ρꪖ᥅ꪻꫀ 18 - Incontrare
L'esagerato entusiasmo di Natalie finì, ancora una volta, per trascinare Jane lungo i corridoi di quella sorta di centro di ricerca medica. Osservò con titubanza la serie di porte chiuse davanti alle quali stava passando, quasi costretta a camminare dalla mano di Natalie che ancora bloccava energicamente il suo polso.
Sul fondo di un corridoio, poi, la mora notificò la presenza di una porta aperta a metà, all'interno della quale si intravedevano quelli che parevano essere mobili da cucina.
-Ben! Ho una cosa per te!- iniziò a sbraitare Natalie, con la sua solita voce squillante che rimbalzò sui muri spogli ed immacolati del corridoio.
Con la mano libera assestò uno spintone alla porta che si spalancò, e solo allora Jane poté realizzare trovarsi davvero in una piccola cucina. Forse, si trattava della stanza dedicata alla pausa pranzo, o a quella del caffè.
-Non rompere i coglioni, psicopatica- borbottò scortesemente una voce maschile.
La porta del frigorifero fu chiusa in malo modo, e fu allora che un ragazzino alto poco più di un metro e mezzo si palesò alle altre due: aveva una folta chioma di capelli di un biondo così acceso da sembrare innaturale, un paio di occhi scuri ed una lattina di coca cola stretta nella mano destra. L'espressione sul suo viso privo di qualsivoglia accenno di barba, era spavalda; il suo sguardo lasciava trapelare una marcata sicurezza di sé.
-E lei sarebbe?- esclamò, aprendo la lattina con l'indice ed indicando Jane con un cenno del volto.
-Jane, ti presento Ben- esordì Natalie, lasciando finalmente la sua presa sul polso della mora per indicare con la stessa mano il ragazzo. -Ben... Lei è Jane- continuò a dire, sorridendo. -Ho pensato che sareste potuti andare d'accordo-.
Il ragazzino dai capelli biondi squadrò la sconosciuta dalla testa ai piedi senza dire una parola, sorseggiando con disinvoltura la sua bibita gassata. Poi, stringendo le labbra, fece una smorfia e disse: -Quella dell'esperimento? Quella Jane?-.
-Jane Arkensaw, piacere- intervenne con decisione la diretta interessata, che seppur controvoglia allungò una mano verso di lui, come la buona educazione le aveva insegnato.
Tuttavia Ben, anziché stringerla, sciovolò via di lato e si allontanò di qualche passo. -Non c'è ragione per cui io debba far amicizia con lei, Natalie- borbottò, spostando lo sguardo sul vetro della finestra. -L'avete fatta venire qui per un'altra cavia, non per me-.
La mora non comprese subito il senso di quell'affermazione; per qualche motivo era sicura che quel ragazzino fosse a sua volta un collaboratore del centro di ricerca. Ma soltanto adesso, guardando il suo volto con più attenzione, riconobbe dei segni specifici che le fu molto facile interpretare: presentava abrasioni piuttosto evidenti che interessavano la zona interna del setto nasale, le quali risultavano tuttavia ben visibili; era magro, quasi denutrito, e la sua pelle era caratterizzata da un colore pallido.
Ben era quasi certamente un tossicodipendente.
-Lui è un altro nostro... Paziente, diciamo- spiegò Natalie, che doveva aver notato la titubanza di Jane. -Stiamo sperimentando anche con lui dei rimedi farmacologici molto efficaci, ma che al momento sono appunto solo in fase sperimentale-.
La mora annuì, senza aggiungere altro. Si sentiva piuttosto scossa in quel momento, soprattutto perché avrebbe giurato che quel ragazzo non superasse i quattordici anni di età.
-Arden è un pazzo visionario e lei è soltanto una viziata rompipalle- esordì Ben, indicando Natalie con una mano. -Ma mi pagano per stare qui, perciò me ne sbatto-.
Il ragazzo poggiò la schiena contro al banco della cucina, e bevve l'ultimo sorso rimasto all'interno della sua lattina per poi gettarla nel cestino già pieno di bicchieri di plastica usati.
Nella stanza calò il silenzio per una lunga manciata di secondi, finché Natalie non ruppe quell'imbarazzante quiete. -Beh, voi fate amicizia, io torno dal dottor Arden. Jane, tra una decina di minuti raggiungimi, che dobbiamo riprendere il nostro esperimento-.
Detto questo, la castana lanciò un ampio sorriso agli altri due per poi abbandonare la zona relax richiedendo la porta dietro alle sue spalle; ed un attimo dopo, Jane e Ben si trovarono da soli. Il biondino volse lo sguardo a terra, infilando entrambe le mani nelle tasche dei jeans larghissimi che stava indossando; così larghi che il cavallo arrivava quasi alle sue ginocchia.
-Quindi tu sei la figlia degli Arkensaw, dopo tutti questi anni ancora si parla di voi- borbottò. -La famiglia assassinata-.
La ragazza deglutì a vuoto, scoprendosi debole nell'affrontare quello specifico argomento, nonostante avesse lavorato molto sull'elaborazione del suo passato. In special modo, negli ultimi mesi.
-Sono io- si limitò a dire.
-Lo trovo davvero stupido da parte tua- continuò ad inveire Ben, con totale mancanza di tatto.
Lei scosse la testa. -Che cosa trovi stupido?-.
-Stai cercando di salvare l'assassino dei tuoi genitori- rispose. Poi sollevò lo sguardo su di lei, con la fronte aggrottata. -Non aveva pure tentato di darti fuoco?-.
Il cuore di Jane iniziò a scalpitare nel suo petto. Batteva di rabbia e di dolore, pompava sangue ed adrenalina. -Non è così semplice- disse, con la voce che tremava.
-Lo immagino- ribattè lui, incrociando le braccia sul petto. -Quando è successso io avevo tipo cinque anni, i miei mi hanno rotto le palle per anni dicendomi di non fidarmi degli sconosciuti-.
Lo sguardo di Jane si spostò sulla porta chiusa, ed iniziò a desiderare ardentemente di abbandonare la stanza. Quel ragazzino era maledettamente maleducato ed irrispettoso, la stava davvero irritando e non era sicura di riuscire a mantenere il controllo ancora per molto.
-Accettare quanto mi è accaduto è stato l'unico modo per riuscire a conviverci- disse, sospirando nervosamente. -E questo non significa che io non provi alcun rancore nei confronti di Jeff-.
Ben fece una smorfia e sollevò le spalle. -Immagino che ti stiano pagando meglio di me, allora- esordì. -In pratica ti stanno costringendo a salvare la vita della persona che probabilmente odi di più al mondo-.
In quel momento, Jane strinse i pugni e dovette metterci tutta la sua forza di volontà per non esplodere.
-Invece non mi pagano affatto, aiutare Jeff è stata una mia scelta- rispose, con il tono di voce più calmo che riuscì a simulare.
Ben restò immobile a guardarla con le sopracciglia sollevate, incredulo di quanto aveva appena sentito.
-Adesso ti saluto- concluse lei, voltandogli le spalle.
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