ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 6 - Cattivo
Jane non sapeva ancora che cosa avesse davvero intenzione di fare, ma dentro di lei una rabbia profonda la stava consumando. Aveva bisogno di confrontarsi ancora con lui, di capire perché quel maledetto giorno lui avesse deciso di recarsi a casa tua e strapparle via tutto ciò che aveva di più caro, ammesso che esistesse una vera e propria motivazione; ma soprattutto, voleva sputargli in faccia tutto l'odio e il dolore che con le sue azioni le aveva causato.
Non che si aspettasse di risolvere qualcosa, ma ora che il mostro celato nei suoi ricordi aveva assunto un volto e un nome non avrebbe mai potuto continuare ad andare avanti ignorando la sua esistenza come niente fosse.
Affrontò una breve discussione con il professione di criminologia della sua università, che accettò di richiedere alle guardie carcerarie incaricate di gestire e sorvegliare l'evento di concederle un breve incontro con il criminale al termine delle lezioni; forse grazie al fatto che la storia di quella ragazza era ben nota al docente, il quale doveva averci messo una buona parola, questi accettarono. Dissero però che avrebbe dovuto ritornare nel tardo pomeriggio, quando l'università sarebbe stata pressoché vuota, concedendole un contatto sorvegliato con Jeff the Killer prima che questo sarebbe stato riportato in carcere assieme agli altri condannati.
Così Jane ritornò a casa a piedi, rimuginando tutta la questione lungo il percorso e quasi ignorando del tutto la pioggia leggera che inzuppò completamente i suoi vestiti lungo il tragitto.
Nel momento in cui aveva avanzato quella richiesta non si aspettava che avrebbe davvero ottenuto il permesso ed ora, nonostante ne fosse felice, si sentiva fortemente in ansia per questo.
Con il freddo nelle ossa raggiunse il quartiere centrale in cui era localizzato il suo appartamento, alle 14:00 in punto. Ormai da diversi anni si era trasferita in un minuscolo monolocale al pian terreno di una piccola palazzina, ricavato dalla ristrutturazione di una cantina; era uno spazio piuttosto angusto e poco luminoso poiché le finestre erano poste in alto e non vi erano altri sbocchi sull'esterno oltre alla porta d'ingresso, tuttavia il canone d'affitto era tra i più bassi della zona e questo le permetteva di mantenersi anche con un budget mensile molto limitato.
Dopo la morte dei suoi genitori aveva ereditato tutti i loro averi inclusa la villetta indipendente in cui era cresciuta, ma dove aveva rifiutato di vivere fin dal primo giorno: ricordi troppo traumatici erano legati a quelle mura. Così, nonostante avesse a disposizione una buona somma di denaro che custodiva gelosamente nel suo conto in banca, la ragazza aveva fatto in modo di poter iniziare una nuova vita altrove evitando di attingere da quei risparmi quanto più possibile.
Girò la chiave nella toppa e spinse la porta con una spallata, catapultandosi all'interno dell'appartamento come se fosse stata inseguita da un leone; poi la richiuse prontamente dietro alle sue spalle, poggiandoci sopra la schiena e lasciandosi scivolare lentamente fino a sedersi a terra con la testa tra le mani.
Si sentiva impotente.
In cuor suo sapeva che l'incontro con il killer di quel pomeriggio non solo non avrebbe risolto nessuno dei suoi problemi, ma avrebbe fatto riaffiorare in lei ricordi e sensazioni che per anni aveva lasciato assopire nella sua mente. Non era più sicura che fosse stata una buona idea.
Cercando di allontanare l'angoscia si preparò rapidamente un toast e un caffè caldo, poi si posizionò sul divano davanti alla tv scegliendo un canale qualunque. I suoi occhi scuri catturavano le immagini riprodotte dallo schermo illuminato senza assegnarvi un vero e proprio significato, si limitava ad osservarle in silenzio ma la sua mente era già altrove.
Restò rinchiusa nel suo monolocale per tutto il resto del tempo, finché alle cinque del pomeriggio non fu giuto il momento di prepararsi per uscire. Eseguí nuovamente il solito rituale che era per lei diventato un automatismo: lavò accuratamente il viso e distese sulla pelle uno spesso strato di fondo tinta utile a nascondere i segni delle bruciature che riportava sul collo e sul viso, poi spazzolò con attenzione la sua folta parrucca nera e la posizionò sul capo, avendo cura di far aderire bene l'elastico alla pelle. Avrebbe potuto tranquillamente risparmiarsi quella fatica poiché per sua fortuna le ustioni non avevano deformato i suoi tratti facciali ed ora, a distanza di anni dell'aggressione, non erano più così tanto visibili; ma non avrebbe mai osato varcare la porta senza assicurarsi che nessuno dei quei segni potesse essere visto.
Detestava venir identificata dagli altri come "la sopravvissuta al massacro degli Arkensaw", seppur la maggior parte delle persone che le capitava di incontrare conoscessero la sua storia, grazie al grande impatto mediatico che aveva avuto all'epoca dei fatti.
Infilò le braccia nel suo pesante cappotto nero e si incamminò nuovamente in direzione dell'università, consolata dal fatto che nel frattempo avesse smesso di piovere; l'aria si stava però facendo molto più fredda, perché il sole stava già calando dietro ai palazzi tingendo il cielo di una marcata tonalità di arancione.
Man mano che si avvicinava alla meta sentiva il cuore nel suo petto aumentare l'intensità dei battuti finché, trovandosi dinnanzi al portone d'ingresso, non ebbe la sensazione che le mancasse il fiato.
A quell'ora l'università si era quasi del tutto svuotata, poiché tutte le lezioni erano terminate incluse quelle più tardive; sul posto erano rimasti soltanto alcuni docenti, gli addetti alle pulizie e, ovviamente, gli agenti di polizia che sorvegliavano i detenuti ancora in attesa di essere trasferiti.
Fece un respiro profondo, prima di decidersi a entrare.
Il suo professore di criminologia a quell'ora non era di turno, ma le aveva dato disposizioni precise: sarebbe dovuta recarsi direttamente nella sala al pian terreno, ove una delle guardie carcerarie stava già attendendo il suo arrivo. Al resto avrebbe pensato quest'ultimo.
Jane si incamminò così lungo il corridoio con la testa bassa, ascoltando in silenzio il suono dei suoi passi che rimbalzava sulle pareti rompendo un silenzio quasi innaturale che mai le era capitato di udire in quel luogo, abitualmente pieno di persone.
Quando aprì la porta di legno che dava accesso al salone trattenne il fiato come se stesse per tuffarsi in una piscina piena di acqua gelida.: non aveva idea di che cosa sarebbe accaduto da lì a poco, ma era troppo tardi per chiederselo.
All'interno si ritrovò davanti a uno spazio vuoto che adesso sembrava molto più grande di quanto non fosse stato quella stessa mattina: tutte le sedie erano state rimosse e collocate altrove, i lampadari a led appesi al soffitto erano spenti e non sembrava esserci nessuno, se non un singolo uomo in divisa e gli stessi dieci detenuti ancora all'interno delle loro celle disposte sul fondo.
Notificando il suo arrivo l'uomo balzò in piedi dalla sedia sulla quale si era sistemato e le rivolse uno sguardo amichevole, facendole cenno di avvicinarsi senza dirle nulla. E lei così fece.
Le parziali coperture applicate alle gabbie erano state rimosse, così adesso le fu possibile guardare in faccia ogni singolo criminale che si trovava lì; alcuni di essi sembravano quasi inoffensivi, altri la osservavano con delle espressioni maligne che avrebbero fatto accapponare la pelle a chiunque, ma lei andò dritta verso la cella di Jeff the Killer come se non fosse neanche un grado di vederli.
Lo trovò ancora lì, nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato diverse ore prima, come se fosse un automa spento che attendeva di essere riattivato. Seduto a terra il ragazzo teneva il capo chino, mentre le lunghe ciocche dei suoi capelli neri scendevano giù dalla sua fronte e si adagiavano sulle sue spalle ricurve.
Era così immobile che le venne da chiedersi se fosse ancora vivo.
-È tutto tuo, hai dieci minuti- esordí la guardia con un sorrisetto soddisfatto che lasciava intendere che a lui, quella strana situazione, creava una certa soddisfazione.
La mora si fermò proprio davanti alla cella del killer, osservandolo dall'alto in basso per una lunga manciata di secondi senza dire una parola. Dentro di lei si sentiva morire, ma non avrebbe mai voluto renderlo palese in quel momento.
Non intendeva più mostrarsi debole al suo cospetto.
-Alzati in piedi- gli ordinò.
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