1. Non sto andando in guerra
Tutto ciò che voleva Isabelle Chloe Blanc in quel preciso momento era sparire completamente, odiava i saluti che finivano col trasformarsi in addii, anche se sapeva bene che avrebbe rivisto la sua famiglia, infatti, proprio quello che continuava a ripetere alla madre era:
«Non preoccuparti mamma, non sto andando in guerra»
Lo diceva con un sorriso di chi finge tranquillità, dietro ad esso si nascondeva proprio la preoccupazione di una diciannovenne che si ritrovava a dover lasciare il proprio luogo di nascita e la sua famiglia, dalla quale non si era mai allontanata prima d'ora, se non per viaggi scolastici; alla ricerca di un lavoro che avrebbe aiutato la famiglia Blanc ad affrontare i costi e le spese di casa elevati.
I Blanc non erano affatto una famiglia numerosa, al contrario, erano un piccolo clan di quattro persone: Eveline e Jason, sposati da vent'anni, e le loro due figlie Isabelle Chloe e Nicole Beth.
Il legame che c'era tra loro era indissolubile, basato sull'onestà e soprattutto sull'amore. I valori e l'etica erano alla base di ogni chiacchierata ed ogni qualvolta tra loro avveniva un litigio, riuscivano sempre a superarlo con il dialogo. Inoltre, fra loro non regnava alcun segreto particolare. Erano visti, dai loro vicini e da tutti coloro che li conoscevano, come la famiglia perfetta, fin quando, però, una notizia scombussolò le loro vite completamente.
A Jason Blanc venne diagnosticato un cancro al cervello che rischiava di diffondersi velocemente; quindi, per cure più precise, decisero rivolgersi alla clinica privata di Hyères, un paesino della Costa Azzurra francese, dove la famiglia aveva vissuto tutti questi anni.
Per i primi due mesi sembrava che tutto stesse andando bene: i soldi bastavano a coprire le spese mediche di Jason e lui stava reagendo positivamente alle cure; eppure, tutto precipitò nel momento in cui le sue condizioni cominciarono ad aggravarsi e la clinica richiedeva sempre più denaro. Tutto iniziò a complicarsi e le donne di casa Blanc dovevano trovare una soluzione. Purtroppo, non avevano nessuno a cui chiedere aiuto, nessun altro membro della famiglia da chiamare, erano tutte sole a gestire le spese di casa, ch'era solito a fare Jason.
Durante la stagione estiva, la maggiore delle sorelle, Isabelle, trovò un lavoretto e coi soldi guadagnati cercava di aiutare con le spese, ma purtroppo non era abbastanza, così iniziò a vendere i suoi vestiti, i suoi libri e tutte le cianfrusaglie che avrebbero portato anche un minimo profitto. Invece, la sorella minore, Nicole, cercò di fare lo stesso. Sfruttò il suo talento artistico e si fece pagare per ogni ritratto che riusciva a fare.
Anche Eveline, incoraggiata e supportata dalle sue figlie, trovò lavoro come commessa in un supermercato del paese.
Avevano sempre avuto un rapporto molto stretto, ma, in un momento di difficoltà del genere, si sentirono più vicine che mai. Eveline e Jason, nonostante i numerosi problemi, erano molto fieri delle loro bambine e capirono di averle cresciute veramente bene.
Nonostante le complicanze, trovavano sempre qualcosa a cui aggrapparsi per non sprofondare totalmente, perché una volta raggiunto il fondo poi risalire sarebbe stato quasi impossibile.
Il vicinato li invidiava, li guardavano con gelosia, ben nascosta da finta ammirazione, stupiti di vedere una famiglia così unita in un momento del genere.
Dovettero, però, rinunciare a quel legame cosi stretto per un po', dovettero lasciar andare la loro figlia più grande. Isabelle sarebbe partita per Nizza in cerca di un lavoro; eppure, non era quello che lei aveva raccontato alla sua famiglia. Per la prima volta in diciannove anni si era ritrovata a mentire alle persone più importanti della sua vita. Aveva un'ottima ragione per farlo, non voleva caricarli di altre ansie o paure, ne avevano già abbastanza con cui dover fare i conti; quindi, si convinse che stava facendo la cosa giusta, che quel peso enorme sullo stomaco poteva restare lì dov'era poiché per una giusta causa.
Dichiarò falsamente di aver trovato un buon lavoro proficuo nella città di Nizza e che una sua amica l'avrebbe ospitata lì per un po'.
Aveva mentito spudoratamente e si sentiva tremendamente in colpa per averlo fatto, non era affatto ciò che i suoi genitori le avevano insegnato, non è così che l'avevano cresciuta, ma a mali estremi, estremi rimedi, e se fosse stato necessario si sarebbe fatta anche un viaggio sulla luna per aiutare i suoi genitori.
L'onestà era uno dei valori che Eveline e Jason avevano deciso insieme di insegnare alle proprie bambine, soprattutto nei confronti della famiglia.
Nessun segreto ma, alla fine, era proprio quello che Isabelle si era ritrovata ad avere. Un segreto che doveva tenere ben nascosto, anche nei confronti di sua sorella Nicole.
Ciò che avrebbe escogitato una volta atterrata a Nizza non era ancora ben chiaro, non conosceva molto la città e ciò la spaventava parecchio. Ritrovarsi ad affrontare una cosa più grande di sé stessi non è mai una bella sensazione, ma la vita è fatta di ostacoli e paure che vanno superate costantemente, esperienze da vivere.
Infatti, per sentirsi meglio, continuava a ripetere a sé stessa che qualcosa si sarebbe inventata una volta arrivata lì, che un buon lavoro sarebbe spuntato fuori per lei, almeno ci sperava. Aveva avuto esperienze, nel periodo estivo, come cameriera, e altre numerose qualità su cui poter contare. Sentiva che qualcuno l'avrebbe assunta, dovevano farlo, ne aveva bisogno più che mai. Si sarebbe rimboccata le maniche e avrebbe chiesto ad ogni negozio della città o dell'intera costa se fosse stato necessario.
Per l'alloggio aveva segretamente prenotato una camera a poco prezzo in un piccolo motel per cinque giorni, sperava proprio che quei cinque giorni le sarebbero bastati per trovare un lavoro decente e proficuo.
«Dovrei essere io a partire non tu! Sei troppo giovane, la mia bambina!» le lacrime rigavano il volto della madre che continuava ad incolparsi di non aver fatto abbastanza per loro.
Isabelle ne aveva abbastanza di sentirla lamentarsi e oltretutto addossarsi tutta la colpa, che non aveva, così l'abbracciò.
Entrambe speravano che il tempo si fermasse e che sarebbero rimaste così per sempre, una abbracciata all'altra, un abbraccio pieno d'amore e di speranza che univa due persone così simili eppure così diverse. Una madre e la sua primogenita, perché anche se Isabelle avesse avuto cinquant'anni sarebbe rimasta comunque la sua bambina.
I suoi capelli color rame erano molto simili a quelli di Eveline, che, invece, tendevano molto di più al rosso. I lineamenti di loro visi erano quasi identici, ma il colore degli occhi e delle labbra le distinguevano bene, quelli della ragazza erano castani tendenti al verde, mentre, quelli della madre erano azzurri come il mare.
Si staccarono dall'abbraccio soltanto quando il microfono dell'aeroporto annunciò il gate del suo volo, che stava per essere imbarcato.
«Ti voglio bene e non sentirti mai in colpa per aver lasciato a me questo compito, posso farcela. Sei tu che mi hai cresciuta, ricordi?» cercò di tranquillizzare la madre con semplici parole e sperò tanto di esserci riuscita, ma Eveline continuava a lacrimare forzando un sorriso.
Nicole era lì che guardava la scena distrutta, non piangeva, odiava farlo, non lo faceva mai, ma sorprendentemente una lacrima le rigò il viso e riuscì ad asciugarsela in tempo, prima che la madre o la sorella se ne accorgessero. Isabelle si girò verso di lei, con gli occhi lucidi, e la strinse in un abbraccio, poco dopo si unì a loro anche la madre.
«Prendetevi cura di papà e vi chiamo appena arrivo» disse staccandosi lentamente dall'abbraccio, afferrando la sua valigia grigia e il borsone del medesimo colore.
Sorrise, un sorriso forzato che nascondeva le lacrime che avrebbe versato nel momento in cui sarebbe rimasta tutta sola, seduta su un aereo, e poi si avviò verso i controlli dell'aeroporto di Toulon-Hyères.q
Non si girò a guardarle perché non voleva rendere tutto più difficile di quanto già non fosse, così una volta superati i controlli si diresse verso il grande tabellone con tutti i voli elencati e cercò il suo: Nizza, gate numero 6.
Comprò una bottiglietta d'acqua e uno snack che avrebbe mangiato sull'aereo per ammazzare il tempo; il volo durava soltanto quaranta minuti e quindi non doveva preoccuparsi per quello. Non era la prima volta che saliva su un aereo, più volte aveva viaggiato con i suoi genitori in giro per l'Europa e per fortuna non aveva paura dell'aereo, ma di cosa sarebbe successo dopo invece si; era terrorizzata all'idea di arrivare in una città che conosceva poco e le domande che poneva a sé stessa non smettevano di farsi largo nel suo cervello.
Avrebbe mai trovato lavoro? Ci sarebbe riuscita in soli cinque giorni? Dove avrebbe alloggiato dopo? E se qualcuno le avesse fatto del male? A chi poteva chiedere aiuto lì? Chi l'avrebbe mai aiutata?
Mille domande e nessuna risposta aleggiavano nella sua testa, mentre era seduta sulle sedie accanto al gate, i suoi numerosi pensieri riuscirono a fermarsi soltanto quando una vecchietta le si sedette accanto e le riservò un bellissimo sorriso. Isabelle ricambiò, il sorriso della signora le sembrava così caloroso e sincero e si tranquillizzò improvvisamente, come se le fosse bastato quel semplice gesto per tornare a non avere paura del mondo.
Come se la signora anziana, con due diamanti al posto degli occhi, avesse messo a tacere tutte le sue preoccupazioni. Preoccupazioni che riusciva a non avere solamente in presenza dei suoi genitori.
Isabelle, però, non sapeva ancora che la fortuna era proprio seduta accanto a lei e non aveva ancora capito che quei due occhi color diamante l'avrebbero salvata.
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