ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 17 - Emotivo
Lingue di fuoco danzanti si erigevano fino al soffitto, ove le tavole in legno verniciato erano già totalmente annerite; il fumo all'interno della stanza era così denso che risultava quasi impossibile distinguere le sagome degli oggetti attorno. Le entrava nei polmoni provocando continui colpi di tosse tanto violenti da farle dolere il petto, privandola dell'ossigeno.
E sul fondo della stanza una sagoma umana avanzava, con un lungo coltello da cucina stretto nel palmo della mano e un sorriso maniacale dipinto sul volto. Lunghi capelli neri ricadevano sulle spalle dell'assassino, i cui occhi riflettevano come uno specchio un'anima fredda, assente, disumana.
"Bip bip, bip bip, bip bip".
Il suono della sveglia strappò Jane da quell'incubo, catapultandola con violenza nel mondo reale. Annaspando si tirò a sedere sul letto stritolando le lenzuola nel pugno, come se cercasse disperatamente di aggrapparsi alla realtà per non rischiare di ricadere nella follia del suo sogno. Mai come adesso era stata felice di udire il suono fastidioso di quel maledetto affare.
-..Merda- borbottò, stropicciandosi gli occhi. Aveva iniziato a fare incubi molto più vividi che la riportavano indietro fino al giorno dell'assassinio della sua famiglia, ma questo non le piaceva affatto. Adesso poteva vedere chiaramente la figura di Jeff nella sua immaginazione, ma continuava a chiedersi se si trattasse di veri e propri ricordi oppure di una ricostruzione elaborata dalla sua mente.
Questo non poteva saperlo.
È vero, aveva provato una strana sensazione di familiarità nel momento in cui aveva incrociato lo sguardo di quel pazzo per la prima volta in università, e lui le aveva anche confermato in prima persona di essere stato l'artefice della strage, ma non aveva nessuna prova tangibile di questo. Per qualche ragione, continuava a sperare di sbagliarsi.
Da qualche giorno Jane aveva ripreso con la sua normale quotidianità fatta di studio, faccende domestiche e qualche piccolo passatempo che utilizzava per ripulirsi la mente dai pensieri negativi che la affollavano; così quella mattina, proprio come previsto dalla sia routine, si preparò ed uscì di casa per recarsi in università.
Nonostante la folle esperienza vissuta di recente aveva deciso di lasciarsi ogni cosa alle spalle ancora una volta, per tentare di prendere in mano la sua vita e distaccarsi da tutto ciò che aveva a che fare con il suo passato.
Le recenti piogge avevano lasciato spazio per qualche giornata di sole, che nonostante le temperature piuttosto rigide le permettevano di trascorrere molto più tempo all'aperto; si incamminò a passo lento con un piccolo zaino appeso alle spalle, seguendo lo stesso percorso che utilizzava ogni singolo giorno per raggiungere la sua meta in tempo. Aveva infilato delle cuffiette nelle orecchie e stava ascoltando alcuni dei suoi brani preferiti quando ad un tratto, sbucando fuori da un'aiuola che confinava con il marciapiede, una figura non le si parò davanti bloccandole la strada.
Sentì il suo cuore saltare un battito, per poi iniziare a pompare sangue nelle vene all'impazzata: si trattava di Doctor Smiley, la stava osservando con in dito premuto sulla bocca. Si ricordava molto bene di lui perché lo aveva interrogato in università; era perciò ben conscia del fatto che si trattasse del secondo criminale in fuga dalle forze dell'ordine, assieme a Jeff the Killer.
-Non gridare e non scappare, non voglio farti del male- le disse l'uomo, che le parve a prima vista disarmato.
Jane fece un passo indietro e il suo primo istinto fu quello di chiamare aiuto; ma lui doveva averlo capito e così, da un secondo all'altro, le balzò addosso tappandole la bocca con una mano mentre tentava di trascinarla nella siepe dalla quale era appena spuntato fuori. -Calma, devi stare calma!- le diceva, cercando di tenerla ferma.
Ma la ragazza non gli rese affatto le cose facili, poiché iniziò a lottare con tutte le sue forze per liberarsi dalla presa. Non potè gridare ma riuscì ad emettere una serie di lamenti che sperava sarebbero stati uditi da qualcuno, anche se a quell'ora erano pochi i passanti che frequentavano quella zona di periferia.
-Non voglio farti male, bellezza- le disse ancora l'ex dottore, che ormai era riuscito a farla cadere e la stava bloccando a terra con il petto premuto contro all'erba bagnata, mentre con violenza le tappava la bocca. -Ma lo farò, se mi costringerai-.
Realizzando di non poter fare altro Jane finalmente smise di agitarsi, anche se annaspava alla ricerca d'ossigeno a causa della posizione che le impediva di respirare bene. Fu tenuta immobile per diverse manciate di secondi, fino a che il suo assalitore non iniziò ad allentare la presa sul suo corpo.
-Capisco che la situazione è assurda, ma ho un disperato bisogno del tuo aiuto ragazza- iniziò a spiegarle Smiley, a bassa voce. -Quindi promettimi che non griderai e ti libererò. Abbiamo un accordo?-.
Lei annuì con un cenno del capo appena percettibile mentre sputava con disgusto alcuni fili d'erba che le erano entrati in bocca. -Va bene, va bene- mormorò.
Proprio come aveva promesso un attimo prima l'ex dottore lasciò immediatamente la presa su di lei, permettendole di tornare ad alzarsi in piedi e scrollarsi via lo sporco dai pantaloni.
-Visto? Sono un uomo di parola, io- commentò.
La mora lo guardò perplessa, con il cuore che ancora batteva all'impazzata. Non aveva idea di cosa quel pazzo potesse volere da lei, ma di certo non poteva essere niente di buono.
Ipotizzò che la stesse osservando da giorni, perché aveva scelto di appostarsi proprio al lato di una strada che percorreva ogni mattina alla stessa ora, proprio in una zona in cui era difficile incrociare qualcuno per strada; era chiaro che non si trattasse di in incontro casuale, ma di qualcosa che lui aveva programmato con attenzione.
-Che cosa vuoi da me?-.
-Ho bisogno che tu ripercorra la strada al contrario e che torni al tuo appartamento, parleremo lì- le rispose l'uomo, con aria molto seria.
-Cosa?- esordí lei. -Non ci penso prorio!-.
-Non posso parlare qui fuori, è troppo rischioso- ribatté Smiley, abbassando ulteriormente il tono della voce. -Non posso rischiare che qualcuno senta-.
La mora scosse la testa, iniziando ad allontanarsi da lui a piccoli passi. Si chiedeva se sarebbe riuscita a correre abbastanza veloce da seminarlo, se ci avesse provato. -Non ti porterò a casa mia- ghignò.
Ma lui non smise di insistere. -So già dove abiti, se è di questo che ti preoccupi- le disse, ridacchiando sotto i baffi. -Senti, capisco che la situazione è molto strana, ma mi serve il tuo aiuto Jane. E me lo darai perché altrimenti...-.
-Altrimenti?- ripeté lei con aria di sfida. Una scarica di adrenalina aveva già invaso il suo corpo.
-Altrimenti sì che sarò costretto a farti del male-. Nel dire questo sollevò leggermente la giacca che indossava, mostrando l'impugnatura metallica di una pistola.
Solo allora lei iniziò a sentirsi in pericolo per davvero.
Capì che in gioco adesso c'era la sua vita: se quell'affare era carico, cosa molto probabile, lui avrebbe impiegato poco più di un secondo per piantarle una pallottola in testa. Accettò quindi di aiutare Smiley senza fare ulteriori domande, anche se più volte lungo il percorso ebbe l'impulso di cambiare direzione e correre incontro a qualche passate pregandolo di aiutarla.
Ma non lo fece.
Sapeva che sarebbe stato molto più veloce lui a sparare che lei a chiedere aiuto.
Camminò a passo lento fino a casa, mentre Smiley seguiva ogni suo passo in silenzio a qualche metro di distanza. Non si voltò mai indietro a guardarlo ma poteva udire chiaramente i suoi passi, che maturavano in lei una crescente ansia.
E poi, quando giunse finalmente dinnanzi alla palazzina che ospitava il suo appartamento, notificò con orrore che la porta d'ingresso era già spalancata.
Doveva esserci qualcun'altro all'interno.
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