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