ρꪖ᥅ꪻꫀ 31 - Percepire

Arden osservava ogni minimo movimento di Jane con un volto inespressivo, passando di tanto in tanto una mano sulla fronte. Dietro alle sue spalle, anche Natalie stava osservando curiosa, nonostante stesse evidentemente cercando di fingersi meno interessata alla questione di quanto non lo fosse in realtà.
-Non so se funzionerà... Ma devo provarci- mugolò la mora, che seduta accanto al letto di Jeff impugnava adesso il vecchio cellulare dallo schermo rotto. Avviò una chiamata al numero che aveva identificato come appartenente al defunto Liu Woods, ed attese lo scatto della segreteria prima di poggiare l'apparecchio elettronico sull'orecchio di Jeff.
Voleva che riuscisse a sentire.
Voleva che sentisse ancora la voce di suo fratello, perché sperava con tutta se stessa che in questo modo il ragazzo sarebbe stato incentivato a svegliarsi.
Osservò a lungo il suo volto dormiente, immobile, fisso in quella stessa espressione di falsa tranquillità che sembrava esprimere.
Ma Jeff, come si sarebbe potuto facilmente prevedere, non mosse un solo muscolo.
-Provo ancora...- bisbigliò Jane, ripetendo l'operazione daccapo.
Il dottor Arden iniziò a sbuffare da lì a poco, prendendo a camminare avanti e indietro lungo la stanza con impazienza.
-È inutile, non lo vedi?- la rimproverò poi, avvicinandosi al lato opposto del letto. -Pensi davvero di riuscire a svegliarlo così?-.
Jane ritrasse la mano nella quale reggeva il telefono, ed abbassò lo sguardo. Sembrò pensare per una lunga manciata di secondi, poi sollevò di scatto la testa e si rivolse all'uomo guardandolo dritto in faccia:
-Attaccami gli elettrodi- esordì poi, con sicurezza. -E tu, Natalie... Fagli sentire ancora questa registrazione mentre tento di entrare nella sua mente, ok?-.
Nonostante disapprovasse in modo chiaro quella situzione, il dottore finì per accontentarla, e come gli era stato chiesto procedette a preparare il suo macchinario. Era praticamente certo che quell'ultimo disperato tentativo non sarebbe servito a niente, ma a quel punto tutto ciò che voleva era liberarsi di quella ragazza e cercare una nuova cavia su cui testare la sua invenzione.
Applicò con cura gli elettrodi sulla fronte di Jane, senza dire una singola parola; poi, senza fretta, procedette al settaggio del macchinario.
-Coraggio Topolino, siamo tutti con te- la incoraggiò Natalie, che addirittura le aveva afferrato una mano ed aveva iniziato a stringerla con fin troppa foga. -Andrà bene, vedrai-.
Jane accennò un piccolo sorriso, ma non trovò il coraggio di rispondere; non era per niente sicura che quel suo piano strampalato avrebbe funzionato, e sapeva che se così non fosse stato per Jeff era la fine.
Emise un lento e tremante sospiro mentre Arden procedeva con l'iniezione, e poco dopo la solita insopportabile stanchezza prese possesso del suo corpo e della sua mente.
Si voltò in direzione di Jeff, mentre le sue palpebre iniziavano a calare e la vista ad offuscarsi in modo progressivo; tentò di parlare, per dire a Natalie che quello era il momento di far udire la registrazione al ragazzo, ma non riuscì a pronunciare neppure un a singola sillaba. Scivolò rapidamente in un sonno cosciente e non oppose resistenza, perché sapeva bene che cosa stava accadendo.
Non era sicura che fosse stato lo stesso Jeff a permetterlo, ma di certo stava riuscendo ad entrare di nuovo nella sua mente.
Impiegò qualche secondo però, per riuscire a capire che questa volta qualcosa era cambiato.
Ebbe l'impressione di affogare, di non riuscire più a far entrare neppure una misera particella d'ossigeno nei suoi polmoni; spalancò la bocca nel vano tentativo di gridare, ma la richiuse non appena sentì un'ondata d'acqua gelida riempirle il petto.
Non riusciva a vedere niente.
Non aveva idea di dove fosse.
Per un attimo fu sicura che sarebbe morta; era certa di essere in debito di ossigeno, la sua mente era appannata, i suoi pensieri confusi ed inconcludenti. Tentò di spalancare ancora una volta gli occhi mentre agitava il corpo, scosso da continui brividi e tremori che non riusciva a controllare.
Soltanto allora, dopo diversi minuti di profonda agonia, finalmente Jane parve essere riuscita a stabilire un contatto duraturo con il subconscio di Jeff. Un ambiente nuovo si palesò attorno a lei, costruendosi pezzo per pezzo come si trattasse di un puzzle; e pian piano, rumori, odori e sensazioni si aggiungevano rendendo il sogno sempre più reale.
La ragazza sbattè le palepre e compì un paio di giri su se stessa, ancora scossa dalla pessima esperienza appena vissuta. Riconobbe quasi subito il luogo dove adessi si trovava; lo conosceva, vi era stata un paio di volte. Davanti a lei, una lunga fila di celle dalle sbarre arrugginite, sovrastate da una serie di finestroni dai vetri opachi che permettevano l'ingresso di un po' di luce esterna. L'aria era satura di umidità e sudore, urla e risate rompevano quello che sarebbe altrimenti stato un silenzio tombale.
Jane non aveva dubbi: si trovava all'interno del carcere ove Jeff era stato tenuto prigioniero per anni.
Emise un sospiro tremante, non appena realizzò di trovarsi proprio dinnanzi alla sua cella, e vide che lui era lì.
Immobile.
Seduto su quel materasso logoro, con la schiena poggiata contro al muro e lo sguardo perso nel vuoto.
Seppur si trattasse di una sorta di sogno, quell'angusto spazio privo di elementi d'arredo era esattamente come Jane lo ricordava; le medesime macchie sul pavimento, le medesime scritte sul muro che i carcerati avevano inciso nel corso degli anni.
Ma certo, Jeff aveva vissuto all'interno di quella gabbia molto a lungo; doveva conoscerne a memoria ogni millimetro. E questo dettaglio, per quanto insignificante, non poté che far nascere in Jane una inconsolabole tristezza.
La ragazza fece qualche timido passo avanti, tenendo gli occhi fissi sulla figura del ragazzo che se ne stava immobile, con la schiena ricurva, dall'altro lato di quelle sbarre.
-Jeff..?- mormorò, con la voce spezzata da un'ondata d'ansia che sembrava volerle spaccare il petto.
Il killer sollevò la testa con una lentezza innaturale, incurante delle ciocche di capelli che oscuravano in parte la sua visuale; osservò Jane restando in silenzio, con le braccia avvolte attorno al torso, nella stessa posizione in cui per anni era stato costretto a tenerle a causa della camicia di forza.
Il suo sguardo era assente, come se non fosse affatto sorpreso di vederla, e fosse del tutto disinteressato alla sua presenza.
-Jeff- ripeté la ragazza, con più decisione. -Adesso ti porto via da qui... Capito? Ti porto via con me-.

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