ℙ𝕒𝕣𝕥𝕖 13 - Psicopatico

Jane tentò di sottrarsi al suo aggressore scivolando contro alla parete, incurante dei pezzi di intonaco che si stavano sgretolando al solo contatto; ma non ci riuscì, perché l'assalitore era tornato ad afferrare la sua giacca e la stava trascinando in giro per la stanza, sbattendola contro alla mobilia presente ogni qual volta tentasse di sguggirgli.
-Sei soltanto.... Una stupida vacca...- esclamava il killer, annaspando per l'eccitazione; ma quando lei tentò per l'ennesima volta di liberarsi dalla presa mordendo la sua mano perse del tutto il controllo, sferrandole un fendente con l'arma improvvisata che aprì una ferita sulla sua spalla. Jane fu poi spinta a terra e riempita di calci, mentre singhiozzando si copriva la testa con entrambe le braccia nel disperato tentativo di sopravvivere alle botte.
Era certa che da lì a poco lui l'avrebbe sgozzata, ma sentiva di non avere più le forze necessarie ad alzarsi. Tentò di recuperare il cellulare che conservava nella tasca per contattare i sevizi di emergenza ma non ci riuscì poiché l'assalitore, con un ulteriore calcio, catapultò il dispositivo a diversi metri di distanza sgretolando anche quella misera speranza di salvezza.
Disperata la mora chiuse gli occhi ed emise un forte lamento cessando i suoi tentativi di difesa ma poi, da un momento all'altro, sentì che Jeff si era fermato. Dapprima non comprese il perché.
Tremante come una foglia spalancò le palpebre e vide che il killer era ancora in piedi davanti a lei, ma aveva rivolto il suo sguardo in direzione della finestra aperta che dava sull'aia all'esterno: sembrava intento ad ascoltare qualcosa. Approfittò per puntare i gomiti a terra e provare a issarsi in piedi, travolta da una fitta di dolore che pareva provenisse da ogni muscolo del suo corpo, ed ecco che capí che cosa lui stesse ascoltando con tanta attenzione: qualcuno si stava avvicinando all'edificio muovendosi in modo silenzioso e a giudicare dal suono dei passi doveva trattarsi di almeno tre persone, probabilmente poliziotti. Una delle squadre che erano state incaricate di pattugliare l'area alla ricerca dei due criminali fuggiti dal palco doveva star controllando proprio quella palazzina, identificandola come un possibile nascondiglio per i fuggitivi; perciò, nonostante la paura che le stava paralizzando le gambe, Jane tentò un'ultimo gesto disperato.
-Aiu...Aiuto!- esclamò con la voce rotta dal pianto, sperando che sarebbero riusciti a sentirla. Non ebbe tuttavia occasione di verificarlo poiché Jeff, voltandosi verso di lei come una furia, la raggiunse con un balzo e la afferrò le spalle, facendole sbattere la testa al suolo così forte che, solo un attimo dopo, sentì le sue palpebre diventare incredibilmente pesanti.
Iniziò a perdere progressivamente i sensi.
-Aiu...to-.
Prima di cadere in un sonno profondo sentì le braccia di Jeff afferrarla da sotto alle ascelle e trascinarla sul pavimento, poi niente più.
Soltanto un buio impenetrabile.
Non fu in grado di capire quanto tempo fosse passato, né di interpretare i suoni che le sue orecchie ancora riuscivano a captare mentre si trovava priva di sensi; ma quando finalmente riuscì a riaprire gli occhi, si ritrovò immersa in un silenzio devastante. Vide attorno a lei uno spazio angusto ove la luce esterna penetrava esclusivamente da una crepa nella parete, indizio che le ricordò di trovarsi ancora all'interno dell'edificio abbandonato; era stata semplicemente spostata in un'altra stanza e lasciata lì da sola, al buio, distesa tra qualche lattina vuota. La sua parrucca era nuovamente posizionata sulla sua testa, i suoi abiti non erano stati rimossi, ma aveva uno straccio logoro legato sulla bocca che le impediva di urlare.
Ancora frastornata la mora si trascinò a terra sollevando la schiena con l'intento di alzarsi in piedi e fu allora che, con grande sgomento, si accorse che le sue braccia erano state bloccate da una corda in nylon piuttosto resistente, a sua volta ancorata a una trave che sbucava dalla parete.
Quel bastardo l'aveva legata e lasciata lì a marcire.
Emise un lieve lamento, iniziando a tirare con tutte le forze per cercare di spezzarla, ma capí ben presto che non sarebbe riuscita a farlo così facilmente; aveva bisogno di qualcosa di tagliente, che fosse per lei raggiungibile in quello stato.
Non aveva idea della ragione per cui Jeff non l'avesse uccisa e basta, sapeva soltanto che ovunque si fosse rintanato sarebbe ritornato per lei, dunque doveva fare in modo che non potesse più trovarla.
Con le mani legate tentò di rimuovere lo straccio sulla sua bocca senza successo. Non riusciva più a sentire alcun rumore nelle vicinanze ma sperava che, se fosse stata in grado di urlare a squarciagola, qualche passante l'avrebbe sentita.
Ciò che non sapeva è che erano passate tre ore da quando aveva perso i sensi, e che le ricerche della polizia si erano già spostate altrove.
"Merda... Che faccio... Che faccio..." pensò, iniziando a strattonare la corda così forte che la trave sembrò spostarsi di qualche millimetro.
Un dolore pulsante proveniva dai suoi polsi, dove la pelle presentava già evidenti abrasioni, ma in quel momento sarebbe stata disposta anche a staccarsi le mani pur di uscire da quella situazione. Continuò a provare più e più volte finché, all'improvviso, non udì un rumore che catturò la sua attenzione.
Passi.
Qualcuno stava risalendo lentamente le scale dell'edificio.
Dapprima ebbe l'impulso di provare a gridare aiuto attraverso il panno premuto sulla sua bocca; ma non potè escludere che quei passi, che man mano che si avvicinavano sembravano sempre più scooordinati, potessero essere proprio quelli del suo sequestratore. Deglutí a vuoto, pregando di sbagliarsi.
Aveva paura.
Una paura paralizzante.
Chiunque fosse risalito fino al terzo piano si era appena fermato davanti alla porta chiusa, forse intento ad ascoltare eventuali rumori provenienti dall'interno per verificare se lei si fosse risvegliata o meno. Capendo questo Jane restò immobile e trattenne il fiato, ma non fu abbastanza.
Solo un attimo dopo la porta fu spalancata con una spallata e andò a sbattere rumorosamente contro alla parte, mentre una figura ricurva e ciondolante si faceva strada all'interno della stanza ora illuminata dalla luce proveniente dal corridoio. Si trattava ancora di Jeff, ma il suo comportamento era nuovamente cambiato in modo radicale e questa volta poté capire subito il perché: era ubriaco fradicio.
Le si avvicinò dondolandosi a destra e sinistra, biascicando qualcosa che dapprima le parve totalmente incomprensibile. -N...oscio..siarti...dare-.
La ragazza tentò di allontanarsi da lui, riprendendo a strattonare la corda che la teneva ancorata alla parete. -Stai indietro, non ti avvicinare- esclamò, annaspando. Non osava immaginare cosa sarebbe potuto arrivare a farle in quello stato, considerato quanto fosse folle e crudele anche in condizioni normali; era sicura che adesso non avrebbe avuto alcun ripensamento, se avesse avuto l'impulso di farla fuori.
Strinse i pugni, osservandolo attentamente mentre si accasciava contro al muro opposto con una bottiglia di wiskey mezza vuota stretta tra le mani. Notò che si era cambiato i vestiti e che in qualche modo era riuscito a disfarsi delle manette; adesso indossava anche un paio di scarpe. Non aveva idea di dove avesse preso l'alcol e il resto della roba, ma era probabile che si trattasse di merce rubata.
-Cristo, mwi...scoppwia....a testa...-.
Jane pensò che quella scena fosse a dir poco pietosa, ma nella sua mente si accese anche una nuova consapevolezza: era probabile che sarebbe stato più semplice convincerlo a liberarla mentre era in quello stato, e allo stesso modo avrebbe avuto più possibilità di abbatterlo in uno scontro corpo a corpo considerato che i suoi riflessi dovevano essere fortemente rallentati. Si trattava della sua occasione di salvarsi la pelle, forse l'unica che avrebbe mai avuto.
-Se mi lasci andare, non dirò una singola parola. Posso prometterlo- mugolò a bassa voce, intenta a verificare come lui avrebbe reagito.
Jeff sollevò il mento e buttò giù un altro sorso di wiskey, poi si ripulì le labbra con la manica e rivolse di nuovo il suo sguardo all'ostaggio.
-Vuoi che twi libe..ri- esclamò, con la bocca impastata.
Lei non riuscì a capire se si trattasse di una domanda o di un'affermazione, ma immediatamente annuì con un cenno del capo. -Ti scongiuro, sì-.
E in quell'esatto momento vide l'espressione sul volto del killer cambiare ancora, mentre rabbioso gettava a terra ciò che restava della bottiglia di vetro, che si infranse. E mentre un fastidioso tanfo di alcol si espendeva nell'ambiente il killer si avvicinava barcollando, per poi afferrarla per le spalle e sbatterla contro alla parete.
Jane si immobilizzò. 
Sentì il suo fiato sul collo e le sue dita che affondandavano nella carne, stringendola così forte che faceva fatica anche a respirare. Ma non disse una sola parola, non emise neanche il più piccolo dei suoni lasciando che l'assalitore sentisse di avere il controllo. Non sarebbe stata una buona idea contrastarlo, non in quel momento.
Quel che non si aspettava fu che, solo un secondo dopo, quel gioco di potere si era trasformato in qualcos'altro: il killer le infilò una mano sotto all'elastico dei pantaloni tentando di abbassarli, mentre lei tornava a dimenarsi disperatamente per impedirglielo.
-Ti prego, questo no!-.

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