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27 marzo 2022, Gewiss Stadium.

Sophia's pov

Ero appena entrata al Gewiss Stadium con mia sorella e i gemelli Lovato, che mi avevano portato qui con l'inganno, senza che io ne sapessi nulla fino ad adesso.

Ancora non ci credevo che mi avessero portato a vedere la Roma, la mia squadra del cuore. La squadra di cui mi innamorai quando ero piccola, grazie a  Francesco Totti e Daniele De Rossi.

Credevo che avremo dovuto fare un giro per la città, per il centro storico, per le chiese, piazze, musei, negozi, centri commerciali, qualche stradine sconosciute, invece mi avevano voluto fare la sorpresa di portami allo stadio per farmi guardare questa partita dal vivo.

Secondo me questa sorpresa l'aveva pensata Francesca, ma non ne avevo la certezza. Non sapevo il perchè, ma avevo questa sensazione che fosse stata lei ad aver organizzato il tutto, chiedendo aiuto a non sapevo chi.

Pensavo che fosse stata lei a farmi questa sorpresa perché conosceva molti calciatori. Non sapevo di preciso chi, ma ero a conoscenza del fatto che avesse amici calciatori.

Questo era l'unico motivo per cui pensavo che fosse lei la 'mente' di questa sorpresa che era riuscita alla grande, non avevo sospettato di nulla, sin da quando Adele mi disse 'il 27 marzo andiamo a Bergamo a farci un giro per la città'.

Infatti ero rimasta di stucco quando fummo davanti allo stadio dell'Atalanta, mi sarei aspettata di tutto, ma non essere dentro a questo campo da calcio.

In ogni caso ringrazierò Francesca  quando sarà finita la partita, visto che non vedevo l'ora che iniziasse, nonostante avessi molta ansia di come sarebbe potuta finire.

Pensavo sempre al peggio, che potessimo perdere una partita così importante come questa, che venissimo sconfitti al 90' o cose del genere, o che non riuscissimo a fare nemmeno un gol alla Dea e che loro giocassero da dio.

Ogni volta mi veniva ansia per queste partite, che sarebbero potute finire sia benissimo, sia malissimo.

Ci sedemmo ai nostri posti e aspettammo l'inizio della partita, che sarebbe stato fra un po', o almeno credevo. Non sapevo che ora fosse in questo momento, ma pensavo che mancasse poco al fischio d'inizio della gara.

Iniziai a guardare i giocatori della Roma nel pre-partita, mentre che si stavano allenando, visto che erano  entrati in campo da poco tempo.

Erano entrati poco prima che io, mia sorella e i gemelli Lovato ci sedessimo ai nostri posti, ai quali arrivammo dopo un po' perché non li trovavamo.

Mi concentrai a guardare Lorenzo Pellegrini, il nostro capitano e numero 7.

Dio, era così bello mentre si allenava, ogni volta avevo le farfalle nello stomaco.

Ciò succedeva ogni volta che lo avevo così 'vicino', oppure quando lo vedevo in televisione o anche quando lo sentivo nominare o addirittura quando lo pensavo.

Ogni volta lo vedevo sempre dalla televisione, visto che lui abitava a Roma e io a Cagliari.

Le uniche occasioni in cui lo avevo avuto 'vicino' oltre a oggi era quando andavo all'Unipol Domus, lo stadio del Cagliari per vedere Cagliari-Roma.

Lo seguivo sin da quando lo avevano preso in prima squadra, nel lontano 2014.

Ormai erano 8 anni che lo sostenevo, che gli stavo vicino nonostante lui non sapesse della mia esistenza, nonostante non l'avrei mai incontrato fuori dal campo, nonostante io e lui appartenevamo a due mondi totalmente differenti, lui un calciatore e io una semplicissima ragazza che andava all'università nella città in cui era nata per non allontanarsi dalla sua famiglia, a lui mi ero affezionata molto velocemente, senza che me ne rendessi conto.

Non sapevo spiegare a parole quello che mi faceva provare, di quanto bene io gli voglia, della felicità che avevo quando lo vedevo in campo e/o di quando sentivo la sua voce in qualche sua intervista che gli facevano nei pre o post partita, oppure qualche intervista che la Roma pubblicava nei suoi social.

Non riuscivo a esprimere quello che provavo nei suoi confronti, l'unica cosa che sapevo era che per me lui era speciale, unico, indimenticabile, straordinario, ineguagliabile, perfetto.

Ormai non sarebbe uscito facilmente dal mio cuore, e sapevo che sarebbe stato così per sempre, anche quando si ritirerà dal calcio giocato.

Ero sicura che in quel momento avrei pianto come una fontana, le mie lacrime piano piano sarebbero diventate un oceano, incredula che lui avesse appeso gli scarpini al chiodo e che non l'avrei mai più visti giocare, nè alla televisione nè allo stadio.

Sapevo già che quel momento sarebbe stato il peggiore della mia vita, la fine di un'era della mia amatissima Roma, il ritiro di un altro capitano di questa squadra che amavo più di me stessa, un trauma che non sarei mai riuscita a superare.

Mi veniva un sacco d'ansia quando ci pensavo, entrando in paranoie che erano abbastanza inutili, a cui ora non dovevo nemmeno pensare.

Quando tornai alla realtà notai che anche lui mi stava guardando, sorridente. Uno dei tanti sorrisi che faceva sempre.

ODDIO, NON CI POTEVO CREDERE.

Lorenzo Pellegrini mi aveva appena guardata, notandomi dopo chissà quanto tempo?

Ero incredula che mi stesse guardando, e, soprattutto, che mi stesse sorridendo a trentadue denti.

Solitamente non mi aveva mai notata: non aveva mai letto i messaggi che gli mandavo su instagram e neanche quando andavo a vedere Cagliari-Roma allo stadio, ogni volta che lui mi passava davanti, dove i calciatori facevano foto e autografi coi fan, mi imbarazzavo e non lo fermavo per farmi fare l'autografo e per scattare una foto assieme.

Maledetta timidezza, odiavo il fatto di non essere mai riuscita a fermarlo per chiedergli foto e autografo.

Ogni volta che lo avevo di fronte a me, il mio cuore batteva all'impazzata, mi venivano le farfalle nello stomaco e avvampavo, sembravo un pomodoro, sempre e comunque, il rossore arrivava fino alle orecchie. Tra un po' sembrava che avessi la febbre, per colpa del naso e delle guance rosse peggio di un peperone.

Ogni volta che mi era vicino io mi bloccavo, non riuscivo a spiccare parola.

Ogni volta le parole mi morivano in gola, era come se fossi sempre stata muta, sin dalla nascita, senza parole da tutta la sua bellezza.

Adele mi toccò la spalla, riportandomi alla realtà "Soph, ci sei? Sembra che tu non sia qui con noi. È come se fossi in un mondo tutto tuo. Tutto bene?"

Era leggermente preoccupata, ma subito dopo la tranquillizzai.

"Sì ci sono, stai tranquilla, tra quanto inizia la partita?" domandai mentre guardavo negli occhi mia sorella, che era seduta vicino a Matteo.

Quest'ultimo aveva una mano nella coscia sinistra di Adele, e la mano di mia sorella era sopra la sua, che la stava accarezzando.

Se fossimo stati a casa avrei staccato la mano di Matteo a morsi, ma evitai di fare scenate di gelosia in pubblico.

"Dovrebbe iniziare tra pochissimo, guarda il campo" disse facendomi un cenno verso il campo da gioco.

Feci come mi aveva detto mia sorella: i capitani delle due squadre erano uno di fronte all'altro, che aspettavano il sorteggio dell'arbitro.

Dopo ciò i calciatori fecero la solita foto di squadra per poi posizionarsi in campo, aspettando il fischio d'inizio.

Ora avevo ancora più ansia per l'inizio di questa partita che sembrava interminabile.

Dopo poco l'arbitro fischiò e Atalanta-Roma ebbe inizio.

Nei primi minuti di gioco la Roma ebbe più possesso palla rispetto agli avversari, che pressavano un sacco i ragazzi per cercare di rubare il pallone; cercando di fare più gol possibili.

Qualche volta Cristante sbagliava i passaggi, che Pessina sfruttava per far avanzare la sua squadra fino alla nostra area di rigore.

Grazie a un passaggio sbagliato di Cristante l'Atalanta trovò il gol del vantaggio.

Aveva segnato De Roon, con assist di Pessina, al 12'.

Porca puttana.

Ci mancava solo questo. Ci mancava solo che segnasse l'Atalanta, in uno dei momenti più 'belli' della Roma.

La partita riprese solo dopo l'esultanza del giocatore dell'Atalanta.

Ora speravo solo in una rimonta della mia squadra, questi tre punti erano fondamentali per riuscire a essere in un buon punto della classifica, magari per puntare alla Champions League.

Dopo chissà quanto tempo nella nostra area di rigore, tempo in seguito al gol che avevamo subito un po' inaspettatamente, Lorenzo passò la palla a Zaniolo, che la ripassò al nostro capitano perché gli avversari lo stavano per circondare, nel vero senso della parola.

Allora Lorenzo passò la palla ad Abraham, che riuscì a trovare spazio sulla fascia sinistra.

Corse finché non fece un cross perfetto per Lorenzo, che riuscì a prendere la palla di testa, che finì in porta, precisamente nel sette.

Ero così fiera di Lorenzo, ero contentissima che avesse segnato il gol del pareggio, che stesse sorridendo per il gol che aveva appena fatto.

Non potevo esultare perché vicino a noi c'erano un sacco di tifosi della Dea, che stavano bestemmiando, infatti non avevo potuto mettere la maglia di Lorenzo regalatami da Adele, nonostante avessi messo il giubbotto.

La maglietta si sarebbe intravista perché Adele l'aveva dovuta prendere di due taglie più grandi rispetto alla mia, il modello di queste maglie per me erano molto grandi, rispetto al mio fisico che era nella norma.

Poco dopo il gol di Lorenzo finì il primo tempo, eravamo sempre fermi sull'1 a 1, nonostante ci sia stato un minuto di recupero che era stato concesso per un cambio forzato da parte dell'Atalanta.

Speravo che sarebbe cambiato qualcosa nel secondo tempo, che saremo potuti riuscire a fare un altro gol, che sarebbe bastato per vincere la partita.

"Scometto che ti sei trattenuta per non esultare, vero?" domandò Francesca, che mi stava guardando negli occhi.

"Sì, Fra, mi sono dovuta trattenere, quanto avrei voluto esultare per il gol di Lollo, ma non potevo. Non volevo essere guardata male dai tifosi della Dea, già stavano bestemmiando, ci mancavo solo io che esultavo"

Io e Francesca ridemmo, e Matteo e Adele non si accorsero di nulla perché stavano pensando a flirtare. I soliti.

Parlammo finché non iniziò il secondo tempo. Ero un po' più tranquilla, ma non tantissimo, ma sicuramente ero meno in ansia di quando la partita era iniziata.

L'Atalanta creò un sacco di azioni pericolose, che però non si furono concretizzate come loro avrebbero dovuto, desiderato sin dal minuto di recupero dato nel primo tempo.

Noi ogni volta provavamo a fare qualche contropiede, che risultò inutile perché i bergamaschi riuscivano sempre a recuperare palla per poi costruire un'altra azione pericolosissima.

I bergamaschi mi stavano facendo venire 10.000 infarti al secondo, per tutte le azioni che stavano creando da quando era iniziato il secondo tempo.

Dal 70' in poi l'Atalanta iniziò a calare e noi sfruttavamo ogni occasione disponibile: i passaggi sbagliati dal loro centrocampo, nella loro difesa, anche se poi riuscivano a salvarsi a culo, un colpo di fortuna.

Al 77' l'Atalanta batté un calcio d'angolo che si erano procurati per un nostro errore in difesa, che andò a finire nei piedi di Karsdorp, che iniziò l'ennesimo contropiede per noi, sperando che questa volta sia quello vincente.

Il nostro numero due corse sulla fascia per poi raggiungere l'aria di rigore dell'Atalanta.

Fece un cross perfetto per Abraham che prese la palla di testa, segnando il gol del vantaggio.

Dentro di me stavo provando felicità, gioia, nonostante io non potessi esultare come avrei voluto.

In questo momento avevo adrenalina in tutto il corpo, non riuscivo bene a spiegare quello che stavo provando.

Ora dovevamo solo riuscire mantenere il risultato fino alla fine della partita.

Mancavano 13 minuti alla fine della partita, sperando che non si dia recupero, o al massimo che decidano di darne poco, in cui l'Atalanta avrebbe potuto fotterci in qualunque momento, anche se erano calati tantissimo rispetto alla partita che stavano giocando nel primo tempo e per quasi tutto il secondo tempo.

I ragazzi riuscirono a mantenere il risultato senza far fare azioni all'Atalanta, tenendoli nella loro metà campo e nella loro difesa, rimanendo chiusi come dei ricci.

La Dea non riuscì mai ad avanzare fino alla nostra porta, perché Lorenzo rubava sempre palla a centrocampo per poi cercare di costruire qualche altra azione che poteva portarci sul 3 a 1, ma, sfigati quali eravamo, sbagliavamo tutte queste occasioni che sarebbero potute essere utili.

Ero felice che la squadra avesse vinto, ero molto soddisfatta di come avessero giocato questa partita.

"Soph, scusami per quello che sto per fare, ma è importante che io lo faccia" sussurrò Francesca per poi mettermi una benda sugli occhi.

"Matte, la guidi tu? Perché io ho paura di farla cadere" borbottò la mia amica a suo fratello.

"HEYY, TI HO SENTITA EH" urlai alla mia amica. Lei, in risposta, ridacchiò.

"Soprattutto....dove stiamo andando?" non feci parlare nè i gemelli Lovato, nè mia sorella.

Ero semplicemente curiosa di dove mi stessero portando.

"Vedrai, Soph, vedrai" a parlare fu Matteo, che iniziò a camminare davanti a me, o almeno credevo, visto che ovviamente non vedevo nulla.

Capii che lo stesse facendo seriamente solo dopo che mi aveva preso la mano, conducendomi in qualche posto a me sconosciuto.

Chissà dove avevano deciso di portarmi.

"Ma dai lo voglio sapere adesso", ma nessuno proferì parola, lasciandomi spiazzata dal fatto che nessuno dei 3 avesse risposto alla mia affermazione.

Cercai di capire meglio cosa mi stesse succedendo attorno grazie all'udito.

Non si sentivano più gli schiamazzi dei tifosi, i passi di tante persone che uscivano dallo stadio, i bergamaschi che bestemmiavano per aver perso la partita, le urla dei tifosi della Roma per aver vinto questa gara.

Si sentivano solo i miei passi accompagnati da quelli dei miei amici e di mia sorella.

Non sentivo nessun altro rumore oltre ai nostri passi, dove caspita potevamo essere?

L'unico posto che mi veniva in mente era dentro lo stadio, ma non ne ero sicura.

Dopo un po' Matteo si fermò di colpo senza avvisare, infatti gli stavo per cadere addosso. Se non mi avesse fermata prima, ora saremo finiti a terra doloranti.

"Perché ci siamo fermati all'improvviso?" chiesi.

Mi ignorarono tutti.

Ma che cosa stava succedendo? Non era mai capitato che mi ignorassero così, in questo modo.

Dopo non si quanto tempo sentii una voce sussurrare "portiamola da lui."

Chi poteva mai essere questo individuo? Non poteva essere il mio amico semplicemente perché non avevo riconosciuto l'accento veneto di Matteo. Era un accento di qualche altra zona d'Italia, ma in questo momento non sapevo quale potesse essere.

Parlando di Matteo, mi riprese la mano per poi iniziare a trascinarmi in un posto indefinito.

"MA LA SMETTI DI TRASCINARMI?" urlai io, stanca di essere scortata da una parte all'altra.

"Soph, tra poco siamo arrivati alla nostra destinazione, tranquilla" cercò di rassicurarmi Francesca, inutilmente.

"MA IO VOGLIO VEDERE DOVE SIAMO"

"Soph....ti prego. Vedrai che alla fine non ti pentirai di essere stata portata fino a qui, te lo posso assicurare. Lo so che questo tipo di cose ti danno molto fastidio, ma fai un'eccezione per una volta" replicò Francesca.

La sua voce mi sembrava strana, sembrava che stesse per piangere. Ora avevo paura di averla fatta stare male, di averla ferita in qualche modo. Non era mia intenzione fare ciò.

Dopo che Francesca smise di parlare, ci fermammo all'improvviso.

Sì. Era successo un'altra volta. Speravo che questa sarebbe stata l'ultima volta che succedesse una cosa così.

"Ora posso sapere dove siamo?" chiesi cercando di avere più informazioni.

"Ora sì che lo puoi sapere, Sophia" parlò qualcuno che non era Matteo. Era una voce totalmente diversa, con un accento che mi sembrava di Roma, o di quelle zone lì.

Però la voce, a parer mio, era molto familiare, mi sembrava di averla già sentita da qualche parte. Ma non ricordavo dove l'avessi già udita.

Probabilmente aveva fatto qualche intervista? Oppure qualche programma che avevo visto? Oppure qualche serie tv o qualche film che mi era capitato di vedere in passato?

Sentii i passi di quella persona sempre più vicini a me, si stava avvicinando a me per chissà cosa.

La cosa più probabile era che volesse togliermi la benda che avevo da chissà quanto tempo.

Infatti, poco dopo, questa persona mi tolse la benda.

Inizialmente non capii chi avessi davanti. Non riuscii proprio a metabolizzarlo.

Riuscii a metabolizzarlo al 100% dopo poco tempo che avevo gli occhi aperti.

Era Lorenzo.

Ero davanti a Lorenzo Pellegrini, il giocatore a cui volevo un bene dell'anima, a cui avevo scritto un sacco di cose dolci, che non avrei mai scritto a nessun altro, per cui mi ero fatta i pianti quando era fidanzato e per quando si infortunava, i migliori sorrisi quando pubblicava una foto o solo quando segnava un gol o solo quando lo vedevo in campo col sorriso stampato in faccia.

Lui era costantemente nei miei pensieri, incondizionatamente dal mio umore e da quello che stavo facendo.

Ero incredula che me lo trovassi davanti, le mani mi tremavano fortemente, senza che potessi controllarle più. Il corpo aveva appena iniziato a tremare come le mani, tra un po' sarei caduta a terra se solo qualcuno non mi avesse tenuto fra le sue braccia.

Sicuramente mi vennero gli occhi lucidi, e fra un po' sarei pure scoppiata a piangere, cosa di cui ero sicura al 100%.

Lo abbracciai di slancio, senza pensarci due volte, mentre piangevo dalla felicità per essere qui con lui, fra le sue braccia.

Ero sicurissima che sarebbe successo ciò, che sarei scoppiata a piangere senza contegno, senza che potessi controllare le mie lacrime copiose.

Appoggiai il mio viso sul suo petto, visto che lui era nettamente più alto di me.

Era leggermente più basso di Matteo: il capitano della Roma era alto 1.86, invece il numero 66 del Cagliari era alto 1.88, alla fine la differenza d'altezza era minima. Io ero poco più alta di 1.50. Mi sentivo molto bassa a differenza loro.

Credevo che questo fosse un pianto liberatorio,  che mi stava facendo più che bene per farmi dimenticare tutte le volte che non lo avevo fermato quando ero allo stadio del Cagliari, di cui mi ero pentita amaramente quando tornavo a casa in macchina.

Ogni volta piangevo perché non ero riuscita a fermarlo, che lo guardavo andarsene sempre più lontano da me, consapevole che lo avrei rivisto solo l'anno dopo probabilmente, se solo fossi riuscita a prendere un biglietto per venire a vedere il prossimo Cagliari-Roma.

Questo pianto serviva proprio per sfogarmi, per lasciare nel mio passato tutto quello che non avevo mai fatto per la mia timidezza, per tutto quello che ora ero grata di star provando grazie alla mia amica.

Ora non l'avrei più lasciato visto che, finalmente, ero fra le sue braccia, in cui mi sentivo protetta.

"Hey Sophia non piangere che mi fai stare male così, non riesco a vedere il tuo bellissimo viso e i tuoi bellissimi occhi con le lacrime che colano. Saresti molto piu bella con un sorriso stampato in faccia" mi calmò Lorenzo dopo che mi fui staccata dal lungo abbraccio che gli avevo dato.

Tolse le sue mani dai mie fianchi per spostarle sulle mie guance, per asciugarmi le lacrime che continuavano a scendere senza contegno, che non si fermavano manco se avessi voluto farlo io stessa.

"Posso chiederti foto e autografo?"

Riuscii a chiederglielo nonostante avessi un po' d'ansia che mi dicesse un 'no' secco. Lo avevo detto a voce un po' bassa, ma credevo che lui mo avesse sentito perché era molto vicino a me, che mi stava sorridendo.

Perché avrebbe dovuto dirmi di no dopo che mi aveva appena tolto le lacrime dal viso, consolandomi?

Prima che mi rispondesse guardai la sua maglia, sporcata dal poco trucco che mi ero messa prima di uscire dall'aeroporto di Bergamo.

"Ma certamente" replicò.

Feci un grande sospiro di sollievo,  avvicinandomi a lui per fare la foto assieme.

Francesca si mise davanti a noi per farci la fotografia che, probabilmente, avrei fatto stampare per attaccarle in camera mia appena tornata a Cagliari con gli altri.

"Ok, vi ho fatto un sacco di foto, poi te le mando su Whatsapp" disse la mia amica mentre le guardava, cercando di capire se ci fosse qualche foto sfocata o cose del genere.

Lorenzo prese un foglietto e una penna che si era procurato precedentemente per poi scriverci qualcosa.

Me lo consegnò con un sorriso.

Aveva scritto "A Sophia con affetto" per poi firmarlo in un angolo del foglietto.

Sorrisi a trentadue denti. Ero troppo felice di avere l'autografo del mio giocatore preferito. Lo avrei conservato con cura.

Lo avrei fatto incorniciare per non perderlo, cosa che avrei maledetto me stessa, se dovesse capitare una cosa del genere.

Sarei stata veramente assurda se dovessi perdere l'autografo del mio calciatore preferito in assoluto.

Lo apprenderò in un angolo della mia camera, vicino alle foto di me el Lorenzo, che ci aveva fatto Francesca.

"Se volete possiamo uscire tutti insieme" propose Matteo.

"Sì certo, dove andiamo?" chiese un altro ragazzo, che capii che fosse Matteo Pessina solo quando mi girai verso la sua direzione, di cui non mi ero accorta fino ad adesso.

Da dove cazzo era spuntato? Dopo avrei chiesto a Francesca, probabilmente aveva chiesto aiuto a lui per farmi questa sorpresa. Non mi ero minimamente accorta della sua presenza.

Ora ero più sicura che fosse stata lei a organizzare questa sorpresa per me, che non le avevo mai chiesto di farmi favori del genere.

Io le volevo un bene dell'anima, non me ne fregava niente se fosse la sorella di Matteo Lovato, io la vedevo semplicemente come 'Francesca'.

Era un'amica fantastica, ti aiutava quando ne avevo più bisogno, ti faceva ridere quando eri giù di morale, durante le uscite faceva la scema, da una ragazza dolcissima con tutti, premurosa, si preoccupava per il prossimo. In sostanza era la persona su cui potevi contare quando stavi passando un momento 'no'.

"Io credo che non verrò, per il semplice fatto che non ho voglia di fare la candela" disse proprio Francesca subito dopo che Matteo Pessina avesse smesso di parlare.

"Ma povera Fra, perché dovresti fare la candela?" le domandò il fratello incuriosito.

"Allora....la prima coppia sareste tu e Adele, la seconda Matteo e Vian, che sta per arrivare, e la terza Lorenzo e Sophia. Non voglio essere l'unica forever alone" disse con una smorfia disperata che faceva solamente quando si parlava di 'amore' e 'coppie di fidanzati', o comunque qualcosa che si riferisse a questo argomento.

"Ma te non hai Giorgio Altare, il difensore del Cagliari? State insieme, giusto? Qualche giorno fa ho visto un suo post, dove c'eri palesemente te nella foto, con una frase super romantica. Me l'ha fatta vedere Matteo tramite i direct di instagran" chiese Lorenzo.

Francesca arrossì violentemente....secondo me c'era qualcosa sotto, che non mi aveva assolutamente detto.

Probabilmente lei e Giorgio si erano fidanzati, ma volevano aspettare prima di renderlo ufficiale sui social.

"In realtà no, Lorenzo. Io e Giorgio siamo solo amici. Magari quella foto inganna: infatti Leonardo Pavoletti, un compagno di Giorgio e di mio fratello, ci è cascato e ha fatto la tua stessa domanda nei commenti del post. Io neo commenti ho risposto di no perché è la verità, non scoraggiatevi, non so se lui mi ami."

"Io inizio ad andare in hotel va, non ho tanta voglia di uscire stasera. Matte, se hai bisogno di qualcosa scrivimi. Ciao, ragazzi, buon divertimento" aggiunse la mia amica per poi dirigersi verso l'uscita dello stadio dell'Atalanta.

La vidi un po' giù di morale, a parer mio c'era qualcosa che non andava, ma non sapevo cosa di preciso.

Glielo avrei chiesto domani mattina, perché ormai era già sparita dalla mia vista, andata verso l'uscita del Gewiss Stadium, per poi dirigersi verso l'hotel in cui avremo dormito io, lei, Matteo e Adele per questa notte.

Io e gli altri andammo in un parco per parlare un po' fra noi, senza essere disturbati da altre persone.

Ogni tanto io e Lorenzo ci lanciavamo qualche sguardo abbastanza innocente al dire il vero.

"Secondo voi che ha mia sorella? A parer mio è innamorata di Giorgio, e anche palesemente al dire il vero, lo si capisce dagli sguardi che gli manda, ma ha paura che succeda la stessa cosa accaduta con il suo ex ragazzo. Non sgo qui a spiegare nei dettagli perché è una cosa abbastanza privata" borbottò Matteo a un certo punto.

"Concordo, Matte. Secondo me c'è qualcosa che non va, quando se ne è andata era triste, o almeno io ho percepito questo dal suo comportamento, abbastanza strano da come si comporta solitamente, si vedeva lontano un miglio che c'era qualcosa di strano, che non andava. Proviamo a parlarci domani ok?" dissi io, sinceramente.

"Va bene, forse è meglio che parliamo d'altro no?"

Annuimmo tutti e parlammo di cose varie, fra cui anche di come Matteo e Adele sembrassero che stessero insieme.

Alcune persone che passavano di li pensavano che fossero fidanzati, da come si stavano comportando.

Loro erano molto imbarazzati, e io e gli altri ridevamo come dei matti, mettendoli ancora più a disagio.

Francesca in questo momento avrebbe perso entrambi i polmoni, e questa cosa come minimo l'avrebbe raccontata ai suoi figli, se solo avesse potuto.

Nel menre che parlavamo della partita giocata questa sera, Lorenzo mi stava fissando con un sorriso a trentadue denti.

Francesca mi avrebbe detto che lui sembrasse un maniaco, inquietante, un pazzo psicopatico, uno stalker, un malato mentale, tipo un sociopatico o uno con personalità multiple, come il protagonista di 'Split", un film su Netflix, o addirittura un serial killer se fosse stata qui con tutti noi a parlare del più e del meno.

Anche io lo guardai, per poi ricambiare il suo sorriso.

Lui si girò dalla mia parte, sempre sorridente, iniziando a parlare fra di noi, ormai gli altri per noi due non c'erano più.

Per noi ormai erano letteralmente scomparsi, erano diventati invisibili, era come se ne fossero andati in un altro posto del mondo.

Parlammo di un sacco di cose, che ci frullavano per la testa in quel momento, in quel istante.

Era come se io e Lorenzo fossimo in un mondo tutto nostro, creato appositamente per noi due, senza che niente e nessuno potesse interrompere le nostre chiacchere, i nostri occhi che si incontravano spessissimo, i nostri sorrisi a trentadue denti che nascevano spontaneamente.

Sentivo che io e lui ci saremo legati tantissimo in amicizia, mi sembrava di conoscerlo da sempre, come se fossimo migliori amici sin da bambini, come se ci conoscessimo dalla tenera età. Non mi aspettavo che per alcune cose fossimo veramente simili, ma per altre meno.

Lui, ad esempio, era molto diffidente e misterioso, che si apriva solo con persone di cui si fidava ciecamente, difficilmente si apriva con le altre persone.

Anche io facevo molta difficoltà ad aprirmi con gli altri, ma quandomi sentivo a mio agio diventavo la persona più estroversa su questa terra.

Per Lorenzo ero diventata una persona "speciale e/o affidabile", visto che con me si era aperto veramente come se nulla fosse, a detta sua. Non mi aspettavo di essere considerata così da lui, dopo neanche un giorno che ci conoscevamo.

Nonostante ciò, ero contentissima che si stesse aprendo così tanto con me, nessuno a parte Francesca, Matteo, Adele e alcune delle mie amiche più strette lo aveva mai fatto.

In quel momento stavo toccando il cielo con un dito, mi consideravo un angelo nel paradiso da chissà quanto tempo.

Ero più felice che mai, mostravo gioia da tutti i pori, i miei occhi erano dilatati perché lo amavo, forse lo avevo sempre amato, in tutti i sensi.

Non solo come calciatore, ma anche come persona, nonostante non lo conoscessi -personalmente- fino a oggi, il giorno in cui avrei potuto dire di aver incontrato il mio calciatore preferito in assoluto.

Prima di tornarmene in hotel con Matteo e Adele, Lorenzo mi diede il suo numero di telefono.

Voleva assolutamente sentirmi dopo questa giornata passata assieme.

Potevo dire di aver passato la serata più bella che avessi potuto desiderare in vita mia.

Questo momento lo avrei conservato per sempre nel mio cuore.








Nota autrice:
Eccomi qui con un altro capitolo!
Spero che questo capitolo vi piaccia, visto che questo è il più lungo che io abbia mai scritto per questa storia, e anche in generale, spero vivamente che vi sia piaciuto e che io sia riuscita a trasmettere le emozioni di Sophia nell'incontrare il suo calciatore preferito. Ho letto e riletto questo capitolo chissà quante volte, per revisionarlo, per riempirlo di dettagli che prima non mi era saltato in mente di aggiungere (vi giuro che ho amato scriverlo, tantissimo💘).
Vi voglio bene💘

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