ρꪖ᥅ꪻꫀ 14 - Tuffarsi

Jane sentì un brivido percorrere interamente la sua schiena; l'ennesimo, nel giro di pochi minuti.
-Cerca di rilassarti, Jane. Più sarai tranquilla durante il processo, più possibilità abbiamo che tu riesca nell'impresa- le disse l'uomo, con un tono di voce estremamente calmo. -E riusciremo nel nostro intento-.
-Io... Spero solo di non combinare un casino- mormorò la ragazza, sospirando nervosamente. -Deve sapere che non sono la persona più stabile di questo mondo, emotivamente parlando-.
Il dottore sorrise. -Tutto ciò di cui hai bisogno, è un legame con il paziente.  E a quanto ho capito, ce l'hai-.
-L'ho avuto, forse- lo corresse lei, ridacchiando nervosamente.
L'uomo annuì. -Questo potrebbe essere sufficiente, d'altro canto sei letteralmente l'unica persona in vita ad avere avuto un legame sufficientemente stretto con Jeff the Killer, dunque se non funzionerà con te, non funzionerà con nessuno-.
Il medico si allontanò di qualche passo, ed iniziò a settare il macchinario di sua invenzione regolando una serie di tasti e manopole. Natalie, nel frattempo, era china sul letto di Jeff ed intenta ad applicare anche a lui una serie di elettrodi sulla sua fronte, spostando i suoi lunghi capelli neri per farsi spazio. Sembrava non stare più nella pelle, era chiaro che non vedesse l'ora di iniziare; quasi come se, a sottoporsi al processo, sarebbe stata lei.
-Okay, ci siamo- annunciò Arden, accennando un lievissimo sorriso sulle labbra sottili. -Quando sei pronta, avvio la macchina-.
Jane emise un lungo sospiro, affogando d'aria i propri polmoni per poi svuotarli in modo violento. Non doveva permettersi di indugiare ancora, quello era il momento di raccogliere tutto il suo coraggio e portare a termine l'impresa.
-Sono pronta- bisbigliò, lanciando un'occhiata preoccupata a Natalie, che ricambiò con un ampio sorriso rassicurante. -Tifo per te, topolino-.
Il dottor Arden avviò il suo macchinario e si rivolse nuovamente a Jane. -Bene, adesso chiudi gli occhi e rilassati. Fai dei bei respiri profondi Jane, a lasciati trasportare-.
La mora ascoltò le parole del dottore, e si convinse che dar retta ai suoi consigli avrebbe di certo reso tutto quanto più facile; ma prima di abbassare le palpebre si voltò verso Jeff, ed osservò il suo volto disteso rivolto verso l'alto. Era tremendamente indifeso, un killer spietato e pericoloso totalmente inerme nelle mani di persone che probabilmente neanche aveva mai conosciuto.
La ragazza strinse le labbra premendo la lingua contro al palato; Jeff aveva un disperato bisogno del suo aiuto; e sperava tanto che, la prossima volta che avrebbe incrociato quel volto, lui sarebbe stato sveglio.
Strinse i pugni e tornò a poggiare la nuca sulla poltrona, chiudendo lentamente gli occhi mentre tentava di rilassare i nervi.
-Lasciati andare, Jane- le ripeté il dottore, con voce lenta e pacata. -Come se dovessi addormentarti-.
Il processo durò una lunga manciata di minuti, e per la ragazza fu come immergersi molto lentamente in una vasca d'acqua gelata. Sentì la sua coscienza scivolare via in modo progressivo come accade nelle primissime fasi del sonno, perdendo man mano il contatto con la realtà che la circondava; ma non fu proprio come addormentarsi.
Si accorse di essere ancora parzialmente vigile quando udì la voce del dottor Arden che le chiedeva come stesse andando, ma quando tentò di rispondere si rese conto di non essere in grado di parlare. Provò a scuotere il suo corpo, a muovere la mandibola, ma nessun muscolo sembrava rispondere ai suoi comandi: come in una paralisi del sonno, era parzialmente sveglia ma non in grado di compiere alcun tipo di movimento, e presto quel pozzo nero nel quale pareva essere imprigionata prese una nuova forma.
Doveva essere riuscita a tuffarsi nella mente di Jeff, o forse semplicemente lui l'aveva lasciata entrare; e la prima cosa che riuscì a percepire prima ancora di riuscire a guardarsi attorno, fu un freddo penetrante.
Ed a quel punto sì, era proprio come se stesse sognando.
Ma si trovava nel sogno di qualcun altro.
Si guardò attorno con timore, realizzando di trovarsi in piedi al centro di una stanza vuota dalla curiosa forma quadrata. Delle piccole nubi di condenza si formavano davanti alle sue labbra, segnale che indicava la bassa temperatura che aleggiava in quell'aria statìa; tutto attorno, un silenzio tombale disturbato soltanto da un debolissimo rumore di sottofondo che la ragazza non riuscì ad identificare.
Le pareti della stanza vuota erano ricoperte da una orrenda carta da parati anni settanta, in più zone marcita e screpolata a causa dell'umidità, che pareva essere la responsabile dell'odore sgradevole che stava raggiungendo le sue narici.
-Jane, riesci a sentirmi?-.
La voce del Dottor Arden rimbalzò sui muri senza che la ragazza fosse in grado di comprendere da quale direzione provenisse.
-Si... Credo di essere dentro- rispose, continuando a guardarsi intorno. Ma poco dopo realizzò che la sua voce non aveva mai raggiunto le orecchie del dottore; probabilmente, aveva parlato solo in quello strano sogno, ma nella realtà non aveva pronunciato una sola sillaba.
-Prova a parlarmi, Jane- insistette l'uomo, toccandole una spalla nel tentativo di farle recuperare un poco di contatto con la realtà.
La mora sollevò la testa verso l'alto, notificando soltanto allora la presenza di un enorme lampadario antico che pendeva dal soffitto; aveva un aspetto insolito, ed era ricoperto di ruggine e polvere.
-Questo posto mi mette i brividi- provò a dire, sperando che il dottore sarebbe riuscuto ad udire le sue parole. -Ma sto bene, credo-.
Sospirò pesantemente, spostando lo sguardo sull'unica porta presente nella stanza. Era di legno, chiusa tramite un chiavaccio di rame.
-Non so se mi stai parlando Jane, non posso sentirti se parli nel sogno... Dovresti sforzarti di muovere la bocca- la informò ancora Arden. -Ma lascia perdere per ora. Ovunque tu sia finita, vai a cercare Jeff-.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top