ρꪖ᥅ꪻꫀ 16 - Comprendere
La ragazza si voltò di scatto, ed il battito del suo cuore accellerò spontaneamente per la paura.
Dietro di lei riconobbe il volto della stessa donna che aveva incontrato poco prima nella cucina, con i suoi occhi spenti e quelle profonde rughe a scavarle la pelle.
-Sai quello che devi fare Jeff, non vorrai deludermi ancora?- esordì severa.
Udendo quelle parole, Jane aggrottò la fronte e si guardò velocemente intorno, per poi realizzare poco dopo che stava parlando proprio con lei, seppur non l'avesse chiamata col suo nome.
-Muoviti- insistette la donna, diventando improvvisamente più cupa e minacciosa. -Sei tu l'uomo di casa, ora-.
Doveva trattarsi di una specie di ricordo, si disse la ragazza; un ricordo di Jeff che lei stava in quale modo rivivendo in prima persona. Che quella strana donna fosse sua madre?
Abbassando gli occhi sulla tazzina che ancora stava reggendo con le mani, Jane ricordò la richiesta che le era stata fatta poco prima: vai in camera, e poggiala sul comodino.
Era praticamente certa che quella semplice azione avrebbe avuto ripercussioni poco gradevoli, ma si costrinse a ricordare ancora una volta di trovarsi in un sogno; così, con andatura lenta e traballante, si avvicinò al letto ove quella figura dormiente si nascondeva sotto alle coperte, e ripose la tazzina fumante laddove le era stato ordinato. Voltandosi indietro per verificare se la donna fosse fiera del suo operato, con grande stupore si rese conto che lei era già sparita.
Restò immobile per diversi secondi a fissare la porta, interdetta; ma presto, una voce che mai aveva udito prima raggiunse i suoi timpani con una forza quasi assordante.
-So cosa mi sta facendo, sei orribile-.
La ragazza si voltò di scatto, comprendendo che a parlare fosse stato chiunque si celasse sotto a quella coperta sgualcita. In quel momento fu pervasa da una sensazione di terrore assoluto che non riuscì a giustificare, ma che si infranse contro al suo petto con la forza di un uragano.
Iniziò a tremare, rivolgendo lo sguardo alla sagoma immobile che adesso pareva essere più grande, più imponente rispetto all'ultima volta.
Tentò di calmarsi, ma il suo cuore batteva all'impazzata dentro al petto e le ginocchia non smettevano più di tremare vistosamente.
Non aveva mai provato una paura tanto grande, eppure non sapeva neppure giustificare razionalmente quell'emozione così intensa e disarmante. Perché stava provando questo, continuava a chiedersi?
Socchiuse le labbra; stava per dire qualcosa, ma non ne ebbe il tempo. Nel giro di pochi secondi le pareti di quella stanza iniziarono a stringersi, a deformarsi, fin quasi a schiacciarla.
Tentò di fuggire ma si rese ben presto conto di non riuscire a staccare le suole da terra; il suo fiato si fece pesante, la sua testa svuotata da ogni pensiero. Riuscì solo a guardare quell'ammuffita carta da parati avvicinarsi al suo volto, i profili dei pochi mobili presenti distorcersi ed iniziare a muoversi generando un tale caos che, ad un certo punto, Jane non avrebbe più saputo distinguere il pavimento dal soffito.
E proprio allora, in quel tornado di follia, una figura molto familiare apparse davanti a lei, a pochi passi di distanza.
Non risuciva a crederci, era Jeff.
La mora sentì il suo cuore esplodere di gioia, e d'un tratto nulla di ciò che stava accadendo in quella stanza faceva più paura; l'aveva trovato, aveva trovato Jeff.
Ma lui, pareva tutt'altro che felice di vederla.
Indossava la sua felpa bianca, teneva entrambe le mani affondate nelle tasche e la testa bassa, con la sua folta chioma di capelli neri a coprirgli il volto. Ancor prima che Jane potesse anche solo pensare di dire o fare qualcosa, il killer scattò verso di lei come una furia e la spinse contro ad una parete, mentre tutt'intorno di colpo ogni cosa tornava al suo posto.
-Esci dalla mia cazzo di testa!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola, e in un attimo tutto si fece buio.
........
Jane spalancò gli occhi in preda ad un attacco di panico, annaspando con la bocca spalancata alla disperata ricerca di ossigeno.
Era letteralmente terrorizzata, tanto che in preda al panico si alzò in piedi di scatto strappando via buona parte degli elettrodi dalla sua fronte; impiegò una buona manciata di secondi, prima di realizzare di essersi risvegliata e di trovarsi nel mondo reale.
-Jane, che succede?-.
Era la voce di Natalie. La castana si trovava adesso davanti a lei, le aveva poggiato entrambe le mani sulle spalle e la guardava con aria preoccupata. -Stai bene?-.
La mora annuì debolmente continuando a guardarsi intorno, voleva essere sicura di trovarsi davvero nella realtà; si scambiò un rapido sguardo con il dottor Arden, che in piedi alla sua destra la osservava senza dire una parola, ma mostrando un'espressione di disappunto.
Curvò la schiena e puntò i palmi sulle ginocchia, mentre il battito del suo cuore tornava lentamente a normalizzarsi.
Stava tremando come una foglia.
-Che cosa è successo?- le domandò il dottore, avvicinandosi con l'agenda di cuoio stretta tra le mani.
-Io...- ballbettò la ragazza, ancora confusa e disorientata. -Io...-.
-Beh?- le fece pressione l'uomo, continuando a guardarla accigliato.
-Mi ha buttata fuori- rispose lei, tutto d'un fiato. -L'avevo trovato ma è riuscito in qualche modo a...-.
-Okay, torna a sederti- le ordinò Arden, piuttosto bruscamente. -Cerca di calmarti e spiegami meglio che cos'hai visto-.
Nonostante ardesse in lei il desiderio di scappare via da quel posto e tornare a casa, spinta da un forte senso del dovere Jane fece ciò che le era stato chiesto. Si lasciò cadere a peso morto sulla poltrona e sospirò pesantemente, volgendo lo sguardo alla finestra. -Ho incontrato due persone, ma una di queste non ho potuto vederla- spiegò, senza muovere un muscolo. -Credo fossero i suoi genitori, e credo anche che sua madre... Lo abbia costretto ad avvelenare ripetutamente il padre, forse quando era un bambino o un ragazzino...-.
Natalie ascoltava le sue parole con molto interesse, mentre il dottore pareva piuttosto scocciato per un motivo che dapprima Jane non comprese. L'uomo scosse la testa con disapprovazione ed appuntò qualcosa sulla sua agenda.
-Tutto questo è irrilevante, okay?- le disse freddamente. -Devi dirmi in quali circostanze hai trovato Jeff, e cosa è successo dopo-.
La mora girò la testa in direzione del letto, dove il killer riposava nella medesima posizione in cui l'aveva lasciato. Osservò il suo volto aggredito dalle sonde e dal respiratore, e ripercorse con la mente gli attimi che aveva vissuto appena prima di risvegliarsi.
-Non sono stata io a trovarlo- rispose, con un filo di voce. -Mi ha trovata lui-.
Il medico aggrottò la fronte, piuttosto sorpreso da quella risposta. -E..?- continuò ad insistere.
-A quel punto è diventato tutto molto confuso, non so di preciso cosa sia successo- ammise la ragazza. -Ma mi ha gridato di andarmene, e mi sono risvegliata immediatamente dopo-.
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