ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 5 - Malato
Il tempo si fermò, come se una forza sovrannaturale avesse in quel preciso momento fermato le lancette di ogni orologio presente sulla terra.
Attraverso le sbarre di metallo gli occhi azzurri del killer erano fissi su di lei, ma incapaci di esprimere alcun tipo di emozione; sembravano dei bottoni, vuoti, privi di anima. Non vi era impressa alcun tipo di vergogna, ma neanche soddisfazione: sembrava semplicemente attendere di vedere come lei avrebbe reagito.
Jane a sua volta lo guardava, ma aspettando una risposta. E fino all'ultimo istante nel profondo del suo cuore pregò di essersi sbagliata, di aver frainteso le sue parole.
-Tutto bene?-.
La voce roca del poliziotto interruppe il flusso di pensieri che stava creando un caos infernale nella mente della ragazza, la quale tuttavia non interruppe il contatto visivo con il mostro rinchiuso nella gabbia davanti a lei: aveva bisogno di sapere. Per anni aveva tentato di ricordare chi avesse fatto del male alla sua famiglia, quali fossero i tratti distintivi dell'assassino dei suoi genitori, di colui che da un giorno all'altro aveva trasformato la sua vita in un incubo; ma non vi era mai riuscita. La sua mente aveva rimosso buona parte dei dettagli che avrebbe dovuto immagazzinare rendendo impossibile l'identificazione dell'assalitore, che perciò non fu mai catturato.
O almeno, questo aveva creduto fino ad ora.
Tutto ciò che riusciva a ricordare di quel maledetto giorno erano le grida strazianti dei suoi genitori che venivano sgozzati come maiali nel corridoio di casa, gli schizzi di sangue che ne riempivano completamente le pareti, e le lingue di fuoco che avvolgevano il suo corpo senza lasciarle scampo.
Deglutí a vuoto, la sua gola era completamente prosciugata.
Quale assurdo e spietato segno del destino li aveva fatti incontrare in quelle circostanze, a diversi anni di distanza dell'accaduto?
-Hai assassinato i miei genitori....- mugolò Jane con un filo di voce, iniziando a stringere i pugni sulle sbarre così forte che le punte delle sue dita si fecero biancastre.
Udendo quelle parole Jeff continuò a fissarla intensamente, allargando un piccolo sorriso con le labbra strette tra loro. Sembrò compiaciuto, come se gli fosse appena stato fatto un gradito complimento.
-...Sì- esclamò.
Una profonda disperazione si impadronì del corpo della ragazza fino a farle tremare le ginocchia; in un attimo sentì una voragine aprirsi nel suo stomaco, come si trovasse sulla discesa in picchiata di un roller coaster. Le forze la abbandonarono e iniziò a girarle vertiginosamente la testa, tanto che si accasciò al suolo attirando l'attenzione di tutte le persone presenti nel salone, che accorsero in suo aiuto.
Ma i suoni attorno a lei si fecero ovattati, come se si trovasse immersa in una piscina d'acqua gelida.
Sentì le mani del professore afferrare saldamente le sue spalle e iniziare a squoterla, mentre qualcuno poco lontano suggeriva di chiamare un'ambulanza.
-Arkensaw, mi senti? Riesci a sentire la mia voce?-.
Jane si sforzò di sollevare la schiena puntando entrambi i palmi delle mani sul pavimento freddo, per poi mettersi a sedere con una mano sulla testa. -Sto... Sto bene- balbettò, tentando di capire che cosa fosse appena accaduto. Si sentiva come se fosse appena stata investita da un camion in piena corsa, a malapena riusciva a ricordare dove si trovasse.
-Ok, cerca di fare dei respiri profondi. Senti dolore da qualche parte?-.
Ma senza rispondere alla domanda la ragazza si sforzò di issarsi in piedi aggrappandosi alle sbarre della cella, mentre il killer dall'interno continuava ad osservarla apparentemente impassibile.
-Sto bene- mormorò, sbattendo le palpebre più e più volte come si sforzasse di mantenere contatto con la realtà. -Ho solo bisogno di... prendere un po' d'aria-.
Passando tra la folla di studenti che la osservavano, alcuni borbottando sottovoce qualcosa che non potè comprendere, la ragazza abbandonò frettolosamente il salone dirigendosi verso il corridoio che conduceva all'uscita più vicina.
La sua mente era ormai ridotta ad un groviglio di pensieri disconnessi e sentiva il cuore battere così forte che le pareva fosse salito su fino alla gola. Aveva un impellente bisogno di uscire, respirare aria fresca e tentare di calmarsi.
Neanche si accorse che il docente responsabile del corso, evidentemente preoccupato dalla situazione, seguì ogni suo passo per verificare che non avrebbe avuto un secondo svenimento; di fatti, subito dopo aver varcato il portone d'uscita, se lo ritrovò accanto.
-Forse è meglio che ti siedi. Vuoi che chiamo qualcuno?-.
La mora scosse energicamente il capo, sforzandosi di rallentare il ritmo della sua respirazione. -No, sto bene- farfugliò.
Una folata di vento trascinò un mucchio di foglie ingiallite lungo la rampa che conduceva all'androne, facendole girare più volte su se stesse in una caotica danza; l'aria esterna era molto fredda, tanto da far pizzicare le sue narici. Ringraziò quel vento, quell'aria gelida che le fece venire la pelle d'oca riportandola al presente.
-Sicura di stare bene?-.
Ancora scossa la ragazza annuì brevemente, affondando le mani nelle tasche dei pantaloni e spostando il suo sguardo a terra, tra le crepe del marciapiede.
-Sono mortificato- continuò a dire il professore, cercando di mantenere un tono di voce pacato nonostante si sentisse a sua volta piuttosto nervoso e destabilizzato. -Non avevo idea che questo potesse accadere, non sapevo neanche quali detenuti sarebbero stati trasportati in università, fino a ieri sera- spiegò.
Ma Jane, continuando a tenere lo sguardo fisso a terra, questa volta non rispose.
-Se sei sicura che si tratti di lui, però, credo che dovresti comunicarlo alle forze dell'ordine. Insomma...-.
-È lui- esclamò, con un filo di voce. -Lo ricordo a stento, ma so che è lui-.
Il docente sospirò, provando indecisione sulle parole che avrebbe dovuto usare; si rendeva perfettamente conto della delicatezza di quella questione e di quanto potesse essere destabilizzante per la mente di quella studentessa che, come lui stesso sapeva bene, era gia piuttosto instabile e condizionabile di suo. -Se è così, credo dovresti comunicarlo. Non so se il caso sia ancora aperto ma...-.
-E quale differenza potrebbe fare, ormai?- lo interruppe lei, stritolando le dita in due pugni così stretti che le sue braccia iniziarono a tremare.
L'uomo tacque, spostando lo sguardo altrove. Nonostante conoscesse bene la procedura, non avrebbe potuto far altro che darle retta: in nessun modo avrebbe mai potuto riavere i suoi genitori indietro, e Jeff the Killer era già stato punito con la pena massima consentita, ovvero l'ergastolo con conseguente perdita di ogni diritto. Se anche avesse deciso di rivelare alla polizia l'identità del killer questo non avrebbe cambiato in nessun modo il presente, se non consentendo agli investigatori di chiudere finalmente il cold case della famiglia Arkensaw.
Jane fece alcuni passi avanti e indietro numerose volte nel tentativo di scacciare almeno in parte il nervosismo che la stava logorando dall'interno, poi si appoggiò con la schiena contro al muro chiudendo gli occhi per una lunga fila di secondi.
Poteva solo vagamente immaginare come i suoi compagni di corso stessero parlando di lei in quel momento, del modo in cui aveva perso la testa per poi perdere i sensi e finire con la faccia a terra nel bel mezzo del test pratico, davanti a tutti quanti; ma non era questo che le impediva di tornare all'interno dell'università, adesso. La consapevolezza di trovarsi così vicina al mostro che aveva distrutto al sua famiglia la faceva sentire terrorizzata e furiosa allo stesso tempo.
E il docente, questo, sembrava lo avesse capito. -Arkensaw, non sei costretta a tornare in aula. Se non te la senti torna a casa- le disse, donandone un piccolo rassicurante sorriso.
La mora annuì stringendo le spalle, e senza farselo ripetere due volte si voltò con l'intento di incamminarsi lungo il marciapiede in direzione del suo appartamento; ma solo dopo aver compiuto qualche passo, un'idea si accese nella sua mente costringendola a fermarsi immeritatamente. Con il fiato sospeso si voltò indietro, trovando la figura del professore ancora in piedi davanti al portone d'ingresso che la osservava con preoccupazione; tornò a raggiungerlo, questa volta a passo sostenuto.
-Deve farmi un favore enorme, ho bisogno di incontrarmi ancora con quel bastardo al termine della lezione. Pensa che si possa fare?-.
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