ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 14 - Anaffettivo
Le braccia di Jeff erano avvinghiate attorno al corpo tremante della ragazza stringendola molto più forte del necessario, solo per assicurarsi che non sarebbe potuta sfuggirgli. Lei provò un tremendo disgusto nel percepire quel contatto e la puzza di alcol che proveniva dalla sua bocca, al punto che quasi le venne da vomitare; tentò di respingerlo più e più volte, facendo appello a ogni forza che le era rimasta per tentare di sfuggire allo stupro. Ma il suo aggressore era troppo più forte di lei.
-Non toccarmi, per favore non farlo- continuava a ripetere, chiudendo gli occhi come se in quel modo avrebbe potuto farlo scomparire. -Tutto ma non questo... Ti prego-.
Jeff portò una mano al suo collo, stringendo quanto bastava a ricordarle che era lui ad avere il comando, ma senza privarla dell'ossigeno. Affondò le punte delle dita nella carne pulsante, conscio di poter interrompere quel battito in qualsiasi momento.
E questo gli piaceva tremendamente.
-Non mwi pre..gare...così- balbettò, ancora intorpidito dagli effetti della sbornia. -Lo rendi... anora.. più.. e..ccitante-.
Con un gesto sprezzante le infilò ancora una mano dentro ai pantaloni, questa volta strappandoglieli di dosso con una violenza inaudita, poi iniziò a palpeggiarla ignorando del tutto il modo in cui lei aveva iniziato a singhiozzare rumorosamente, quasi come potesse nutrirsi del suo disgusto e del suo dolore.
Dopo anni di prigionia, aveva dimenticato quanto gli piacesse assumere il controllo più totale nei confronti di un'altra persona.
La ragazza non osò più muovere un singolo muscolo, cosciente di non poter far altro che attendere la fine di quella disumana tortura e sperare di non venir ammazzata nel frattempo; tentò di isolare i suoi pensieri, fingere di trovarsi altrove per sopportare il peggiore abuso che avrebbe potuto ricevere.
Ma proprio adesso che si era del tutto arresa alle volontà di quel mostro si rese conto che lui, nel frattempo, non aveva ancora infierito sul suo corpo. Deglutí saliva stringendo le palpebre più forte che potè, confusa su ciò che stava realmente accadendo. E poi, d'un tratto, la voce di lui la riportò violentemente al presente.
-Fanculo, cazzo!-.
Jeff si ritrasse, liberando il corpo della vittima che si affrettò a rannicchiarsi a terra, allontanandosi di tutto lo spazio che la lunghezza della corda le concedeva. Non aveva idea di cosa fosse appena successo.
-Fanculo- ripeté ancora l'aggressore, guardando con aria infastidita i cocci della bottiglia che aveva gettato a terra poco prima, come se si fosse ricordato soltanto adesso di averla rotta.
Fu in quel momento che Jane si rese conto del motivo per cui era appena stata graziata: il membro del killer non si era eretto. Forse fu a causa della grande quantità di alcol che aveva ingerito, forse perché non era sufficientemente attratto da lei, oppure perché infondo non voleva farlo per davvero; qualunque fosse stata la risposta, per lei non aveva importanza in quel momento.
Inspirò un'abbondante quantità d'aria nei polmoni, con una smorfia di dolore dipinta sul viso a causa delle abrasioni sui suoi polsi, ancora tormentati dallo sfregamento della corda che li imprigionava. Riuscì a notificare una forte frustrazione negli occhi del ragazzo in quel frangente, e forse anche un punto di vergogna che lo indusse a evitare il contatto visivo.
Ma per l'ennesima volta decise di provare a contrattare con lui, sfruttando quello scorcio di debolezza che era riuscita a intravedere.
-Jeff...- bisbigliò, realizzando che quella era la prima volta che osava pronunciare il suo nome. -Lasciami andare, tutto questo non ha senso-.
Il moro le lanciò uno sguardo neutro, come se questa volta stesse davvero ragionando su quella possibilità; non sembrava più intenzionato a farle del male, almeno non al momento. Al contrario, le sue iridi chiarissime sembravano riflettere una certa tristezza interiore che stava facendo fatica a nascondere.
Impossibile che si trattasse di senso di colpa, pensò; probabilmente anche questo era dovuto alla sbornia.
-Gwusto...- biascicò il killer, dondolandosi sulle sue stesse gambe. -Hai... Hai ragwuone-.
Contro ogni più rosea aspettativa Jane lo vide tornare ad avvicinarsi a lei ed afferrarle i polsi con una strana delicatezza, per poi recidere la corta che li improgionava con l'ausilio del coltello che si sfilò dalla tasca.
Scosse lievemente la testa, sempre più confusa dalla situazione: non si aspettava che alla fine le sarebbe stata concessa la libertà per davvero, non così facilmente, non in modo così apparentemente insensato. Sospirando massaggiò i suoi polsi e scelse di restare in silenzio; aveva il fiato corto e il cuore sembrava volerle saltare fuori dal suo petto per quanto batteva forte, poiché sapeva che non sarebbe stata davvero al sicuro fino a che non fosse uscita da quel maledetto posto.
Lontana dalle grinfie del mostro che l'aveva rapita.
Pensò a qualcosa da dire ma fu preceduta da lui, che finalmente riuscì a mettere insieme una frase comprensibile. -Hai... Hai un telefono, giu..wsto?-.
Spiazzata da quella domanda Jane strinse le spalle, cercando di ricordare nonostante l'agitazione che offuscava i suoi pensieri. -Sì, ma credo... credo che sia finito a terra... Da qualche par...-. Ancor prima che potesse finire la frase vide il moro fiondarsi nella stanza accanto con un andatura barcollante, forse perché aveva ricordato di averlo calciato via durante la colluttazione avvenuta quella mattina. Di fatti, dopo una brevissima ricerca, trovò l'oggetto a terra su un piccolo cumulo di detriti crollati giù dal soffitto.
Jane non aveva sinceramente idea di cosa intendesse fare, ma non osò intervenire in alcun modo; non avrebbe rischiato di farlo incazzare, proprio adesso che sembrava così tranquillo e propenso a lasciarla andare via senza ulteriori inseguimenti.
E così lo osservò silenziosa mentre lui componeva un numero sulla tastiera con movimenti molto impacciati, come se non avesse davvero idea di come si utilizza uno smartphone di ultima generazione; poco dopo avviò la chiamata e inserì il vivavoce, tornando a fissare lo schermo che riportava il numero appena digitato, come a voler verificare mentalmente che fosse corretto.
Il contatto chiamato risultò irraggiungibile e scattò quasi subito la segreteria, con un messaggio registrato che riproduceva una giovane voce maschile a lei totalmente sconosciuta.
[Ciao sono Liu, purtroppo non posso rispondere in questo momento. Lascia un messaggio e ti richiamerò appena possibile]
Mentre ascoltava quelle parole che per lei non avevano alcun significato si accorse che invece lo sguardo di Jeff si era immediatamente riempito di una tristezza viscerale, come se il solo fatto di sentire quella voce avesse mosso qualcosa dentro di lui, abbattendo una piccola parte di quel muro di disprezzo e rabbia del quale si era circondato.
Le parve di intravedere delle lacrime inumidire i suoi occhi.
Chiunque fosse la persona che aveva appena chiamato, doveva mancargli moltissimo.
[E Jeff, se sei stato tu a chiamare... Ti prego, torna a casa]
Jane capí che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma si sentì di troppo in quel momento. La verità è che voleva soltanto andarsene e che l'avrebbe già fatto se non avesse temuto di scatenare nel suo sequestratore una nuova crisi di rabbia; dei suoi problemi personali non poteva che importargli un bel niente, in quel momento.
[Siamo tutti molto preoccupati per te].
Il moro tacque e si immobilizzò per una lunga manciata di secondi con il telefono ancora stretto nel palmo della sua mano, fissando lo schermo illuminato con profondo sgomento.
[Si prega di registrare il proprio messaggio dopo il segnale acustico. Bip!]
Di colpo scosse la testa e con un gesto impulsivo le restituì il cellulare, sbattendolo sul suo petto per invitarla ad afferrarlo prima che cadesse a terra; subito dopo, mostrando un'improvvisa totale indifferenza, abbandonò la stanza trascinandosi in corridoio, dove iniziò a vomitare per terra svuotando lo stomaco della metà dell'alcol che conteneva.
Jane osservò la scena da immobile spettatore, certamente disgustata ma altrettanto incapace di comprendere fino infondo quello che stava accadendo.
Dopo aver finito, ormai esausto da quello sforzo fisico, il killer avanzò zoppicando in un'altra stanza dove si gettò a peso morto sulla struttura fatiscente di un vecchio divano ammuffito, iniziando ad ignorare completamente la sua presenza, come avesse dimenticato che lei era ancora li a guardarlo con gli occhi sgranati. Ubriaco com'era cadde nel sonno nel giro di pochi minuti, con la bocca ancora sporca del suo stesso vomito.
Un silenzio palpabile aleggiava adesso tra le mura gelide dell'edificio, tanto che lo scricchiolìo delle tavole di legno del pavimento generava un suono quasi assordante mentre Jane, con titubanza, usciva dalla stanza in cui era stata reclusa sulle punte dei piedi. Quello sarebbe stato il momento perfetto per darsela a gambe e così non perse tempo; infilò il cellulare in tasca e proseguì lungo il corridoio, lanciando solo un'ultima rapida occhiata in direzione del ragazzo che trovò ancora immobile nella stessa posizione, come fosse svenuto.
Per lei sarebbe stato facile a quel punto spaccargli la testa con un mattone, sapeva che lui non avrebbe potuto difendersi in alcun modo e anche se ci avesse provato non avrebbe avuto la meglio, considerato che a malapena sembrava in grado di reggersi in piedi.
Valutò l'idea per una frazione di secondo e sentì una scarica di adrenalina attraversare il suo corpo.
Ma non lo fece.
Si precipitò invece sulle scale che scese quasi correndo, abbandonando finalmente le mura di quell'edificio fatiscente.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top