ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 18 - Leale

La porta d'ingresso era stata forzata, lo realizzò immediatamente nel momento in cui il suo sguardo cadde sul bordo, ove il legno presentava evidenti segni di scheggiature e graffi.
-Ma che succede...- mormorò Jane voltandosi indietro, ma solo per realizzare che adesso Smiley si trovava a meno di un metro da lei e le stava puntando addosso la pistola.
Non aveva voglia di perdere altro tempo.
-Entra, presto- le intimò, poggiandole una mano sulla schiena e iniziando a spingerla delicatamente per invitarla a seguire il suo consiglio.
Ma lei oppose resistenza, conficcando le suole delle scarpe sull'asfalto bagnato. -No, col cazzo!- esclamò, lanciando uno sguardo preoccupato nei dintorni nella speranza che qualcuno stesse assistendo a quella scena; purtroppo per lei, trovandosi già sotto ai balconi della palazzina, aveva una visuale molto limitata sulla strada che adesso si trovava offuscata anche dalla recinzione di ferro battuto che circondava l'edificio.
-Andiamo Jane, non farmi arrabbiare- ghignò l'uomo, mentre con un rapido gesto della mano poggiava la canna dell'arma sulla sua nuca. Nel percepire il freddo dell'acciaio sulla pelle la ragazza riprese subito a camminare, raggiungendo la porta d'ingresso spalancata per poi varcarla con il fiato sospeso.
All'interno l'ambiente era stato messo sottosopra: i suoi averi erano sparsi in giro per la casa, alcuni a terra altri sul divano del minuscolo salotto, e quasi tutti i cassetti erano stati aperti; la TV era accesa a volume molto alto, probabilmente per coprire eventuali rumori che avrebbero potuto allertare i vicini, ma nessuno la stava guardando. Infine, con inaudito sgomento, la mora si accorse della presenza di Jeff che, in piedi davanti al frigorifero aperto, stava prelevando una lattina di birra come se niente fosse.
-Mettiti seduta e mantieni la calma, non ti sarà torto un capello- le ordinò ancora la voce prepotente di Smiley, che con un cenno del capo le indicò l'unica porzione di divano che era rimasta libera dalle cianfrusaglie che avevano sparso ovunque. Questa volta non ebbe bisogno di incoraggiarla con l'uso della pistola, perché lei eseguí il comando all'istante.
Si sistemò a sedere e iniziò a guardarsi intorno con sgomento, evitando volontariamente di rivolgere il proprio sguardo a Jeff; non c'era più una singola cosa che si trovasse ancora dove l'aveva lasciata, avevano messo a soqquadro ogni singolo metro quadro dell'appartamento alla ricerca di chissà che.
-Che cosa... Che cosa volete da me?- chiese, senza riuscire ad impedire alla sua voce di tremare. Solo allora si rese conto che gli oggetti di loro interesse erano stati disposti sul tavolinetto da fumo, in modo meticolosamente ordinato: il suo pc portatile, un vecchio cellulare che non utilizzava più da tempo, una bottiglietta di spray al peperoncino che aveva conservato per momenti come quelli ma che adesso si stava rivelando completamente inutile e, infine, le chiavi della villetta Arkensow, l'ex abitazione dei suoi defunti genitori.
-Riconosco di non essermi presentato nel migliore dei modi, ma ho assolutamente bisogno del tuo aiuto Jane. Pensi di voler ascoltare quello che ho da dirti?-.
-Ho una scelta?- ribatté lei con asprezza.
Jeff richiuse lo sportello del frigo e ingurgitò la birra tutta d'un fiato, per poi gettare la lattina vuota nel lavandino. Poi, con la stessa non chalance,  si issò a sedere sul bancone di marmo della cucina limitandosi ad osservare la conversazione tra gli altri due.
Smiley sorrise. -No, direi di no-. Afferrò il telecomando del televisore e alzò ulteriormente il volume, poi iniziò a spiegare. -So da fonti certe che la polizia sta cercando di ricavare informazioni sulla nostra attuale posizione torturando alcuni detenuti, in particolare quelli che erano presenti in piazza. Non che mi importi degli altri, ma tra loro c'è un ragazzino che devo assolutamente aiutare-.
Jane ascoltò quelle parole con attenzione, senza mai distogliere il contatto visivo. Faceva fatica ad immaginare come un individuo come Doctor Smiley potesse provare pena per un altro essere umano, ma in ogni caso non riusciva a capire che cosa potesse avere a che fare lei con quella faccenda.
-Se siamo fuggiti noi, forse possiamo fare in modo che ci riesca anche lui. Ma ho bisogno di informazioni perché al momento non so dove sia, non so se sia stato spostato in un'altra cella o trasferito altrove, non so neanche se sia ancora vivo-.
A quel punto, per la ragazza, la domanda fu a dir poco spontanea. -E io cosa c'entro in tutto questo?-.
Vide Jeff scuotere la testa e abbassare lo sguardo, ma lo ignorò.
-Sei in gamba, sei una studentessa di criminologia e soprattutto sei una cittadina libera. Ho bisogno che tu vada in carcere e verifichi le condizioni di Toby- spiegò l'ex dottore. -E poi.... Al momento non saprei a chi altro chiederlo-.
La mora tacque per qualche secondo, stritolando con una mano un lembo della maglia che indossava. -Non capisco...- mugolò. -Perché ti importa?-.
A seguito di quella domanda lo sguardo di Smiley sembrò farsi più cupo, anche se tentava di non darlo a vedere. Iniziò a passeggiare avanti e indietro per la stanza sotto allo sguardo vigile di Jeff, che fino a quel momento non aveva ancora pronunciato una singola parola.
-Perchè è dentro per colpa mia- rispose infine l'uomo, visibilmente scosso. Poi si fermò, rivolgendo uno sguardo pensieroso all'unica finestra di cui quel misero soggiorno era dotato, scrutando il cielo attraverso il vetro sporco. -Lui fu la mia prima vittima, era poco più che un bambino all'epoca; era ricoverato in una clinica psichiatrica per una presunta depressione infantile, io ero uno dei medici assunti da quella struttura. Uno dei più in gamba, modestamente- spiegò, con un velo di forzata ironia. -Gli feci l'elettroshock, più di una volta, ma non lo uccisi dopo. Di fatto Toby è l'unica mia vittima ancora in vita, poiché in seguito non ho mai più commesso quello sbaglio-.
Jane annuì brevemente, seppur non riuscisse inizialmente a cogliere davvero dove lui volesse andare a parare. Ma si sentì rabbrividire nel sentirlo definire "sbaglio" il non uccidere qualcuno, mentre evidentemente sembrava che lui ritenesse la tortura seguita alla morte una cosa in qualche modo accettabile.
Questo non aveva alcun senso, pensò.
-Il fatto è che quel ragazzino era depresso perché cresciuto in una famiglia di merda, e il mio intervento trasformò la sua depressione in qualcosa di molto peggiore. Ha sviluppato tratti di schizofrenia e molti altri disturbi generati dai danni che la terapia aveva causato al suo cervello, così un bel giorno ha massacrato la sua famiglia e per questo è stato condannato all'ergastolo-.
-Diamine... È... È terribile- mormorò Jane, con un filo di voce.
-Lui non merita di stare lì, non ha colpe. E come se non bastasse adesso le guardie lo stanno torturando perché credono che lui fosse informato sul mio piano di fuga-.
Jeff balzò giù dal bancone, tornando a raggiungere il frigo solo per acciuffare una seconda birra. Seppur fosse presente nella stessa stanza, sembrava quasi che fosse disinteressato a ciò che gli altri due si stavano dicendo.
-Ma io... Che posso fare per aiutarlo, non posso cer...-.
-Te l'ho detto Jane- la interruppe l'ex dottore, gesticolando con una mano. -Dovrai solo aiutarmi a fare le cose che né io né Jeff possiamo fare in prima persona, per ovvi motivi. Come appunto andare in carcere e verificare che lui sia ancora vivo-.
La ragazza scosse la testa emettendo un sospiro tremante. Fino a poco prima non riusciva a immaginare che cosa quel pazzo volesse da lei, ma anche adesso che lo sapeva non riusciva a capacitarsene. -Non... Non credo di volerlo fare, mi dispiace per lui ma non posso- esclamò. Non credeva a una singola parola di ciò che le era stato detto, principalmente perché non riteneva che un individuo come Smiley potesse davvero provare sensi di colpa nei confronti di una persona alla quale aveva distrutto la vita con i suoi giochetti da scienziato pazzo.
Ma lui sembrò contrariato da quella sua affermazione, e per questo il suo atteggiamento cambiò. -In questo caso, mia cara, abbiamo un probelma- ghignò, a denti stretti.

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