ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 7 - Insensibile
Uno dei criminali recluso nelle altre celle afferrò le sbarre e vi posizionò il viso al centro, cercando di guadagnare una migliore visuale sulla situazione. Entrambe le sue braccia, piuttosto muscolose, erano interamente tatuate di nero e una folta capigliatura rossastra pendeva sulle sue spalle. -Questa è bella, è tornata per davvero!- commentò, con uno strano entusiasmo.
-Silenzio!- gridò immediatamente la guardia, lanciando un'occhiataccia all'uomo.
E subito dopo, da un'altra cella poco lontana, giunse un secondo commento non richiesto. -Capisco che tu sia annoiato Jason, ma mi risparmierei volentieri questa sceneggiata-. A parlare questa volta era stato Doctor Smiley, il soggetto che era inizialmente stato assegnato all'interrogatorio di Jane.
-Chiudete quelle cazzo di bocche, ho detto!- sbraitò ancora l'uomo in divisa, con fare minaccioso. Stava già iniziando a perdere la pazienza.
L'uomo dai capelli rossi fece una smorfia di disapprovazione, continuando ad osservare la scena attraverso le sbarre della sua cella come si trattasse di uno spettacolo teatrale a cui aveva l'immenso onore di assistere. Sembrava sinceramente divertito da quella situazione.
Ma ignorando ciò che le accadeva intorno Jane continuava a tenere gli occhi fissi sulla figura immobile di Jeff, mentre una rabbia logorante iniziava a far tremare il suo corpo. Per lei non esisteva nessun'altro un quella stanza, adesso.
-Alzati in piedi!- ordinò ancora, questa volta gridando a pieni polmoni.
Nel notificare che il killer continuava a rifiutarsi di muovere un solo muscolo sferrò poi un calcio contro alla cella d'acciaio, generando un frastuono che echeggiò fastidiosamente nell'ambiente circostante. Solo e soltanto allora Jeff sollevò la testa e ricambiò il suo sguardo, mettendo in luce un volto totalmente inespressivo. Non sembrava spaventato né irritato da quell'atteggiamento, soltanto assente.
-Hai sentito la signorina?- intervenne ancora una volta la guardia, infilando il suo manganello tra le sbarre e picchiettandolo più volte sulla schiena del killer per invitarlo ad obbedire. -Alza il culo, datti una mossa-.
Il ragazzo finalmente si issò sulle gambe con una certa fatica, non potendo contare sull'aiuto delle braccia imprigionate dalla camicia di forza, ma continuò a prolungare il suo silenzio. Pareva quasi volerla mettere alla prova.
Jane lo guardò con immenso disprezzo, realizzando finalmente di avere il totale controllo della situazione: per quanto quel soggetto fosse pazzo e pericoloso era del tutto impotente in quel momento, poiché lei si trovava fuori dalla gabbia e per giunta protetta da un uomo armato. Non aveva più alcun motivo di temerlo.
-Hai detto che ti ricordi di me- iniziò a dire, con la voce che tremava in modo appena percettibile. -Quindi magari ti ricordi anche per quale motivo hai ammazzato i miei genitori, quella sera-.
Il killer non rispose nulla, ma distolse il contatto visivo.
-Erano brave persone, tutti e due- continuò a dire la mora, stringendo le mandibole fino a percepire dolore. -Che cosa possono averti fatto di male?-.
-Mai come adesso ho desiderato un sacchetto di pop corn- commentò d'un tratto la voce fadidiosa di Jason The Toymaker, che iniziò a ridacchiare sotto ai baffi.
Quell'ennesima interruzione fece perdere del tutto la pazienza della guardia, che si allontanò dalla cella di Jeff e lo raggiunse sbraitando. -Ti ho già detto di stare zitto, maledetto cane bastardo!-.
Aprí la porta della cella solo per colpirlo più volte con il manganello ma Jane, che in qualsiasi altra occasione sarebbe rimasta turbata da quella visione, ignorò del tutto la situazione tanto che neanche si voltò a guardare; il suo solo e uno obbiettivo a quel punto era sfogare tutta la rabbia che covava nei confronti di Jeff the Killer, dirgli quando lo odiava per ciò che le aveva fatto, per ciò che aveva fatto alla sua famiglia.
-E così non vuoi parlare?- continuò a dirgli, afferrando le sbarre della cella e iniziando a strattonarle con forza. -Non c'è proprio niente che vorresti dirmi?!-. Il suo volto era già paonazzo.
Il ragazzo alzò lo sguardo puntandole addosso un paio di occhi di ghiaccio che non riflettevano neanche l'ombra di un'emozione; poi, tutto ad un tratto, il suo comportamento neutro e disinteressato cambiò in modo improvviso: le sue labbra sottili si piegarono in un sorriso insano, una luce diversa brillava nel suo sguardo ed anche la postura del suo corpo era cambiata, divenendo più eretta e spavalda.
Guardandola dritta negli occhi, con una freddezza disumana, le rispose: -Avrei dovuto uccidere anche te-.
Colta alla sprovvista Jane compì istintivamente un passo indietro, ma ecco che fu travolta da una scarica di idrenalina che sentì risalire la sua spina dorsale. Provò una rabbia così profonda che a quel punto non le importava più di niente, voleva soltanto che quel mostro pagasse per ciò che aveva fatto.
-Apri... Apri questa cazzo di gabbia- balbettò, rivolgendosi all'agente di guardia senza voltarsi in sua direzione.
Ma l'uomo, tornando ad avvicinarsi a lei, scosse energicamente la testa. -Mi dispiace ma non posso farlo- le rispose. -Devo garantire la sicurezza degli studenti-.
-Ha la camicia di forza e le manette ai piedi- ribatté lei, alzando senza rendersene conto il tono della sua voce. -Non può farmi niente. Ti prego, apri la gabbia-.
-Puoi picchiarlo quanto vuoi, non è illegale- ribatté ancora l'uomo, con una risatina nervosa -Ma io non sono autorizzato a lasciarti entrare lì dentro-. Si guardò poi intorno più volte, come volesse assicurarsi che all'interno della sala fossero davvero pesenti soltanto loto due oltre ai detenuti. Poi, dopo un breve silenzio, aggiunse: -Beh, se la cosa rimane tra noi potrei chiudere un occhio-.
Il rumore metallico generato dall'apertura del chiavaccio risuonò come una melodia nella mente di Jane, che travolta da un'ira incontrollata non riusciva più neanche a stare ferma; continuò a dondolarsi sulle sue stesse gambe finché la porta della gabbia non fu spalancata e non si ritrovò, finalmente, faccia a faccia con il killer.
Aveva desiderato a lungo quel momento.
-Maledetto pezzo di merda!- gridò, fiondandosi contro di lui con una forza fisica che neanche sapeva di avere. Assestò uno spintone sulle sue spalle facendolo sbattere con la schiena contro al lato opposto della cella di metallo, per poi sferrare un violento ceffone sulla sua guancia. -Mi hai rovinato la vita!-.
Il detenuto tentò di schivare i pugni che arrivarono subito dopo sfruttando i pochi centimetri di spazio che aveva a disposizione, mentre tentava di restare in piedi nonostante l'impedimento delle catene che improgionavano le sue caviglie. Ma nel mentre continuava a ridacchiare, come se il dolore generato dai colpi ricevuti fosse benzina per il fuoco della sua follia.
-Brava, sfogati- le disse, ridendo ancor più forte. -Noi non siamo così diversi-.
Jane gli assestò un secondo spitone che stavolta lo fece cadere a terra, con la schiena poggiata contro a un angolo della cella. In quella posizione, non potendo contare sull'ausilio delle braccia, per lui era diventato impossibile sfuggire alla furiosa aggressione.
-Io non ho niente in comune con te!- gridò lei, iniziando a prenderlo a calci con la punta delle scarpe. -Niente, mi hai capito?!-.
Sferrò un ultimo calcio che lo colpí sulla clavicola sinistra, per poi fermarsi con il fiato corto ed il corpo scosso da continui violenti tremori. Avrebbe voluto continuare a picchiarlo fino a farlo sanguinare, ma l'adrenalina stava rapidamente abbandonando il suo corpo.
-Non ho mai visto Jeff prenderne così tante nemmeno dalle guardie- commentò ancora Jason, che non si era perso neanche un secondo di quello spettacolo.
La mora iniziò ad annaspare, osservando il ragazzo davanti a lei che era rimasto rannicchiato a terra e neanche più provava ad alzarsi. Sembrava essersi rassegnato.
Fece un passo indietro, uscendo dalla piccola gabbia e richiudendo la porta con uno spintone. -L'unica consolazione che ho è vederti dove devi stare- esclamò. -Ovvero a marcire in prigione per il resto della tua inutile vita-.
Senza più dire una sola parola voltò le spalle e si diresse a passo svelto verso la porta d'uscita, non riuscendo più a trattenere i singhiozzi che salivano dalla sua gola. Ora che la rabbia era svanita restava solo un enorme vuoto dentro di lei, un vuoto che niente al mondo avrebbe mai potuto colmare.
Appena prima di abbandonare il salone si voltò indietro un'ultima volta, e vide la guardia salutarla con un cenno del capo che sembrava volesse ricordarle di mantenere segreto ciò che era appena accaduto; ancora all'interno della sua cella Jeff, al contrario, era chino a terra e sembrava essersi nuovamente immobilizzato.
Ciò che lei non poté notare da quella distanza fu una lacrima solitaria, che adesso solcava il suo volto sfregiato.
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