ρꪖ᥅ꪻꫀ 24 - Quietarsi

Jane risucì a malapena a percorrere il vialetto della sua abitazione, tanto era fisicamente e mentalmente distrutta. Salutò Natalie con un cenno della mano; aveva avuto la cortesia di riaccompagnarla a casa con la sua auto, e adesso attendeva di vederla entrare prima di ripartire.
La mora girò stancamente la chiave nella serratura ed aprì la porta, venendo subito aggredita dalla incontenibile gioia del suo cane; quest'ultimo iniziò a leccarle le mani ed annusarle i pantaloni, cercando di identificare tutti gli odori sconosciuti dei quali adesso erano intrisi.
-Stai buono, Dado, sono stanca- borbottò lei, lasciando alla bestia una dolcissima carezza sulla testa. Chiuse la porta dietro alle sue spalle e si sforzò di allargare un sorriso, quando il cane sollevò le zampe anteriori per poggiarle sulla sua pancia; sembrava davvero felice di rivederla. Forse, dopo aver trascorso tutte quelle ore in solitudine, aveva creduto di essere stato abbandonato una seconda volta.
-Hai fame? Dai, vieni-.
Si incamminò verso la cucina e riempì la ciotola di crocchette, per poi sostituire la poca acqua rimasta a disposizione dell'animale con quella fresca, appena uscita dal rubinetto. Accarezzò ancora il suo amico a quattro zampe sulla testa, e valutò di fare una doccia, ma era davvero troppo stanca. Si diede una rapidissima ripulita e si fiondò nel letto, dove sperava che la sua mente avrebbe avuto un po' di pace.
Ciò che aveva vissuto in quella giornata l'aveva distrutta sotto ogni punto di vista, ed ora si trovava ad avere più domande che risposte. Non era più certa di star facendo la cosa giusta, e l'istinto le suggeriva che forse stava dando troppa fiducia ad Arden e Natalie; dopotutto, non sapeva niente di loro. 
Prima di stendersi, con la schiena poggiata contro al muro, aprì il cassetto del suo comodino ed estrasse un pacchetto di sigarette; non fumava spesso, ma in momenti come questi sentiva la necessità di lasciarsi cullare dalla sensazione di rilassamento che la nicotina riusciva a donarle. Ne afferrò delicatamente una con le labbra ed aspirò, mentre avvicinava la fiamma dell'accendino al lato opposto della sigaretta.
Chiuse gli occhi mentre buttava fuori l'aria, e lasciò che i suoi muscoli si distendessero uno ad uno; ma stanca com'era, non riuscì neanche a finire di fumare. Spense la sigaretta dopo averne consumata soltanto metà, poi sfilò via la parrucca ed affondò la testa nel cuscino, socchiudendo lentamente gli occhi; non risuciva a smettere di pensare alle cose che Jeff le aveva detto. Era chiaro più che mai che il suo unico desiderio fosse quello di spegnersi, di morire e cessare ogni tipo di sofferenza; ma sarebbe stata disposta a rispettare quella sua scelta?
Si chiese questo, mentre si abbandonava a quella stanchezza che rapidamente la trascinava nel sonno. Neanche si accorse che Dado l'aveva raggiunta, e saltando sul letto si era sistemato accanto a lei, con la schiena poggiata contro al suo fianco; la sua mente era in subbuglio, ed era troppo esausta per riuscire a pensare.
Pochi minuti dopo, con le labbra socchiuse ed un braccio disteso sopra alle lenzuola, si addormentò.

.....

Il profondo sonno di Jane fu interrotto bruscamente dallo squillo insistente del suo cellulare, che fece rizzare le orecchie del cane.
Mugolando si girò tra le lenzuola ed allungò una mano, recuperando l'oggetto dal comodino; con gli occhi ancora socchiusi tentò di mettere a fuoco lo schermo illuminato, ed a malapena riuscì a distingurere i caratteri che vi erano impressi.
Il suo cuore mancò un colpo: era il suo capo.
Recuperando lucidità lanciò uno sguardo all'ora, realizzando che erano già le sette e ventotto. Aveva saltato il suo turno mattutino alla panetteria.
-Merda..- borbottò, rizzando la schiena. -Merda, merda, merda!-.
Facendo un profondo sospiro rispose a quella chiamata, ed avvicinò il telefono all'orecchio. -Pronto..-.
-Jane, ma che succede? Sono ore che ti chiamo- esclamò la voce dall'altro capo del telefono.
-Mi dispiace, mi dispiace tantissimo- mugolò lei, ricambiando lo sguardo incuriosito di Dado che la osservava con il muso ancora affondato tra le lenzuola. -Non ho sentito il suono della sveglia, ero molto stanca e...-.
-Ho dovuto fare tutto da solo- ribattè l'uomo, alzando bruscamente il tono della voce. -Ero sicuro che fossi una persona seria, Jane-.
La ragazza scosse la testa e prese fiato. -Lo sono! Ti prego perdonami, ho avuto una bruttissima giornata ieri... Prometto che non accadrà più-.
Dall'altro capo della linea si udì un lungo silenzio, seguito da un profondo sospiro. -Mi raccomando, non è uno scherzo. Assentati un'altra volta senza un valido motivo e sei fuori, capito?-.
-Certamente- balbettò lei, con gli occhi illuminati di speranza. Non era stata licenziata, anche se c'era andata davvero molto vicina; non doveva mai più permettere che accadesse una cosa simile. Non poteva perdere il lavoro.
Il capo chiuse la chiamata bruscamente senza neanche salutare, e Jane si ritrovò a fissare lo schermo del cellulare con aria perplessa. Era palese ormai che quella situazione le stava distruggendo la vita una seconda volta; tutto ciò che aveva costruito in quegli ultimi mesi per riuscire ad avere un'esistenza normale, stava crollando come un castello di carte spinto da un soffio di vento.
Ripose l'apparecchio elettronico sul comodino e tornò a stendersi sopra alle lenzuola stropicciate, con gli occhi puntati sul soffitto bianco sopra di se. Allungando una mano, poi, fece qualche carezza sulla schiena del cane che in risposta leccò goioso la sua mano.
Passarono giusto una decina di minuti, prima che il cellulare emise il tintinnìo di una notifica; sbuffando lo recuperò una seconda volta, e con grande stupore si accorse di aver ricevuto un messaggio da parte di un numero sconosciuto. Con la fronte aggrottata iniziò a leggere, realizzando pochi attimi dopo chi fosse il destinatario.
"Scusa se ti disturbo, Topolino, ma abbiamo un problema. Potresti venire appena leggi questo messaggio?".
Jane fece scorrere lo sguardo sulla immagine di profilo mostrata in quella chat, ingrandendola per vederla meglio; era un selfie nel quale Natalie aveva immortalato il suo volto sorridente. I suoi capelli ricci erano molto spettinati in quella foto, vestiva una camicetta bianca e sullo sfondo, non molto lontano, era visibile uno scenario che Jane riconobbe istantaneamente: un curato giardino, una fontana zampillante, e la facciata di una villetta.
-Ma che cosa...- borbottò la ragazza, spalancando gli occhi. Quella era la sua casa!
Scosse la testa e fissò quella foto a lungo, incredula di ciò che stava vedendo. Perché mai quella pazza si era fatta un selfie fuori da casa sua? E quando, poi?
-...Assurdo- grugnì, scuotendo la testa. Forse aveva scattato quella foto il giorno in cui si era presentata a lei per la prima volta.
Senza pensarci troppo, digitò nella chat un breve e coinciso "arrivo" per poi alzarsi dal letto e vestirsi di fretta.

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