•I•
Il castello era avvolto dall'oscurità. La notte aveva reso quasi impossibile scorgere quelle che erano le mura nere del possente edificio, e la lunga stradina che conduceva in salita verso il grande portone in legno sarebbe risultata difficile da percorrere. Per fortuna, ero riuscita a giungere alla fortezza prima che il sole tramontasse. Quadernetto in mano, penna in tasca, avevo messo piede in cima alla collina dopo solo un'ora di cammino. Più volte avrei voluto cedere alla stanchezza e fermarmi per riprendere fiato, ma il pensiero di incontrare uno dei personaggi più affascinanti e misteriosi del famoso romanzo del Manzoni mi dava forza.
E in effetti, quando mi trovai in sua presenza, la mia spossatezza scomparve del tutto.
Sedeva nel grande salone vuoto e buio, con solo la luce della luna a illuminare debolmente il pavimento di marmo. Era tranquillamente sprofondato su una vecchia poltrona rivestita di seta rossa, davanti ad un caminetto acceso, a osservare le fiamme rosse e il legno scoppiettante. Non era esattamente come lo immaginavo: non alto, le mani rugose, avrebbe potuto comodamente passare per uno di quei nonnetti che se ne va in giro con gli amici "di dentiera" ad ammirare cantieri e giocare a burraco. Eppure, c'era qualcosa di solenne e rigido in lui, qualcosa che avrebbe indotto chiunque ad abbassare lo sguardo al suo solo passaggio.
A coprirgli metà del volto, lasciando scoperta solo la bocca sottile e grinzosa, contornata da sottili baffetti e un pizzetto canuti, c'era una maschera bianca; non sono sicura del materiale di cui fosse fatta. Mi fece accomodare su una sedia in legno, ben pulita e decorata, seppur vecchia. Dopo di che, attese pazientemente, sempre mantenendo quel suo sguardo misterioso verso il camino, ascoltando le mie domande.
«Salve! Sono molto lieta che Lei abbia accettato la mia visita signor... ehm... Innominato.»
«Il piacere è mio. Perdoni la mia impossibilità nel rivelarle il mio nome e titolo di nascita. La ringrazio per avermi permesso di mantenere nascosta la mia identità.»
La sua voce era bassa e rauca, eppure si riusciva benissimo a percepire un vero rincrescimento nel suo tono. Era sincero.
«Oh, certo, per la maschera. Non si preoccupi. Potrei solo sapere il motivo della sua oculatezza, se non sono troppo invadente?»
Ovviamente, sapevo benissimo il perché, ma questa non sarebbe un'intervista, se non dessi ai lettori la possibilità di conoscere a pieno il personaggio, no?
«Il mio è un nome noto, in queste terre, signorina. Non vorrei correre il rischio che qualche mio lontano conoscente riconosca il mio volto e si faccia un'idea sbagliata del mio essere. Immagino che le domande che mi porrà saranno riferite alla mia vecchia vita da lestofante.» E aggiunse: «Vita che, tengo a precisare, oramai è solo un lontanissimo ricordo per me, nonostante continuerò a vergognarmene indubbiamente».
«Su questo non ho alcun dubbio. Ora, a proposito della sua vita passata... Le dispiacerebbe raccontarmi della sua giovinezza? Come ha fatto a divenire in poco tempo quello che la gran parte degli abitanti, qui, ricordarono per tanto tempo come il temutissimo e spregiatissimo Innominato?»
«Nacqui in una famiglia ricca, tra le più potenti dei dintorni. La mia casata, se mai la rivelassi, le sarebbe ben nota. Fin da giovine sperimentai quello che fu l'inizio della mia carriera da disonesto. Il mio patrimonio era cospicuo, per questo molti altri nobili mi erano amici. O, per lo meno, la maggior parte. Il resto mi disprezzava, non tollerava il mio modo di atteggiarmi, forse. Al mio servizio avevo i migliori delinquenti del paese, che mi obbedivano in cambio di protezione dalla giustizia: ladri, truffatori, assassini. Circondandomi di gente del genere mi abituai presto a fare del male al prossimo, anche perché alcuni di questi "amici" si servivano della mia "generosità" per svolgere lavoretti non degni di nobili di certa stirpe. Parlo di omicidi a sangue freddo, per faccende private o di denaro che fossero. Io, ovviamente, li accontentavo, purché essi rimanessero sotto il mio comando.»
«E non si è mai sentito in colpa, per questo?»
Per un secondo, gli occhi dell'Innominato sembrarono tremare, così come gli estremi delle labbra.
«No» disse. «Non era sicuramente un pensiero che mi affliggeva, all'epoca.» Fece un'altra pausa, questa volta più lunga delle altre. «L'unica cosa che volevo era rispetto. Rispetto da parte di tutti quei ricchi balordi che tentavano di rapportarsi con me solo per ottenere dei favori. E sapevo che se fossi riuscito a farmi temere da loro, sarei stato qualcuno. La gente avrebbe tremato solo a sentire il mio nome. E così è stato. Per tanto, tanto tempo sono stato un essere orrendo, che non aveva nessun rancore nell'uccidere persone innocenti. Ma non mi importava. Finalmente avevo quel rispetto che avevo sempre desiderato. E quei tiranni che prima mi sottovalutavano ora strisciavano ai miei piedi, supplicandomi di risparmiare le loro vite e di accoglierli sotto la mia ala. Alcune volte l'ho fatto, lo ammetto. Solo per umiliarli ancor di più. Il resto lo utilizzai come esempio per mostrare a chiunque cosa succedeva a mettersi contro di me.»
Durante questo monologo, l'Innominato sembrava essere tornato indietro nel tempo: ai miei occhi, appariva come una figura tetra e malvagia, un'ombra nera dai denti aguzzi e la risata maligna che mieteva vittime al solo passaggio. La sua voce aveva assunto un tono maestoso mentre, con la schiena eretta e gli occhi chiusi, il vecchio uomo sembrava stesse rimembrando cosa si provasse a sentirsi invincibile.
«Ma alla fine le cose sono cambiate, no?»
Improvvisamente si pietrificò. Sbarrò gli occhi, e un lampo squarciò l'immagine di potenza che si stava proiettando nella sua mente.
«Sì...» mormorò, «Alla fine le cose sono cambiate. Iniziò con l'avanzare dell'età, quando non ero più giovane, senza dubbi, pensieri per la testa. Ormai ero diventato tutto quello che avevo sempre desiderato. Ricco, temuto, nessuno si azzardava anche solo a pronunciare il mio nome. L'avvicinarsi della vecchiaia mi rese triste. Ero stanco, fare del male non mi divertiva più così tanto. Mi sentivo annoiato. E dentro di me sentivo qualcosa che... non ne sono certo... sembrava come una voce, che mi sussurrava delle cose, che io non capivo. Poi, man mano che gli anni passavano, le rughe aumentavano, i capelli si ingrigivano, la voce si faceva sempre più chiara, sempre più forte. Ogni volta che compivo un torto a qualcuno, questa voce urlava, mi dava il mal di testa... Cercavo di ignorarla, ma altre volte rimanevo in silenzio soltanto per poterla ascoltare. Ero così tentato di darle ascolto, ma poi mi tiravo indietro. E questa cosa è andata avanti per tanto, eh. Anni e anni di contemplazioni della mia stessa mente, cercando di comprendere cosa potesse mai esserci di così sbagliato in quello che facevo, tanto che il mio stesso io mi ordinava di fermarmi. Fin quando...» Si zittì sospirando.
«Fin quando non è arrivata Lucia.»
Non mi sarei aspettata di vedere l'Innominato sorridere. Eppure, lo fece. Guardò in alto, sopra il caminetto dove – prima non lo avevo notato – si ergeva un piccolo crocifisso di legno. Un tempo avrebbe dovuto esserci un quadro in quel punto, forse un ritratto dell'uomo o di un suo antenato, dato che si scorgeva una tonalità più chiara della parete. Ma ora, al posto di un individuo dall'aria altezzosa e spavalda, vestita in modo lussuoso, magari con una spada legata al fianco, c'era solo quella piccola e umile figura, che il vecchio Innominato osservava serenamente come stesse osservando una qualche luce divina. O forse stava solo ricordando.
«Un angelo!» esclamò pieno di gioia. «La mia vita sprecata in torture sarebbe terminata all'Inferno se non fosse stato per lei. Lei, che brillava della più pura e splendente luce che si potesse vedere. Quando quel... farabutto di Don Rodrigo giunse da me per richiedere il mio aiuto, ero al culmine della fatica: non mangiavo, non bevevo, non dormivo. Tutto perché la voce non cessava di tartassarmi, instaurando pensieri onesti nella mia mente. Mi chiese di svolgere un compito facile. Di rapimenti ne avevo fatti tanti, non mi sembrava poi così complicato. Diedi la conferma che avrei sbrigato la faccenda, e feci eseguire l'ordine. Per qualche ora, sembrava essermi tornata la forza che possedevo da giovine. Pensai che forse era quello ciò che mi serviva: solo una piccola azione malvagia, per ridarmi la carica. Sa, per togliere via la polvere, oliare gli ingranaggi arrugginiti. Poi è successo di nuovo. Uno dei miei bravi venne da me, mi disse che la ragazza era arrivata al castello. Il Nibbio, sa, era il mio braccio destro. Un vero bravo, di quelli capaci di uccidere ad occhi chiusi. Mi disse che aveva provato c... comp...»
«Compassione?»
«Sì! Compassione! "Compassione, il Nibbio?" mi dissi."È impossibile!". Tentai di non pensarci, all'inizio, però decisi di mandare una donna, una mia serva, ad occuparsi della ragazza, nel caso il suo debole cuoricino da popolana non avesse retto l'emozione di trovarsi in casa di un così potente signore, circondata da tremendi bravi delinquenti.»
Tentennò nell'ultima frase, io alzai un sopracciglio.
«La notte stessa decisi di farle visita. Mi sembrava così docile e indifesa, non si era nemmeno scomodata di dormire in un letto, preferendo il pavimento freddo. Si rifiutava persino di mangiare. Piangeva, mi pregava di lasciarla andare, e io ero così tentato di accontentarla. Poi mi disse una cosa... E immediatamente compresi che era la "voce" che mi ordinava di liberarla. Mi sarebbe piaciuto davvero, solo per vedere un sorriso illuminarle quel suo visino esile e pallido come un lenzuolo, alzarsi da terra e rivolgermi una singola parola, anche balbettata. Solo un "grazie" mi sarebbe bastato. Sapevo che quelle sei lettere avrebbero fatto sparire la voce dalla mia mente. Le promisi che l'indomani le avrei concesso la libertà e me ne andai, rinchiudendomi nella mia camera. Me ne pentii subito. Quella notte fu la peggiore della mia vita. Immagini solo tutti i dubbi della sua lunga vita venir fuori all'unisono in un momento in cui lei è debole e stanca. Tutti i volti delle persone che ha ferito, a cui ha fatto del male, gli stessi volti che non ha mai ricordato, improvvisamente si mettono a fuoco, e lei li vede, uno ad uno. In quel momento si pente. Si pente di ogni cosa della sua vita, e vorrebbe solo mettere tutto a tacere. Cosa farebbe?»
«Non saprei. Lei cosa ha fatto?»
«Se avessi fatto ciò che pensai di fare quella notte, ora non sarei qui a parlare con lei. Solo in quel momento mi resi conto di quanto la mia intera esistenza si era basata sulle sofferenze e le sfortune degli altri. Pensavo che per me non ci fosse più nulla da fare. Poi giunse l'alba. È bellissima, l'alba, sa? È come una nuova vita che inizia, e ti dona la possibilità di ricominciare da capo. E poi, un suono di campane, di festa. Voci, ma questa volta della gente. Mi giunse voce che una persona molto importante era arrivata in città. Una persona importante molto più di me, che però non aveva fatto male a nessuno, per esserlo. Qualcuno amato da tutti. Decisi di scendere in paese, per andare a conoscerlo. Volevo inginocchiarmi ai suoi piedi e implorare il suo perdono fino a quando non avessi espiato tutte le mie colpe. Giunsi lì, e vedendo la gente scansarsi al mio passaggio, mi rendevo ancor di più conto di che genere di essere umano, se così mi sarei potuto chiamare, fossi stato sino ad allora. Pensai che, se il popolo reagiva in quel modo, quella persona tanto importante non avrebbe nemmeno voluto guardare un singolo abito di me. Ma Federigo Borromeo era un santo. Mi fece andare al suo cospetto, e giuro che mai mi sono sentito meglio come in quel momento. Un macigno si era tolto dal mio petto e mia aveva permesso di tornare a respirare tranquillamente. E quando provai a chiedere perdono, quel sant'uomo mi guardò dritto negli occhi, e mi disse ciò che Lucia mi aveva detto. "Dio perdona molte cose, per un'opera di misericordia". Improvvisamente rinacqui. Sapevo benissimo cosa fare. Quel giorno liberai Lucia. La lasciai andare. Ancora oggi non la ringrazierò mai abbastanza. Lei è quella che ha salvato la mia anima da un destino orribile.»
«E dopo che Lucia fu liberata? Immagino che cessò di compiere azioni discutibili per iniziare una specie di "percorso di redenzione"?»
«Sì, in un certo senso è così. Volli passare gli anni di vita che mi restavano a fare del bene, come Lucia e il cardinal Borromeo avevano fatto con me. Dissi ai miei bravi di smettere con i furti, i delitti, e tutte quelle altre azioni spregevoli, e di iniziare una nuova esistenza, proprio come me. Ero libero. Mi sentivo più giovane, più forte, e sicuramente non avrei più fatto alcun male. Volevo che la gente che prima mi temeva iniziasse ad amarmi.»
«Credo che la gente lo ami, adesso, signor Innominato. Il suo è un vero esempio di redenzione.»
«Lo spero davvero.»
L'Innominato sorrise, soddisfatto, e io feci lo stesso. Ormai la notte era finita: i raggi dell'alba stavano iniziando a illuminare la stanza.
«Ha qualcosa da dire ai nostri lettori, prima che vada?»
«Anche se dicessi qualcosa, spetterebbe a loro ascoltare il mio consiglio. Ricordate: chiunque abbia passato la propria vita nel torto, e se ne rendesse conto, avrà sempre una seconda possibilità, davanti agli occhi di Dio. Dio perdona molte cose per un'opera di misericordia.»
𝙵𝙸𝙽𝙴
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