ρꪖ᥅ꪻꫀ 19 - Nuotare

Sapendo già che cosa avrebbe dovuto aspettarsi, la seconda immersione nella mente di Jeff su per Jane molto meno preoccupante. Si prese solo altri cinque minuti di tempo per sporgersi fuori dalla finestra e fumare una sigaretta, puntando lo sguardo su quella strada provinciale che veniva percorsa a quell'ora da molte automobili.
Lasciò poi che Arden applicasse gli elettrodi sulla sua fronte con estrema tranquillità, la sensazione di terrore che aveva provato fino a poche ore prima sembrava aver del tutto abbandonato il suo corpo, lasciando spazio alla semplice speranza che, questa volta, le cose sarebbero andate in modo diverso. Questa volta non avrebbe dovuto limitarsi a fare un tuffo nell'incoscio del killer, ma avrebbe dovuto tentare di nuotarci dentro.
-Ben è un tipo particolare- le disse Natalie, mentre passava al dottore gli strumenti di cui aveva bisogno. -Sei riuscita a farci amicizia?-.
La ragazza accennò un lieve sorriso, mentre voltava la testa in direzione di Jeff. -Sinceramente credo di volerne fare a meno- ammise.
Osservò immobile il suo corpo adagiato su quel letto, il viso parzialmente coperto dal respiratore e adesso anche dalla manciata di fili che collegavano la sua mente al macchinario di Arden. Lei sapeva per certo che Jeff era ancora dentro a quel corpo, forse poteva sentire tutto ciò  che lo circondava, e forse stava gridando aiuto.
-Perché? Guarda che è un ragazzo simpatico, se riesci a legarci un po'- insistette Natalie, esprimendo una certa delusione.
-Diciamo che non era molto propenso a fare amicizia con me- rispose la mora. -E comunque, mi sembra che neanche tu gli stia molto simpatica-.
L'altra scoppiò a ridere. -Ah! Stronzate, mi adora-.
-Se non vi dispiace, vorrei iniziare- le interruppe la voce del dottor Arden, che nel frattempo si era avvicinato al macchinario facendo scorrere la sedia da ufficio sulle matonelle del pavimento. -Avrete tempo più tardi per discorrere-.
Jane emise un lento sospiro, svuotando i suo polmoni di tutta l'aria che contenevano. Poggiò la nuca sulla poltrona imbottita e chiuse gli occhi, aggrappandosi ai braccioli come temesse in qualche modo di essere spazzata via da un tornado.
-Sono pronta- mormorò.
La discesa nella mente di Jeff fu simile a quella precedente; durò una manciata di secondi in più, ma anche questa volta non vi furono intoppi.
La ragazza si sentì scivolare in un sonno semi cosciente, abbandonando progressivamente il contatto con la realtà per inoltrarsi in quel tetro mondo parallelo che era la mente di Jeff.
E di nuovo, esattamente come la prima volta, la prima cosa che percepì fu un freddo penetrante che la fece tremare come una foglia secca al vento; numerosi brividi si susseguono mentre era intenta ad issarsi in piedi, realizzando di trovarsi in un luogo diverso rispetto alla volta precedente.
Sotto alle suole delle sue scarpe, che scoprì essere per qualche motivo sporche di fango, la ghiaia di un vialetto. Si guardò intorno; era buio, forse tarda sera, e si trovava nel giardino di una villetta a schiera distante pochi metri dalla strada provinciale. Quest'ultima era egregiamente illuminata da una lunga fila di lampioni, i quali per qualche motivo pareva non riuscissero tuttavia a rendere visibile nessuna delle altre abitazioni che componevano il quartiere.
Alzò gli occhi al cielo, sfregando le mani nel tentativo di scaldarle, e notificò un altro dettaglio piuttosto strano; non vi era alcuna nuvola, nessuna traccia di nebbia, eppure su quell'immenso manto nero non era visibile alcuna stella. Soltanto la rotondità di una strana luna decorava quella chiazza di petrolio, ma la luce che rifletteva era scarsamente intensa, e colorata di una strana tonalità di grigio.
All'improvviso un rumore raggiunse le sue orecchie, abbastanza forte da farla sobbalzare; fu un intenso fruscio, proveniente forse dalle siepi che circondavano il giardino. Jane ne fu terrorizzata, tanto che senza pensarci troppo si avvicinò all'abitazione, il cui ingresso era illuminato dalla luce di un faretto al led. Si voltò indietro cercando di identificare l'origine del rumore che stava tutt'ora sentendo, ma non riuscì a vedere quasi nulla a causa dell'oscurità; e seppur quella casa non le trasmettesse affatto una sensazione di sicurezza, si apprestò a premere i palmi sulla maniglia spalancando la porta. 
Non appena il suo sguardo poté penetrare all'interno, grazie al fatto che tutte le luci della casa parevano essere state accese, quasi non gridò vedendo una figura umana attraversare velocemente il corridoio.
Richiuse la porta dietro alle sue spalle, e fu in quel momento che riconobbe l'orrenda carta da parati che ricopriva ogni muro della casa; si trovava quasi certamente all'interno della stessa abitazione ove si era risvegliata la volta precedente. Percepì anche lo stesso sgradevole odore di muffa, ed il pizzicare della polvere sulle sue narici.
-C'è... Qualcuno?- balbettò, guardandosi intorno con preoccupazione. Era quasi certa che avrebbe dovuto nuovamente vagare per quei corridoi alla ricerca di una risposta alla sua domanda, invece fu molto stupita nel realizzare il contrario; la figura umana che pochi attimi prima l'aveva terrorizzata, si stava adesso avvicinando a lei a passo lento.
Era un ragazzo, alto e magro, dal volto gentile; indossava una lunga giacca scura, portava una sciarpa attorcigliata attorno al collo ed aveva una increspata capigliatura castana.
-Tu che ci fai qui?- le chiese, ma non in tono accusatorio; pareva in effetti semplicemente curioso di capire chi lei fosse.
-Io... - balbettò Jane, continuando ad osservarlo con preoccupazione. Seppur quel ragazzo non sembrasse in alcun modo aggressivo o pericoloso, di certo non aveva dimenticato di trovarsi all'interno della mente di un serial killer.
-Ti sei persa?- le domandò ancora lo sconosciuto, accennando un lieve sorriso.
Lei stava per rispondere, ma non ne ebbe il tempo.
-Tranquilla- le disse. -Siamo tutti un po' persi qua dentro-.
-Come ti chiami?- domandò infine Jane, tentando di nascondere il suo timore. Il ragazzo piegò lievemente il volto e sorrise ancora, quasi come se stesse cercando di rassicurarla.
-Io sono Liubert, molto piacere. E tu?-.
Fu allora che in Jane si accese una lampadina, ricordava molto bene quel nome, seppur Jeff ne avesse sempre pronunciata soltanto l'abbreviazione: Liu era suo fratello, il fratello di Jeff.
Non avrebbe mai potuto dimenticare la prima volta che aveva visto il killer ascoltare la sua voce tramite la registrazione che aveva lasciato sulla segreteria telefonica, ed il suo volto riempirsi di dolore. Liu era morto, era stato ucciso dallo stesso Jeff diversi anni fa; dunque, in quel momento, lei stava avendo una conversazione con un defunto. O, per essere più precisi, con il ricordo che il suo assassino aveva conservato di lui.

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