Vaganti
Sto correndo e non so nemmeno da quanto lo sto facendo.
Il sangue viene pulsato nelle mie arterie ad una velocità e potenza incredibili, di cui non mi sarei mai capacitata di possedere; lo fanno per permettere alle cellule di ricevere la giusta quantità di ossigeno nei corretti intervalli di tempo, in modo da far continuare a lavorare il mio corpo e funzionare, mentre l'anidride carbonica viene espulsa. L'aria fredda che inspiro con la bocca passa dal raffreddarmi la gola a gelarmi il cuore, trasmettendo quella freddezza in ogni battito. Tutto questo è dovuto alla mia poca resistenza fisica, eppure non mi sento stanca, non sento il fiatone e le gambe farsi man mano più pesanti passo dopo passo, secondo dopo secondo; non sento la stanchezza attaccare ed invadere il mio corpo. Tutto merito dell'adrenalina che scorre nel mio sangue - in circolo da quando ho cominciato a correre - e che attutisce o elimina del tutto i sintomi provocati dalla mia mancanza d'allenamento. D'altra parte non ho scelta: o continuo a muovere le gambe soppravivvendo oppure mi lascio andare alla stanchezza morendo; loro non me lo permetterebbero. Loro, anche se non si possono classificare come qualcuno, ma come qualcosa. Un tempo lo erano, persone che vivevano in vari luoghi, chi più vicino chi meno, scorrendo i minuti preziosi delle loro vite con tranquillità e un pizzico di frenesia, comunque ignari di cosa sarebbe mai potuto accadere; è successo a gente di entrambi i sessi - uomini e donne -, di tutte le etnie, età, non ha risparmiato nessuno. Si è diffusa con una velocità incredibile, nessuno sa chi sia il paziente zero, in troppi sono stati contagiati in breve tempo; non si conosce neanche il reale motivo della dispersione di questa malattia mortale, ma una cosa è certa: non doveva diffondersi in questo modo. Quando tutto è cominciato alla radio, in televisione e su tutti gli apparecchi elettronici accesi in quel momento avevano trasmesso la notizia che una malattia si stava diffondendo in quello stesso istante, uccidendo chiunque ne fosse colpito o contagiato; la malattia si stava rafforzando persona dopo persona, invece di indebolirsi sempre di più fino ad essere uccisa dagli antibatteri, com'era stato previsto.
Lì era scoppiato il caos.
La gente aveva cominciato ad agitarsi, scappava cercando un posto migliore in cui andare, ma i treni, gli aerei e qualsiasi altro mezzo di trasporto era stato bloccato da coloro che erano stati infettati. Non si poteva fuggire da tutto, piano piano la consapevolezza fece in modo che a tutti fosse chiaro qual era l'unico modo di vivere, andare avanti: uccidere o al minimo allontanare da se stessi ed il resto del gruppo - se c'era - tutte le persone infette o coloro che metteva a rischio la propria vita. Bisognava soppravvivere cercando medicinali e provviste, saccheggiando negozi; ed infine trovare un posto sicuro in cui stare, che tenga al sicuro almeno dagli infetti.
Malati, infetti, zombie, senzapelle, vaganti; hanno molti nomi, anche se io preferisco definirli con l'ultimo, dà proprio l'idea che camminino, vaghino per il mondo cercando le loro prede. Quest'ultime altro non siamo che noi, persone non contratte dalla malattia e costretti a scappare e uccidere anche persone a noi care e conosciute per non morire, perire sotto la loro fame di carne umana. Come procede tutto il processo di infettazione? Semplice, il germe si diffonde dal punto in cui si è stati morsi o graffiati, arriva al cervello per spegnerlo ponendo fine alla vita della persona colpita; però fa' una magia: la riporta in vita. L'unica differenza è che non sono più quelli di prima. Subiscono una mutazione, l'unica parte che riprende a funzionare è quella del cervello che regola il movimento degli arti e del resto del corpo, gli altri organi restano spenti, invecchiando in un corpo che non ha più età o colore. Sono carnivori, addirittura cannibali, non importa se la carne che gli finisce sotto mano è di animale o umana, basta solo che sia carne calda e ancora pulsante di vita. Ho perso tutta la mia famiglia a causa loro, tutti i miei amici perduti in mezzo alla loro fame insaziabile, spingendomi ad andare oltre ed affidare la mia vita a gente che un tempo non avrei mai nemmeno degnato di uno sguardo, perché diversa da me. Il problema più grande non è stato solo la comparsa di questa malattia che lentamente distrugge tutto il genere umano, ma il fatto che quest ultimo abbia distaccato ulteriormente i due tipi di persone che esistevano già prima che tutto succedesse: i buoni e i cattivi, anche se a volte queste due categorie si confondo insieme dando origine ad una terza, di cui non si riesce bene a definire il nome. La prima categoria sono quelle persone che facilmente vengono soppresse, muoiono prima del tempo debito, perché troppo deboli per affrontare tutto e tutti; invece la seconda categoria è completamente il suo contrario, arrivano ad essere addirittura cannibali pur di sopravvivere, uccidono senza pensarci due volte e senza pesi sulla coscienza. Io faccio parte di uno dei pochi gruppi della terza categoria, che sono un intermediario tra le prime due tipologie, un misto di persone che uccidono quando serve - anche se preferiamo farlo solo con i vaganti -, ricorriamo all'omicidio solo se necessario. Di fronte a me intravedo una casa ora e qualcuno tende una mano da una porta aperta, ma pronta per essere chiusa: è Carl, un ragazzo conosciuto quando tutto è iniziato, con cui ho condiviso ogni cosa, dalla prima fuga dai vaganti al primo bacio per entrambi. Sono ormai quattro anni che conduciamo questa vita, lui ne aveva tredici ed io dodici quando sono stata salvata dalla pietà del mio vicino di casa, che mi aveva sentita urlare da dentro la mia mentre i miei genitori mi inseguivano e provavano a mangiarmi. Egli è un ex-militare e il padre di lui, oltre alla cosa più vicina ad una figura paterna per me. Afferro la mano e mi lascio trascinare tra le braccia del ragazzo, sentendo la porta sbattere dietro di me e qualcuno che sposta qualcosa - probabilmente un mobile - per bloccare al meglio fuori i vaganti.
«Sei stata una stupida, ti avevo detto di non farlo.» Mi dice con voce tremante, mentre le lacrime cominciano a scendergli lungo le guance scalfite da un graffio recente. Ha i capelli più lunghi di quanto dovrebbero essere, unti a causa del sudore e della sporcizia e di un castano miele molto simile al mio. Una volta mi aveva confidato che era sua madre che glieli tagliava e per questo non permetteva a nessuno di sistemarglieli, solo lei poteva. Glieli accarezzo, ricordandomi tutti i momenti in cui vi affondo le mani quando ci baciamo, arricciandoli intorno alle dita e giocando con le ciocche. Gli occhi, ora lucidi per le lacrime, sono grigi con varie sfumature, come le nuvole in cielo: tutto dipende dal suo stato d'animo, passando dal grigio più chiaro delle belle giornate a quello più scuro delle peggiori tempeste.
«Non ce la facevo più a scappare e nascondermi.» Gli mormoro come rassicurazione, per poi staccarmi da lui quel tanto che basta per guardarlo, scoppiando a ridere.
«Che hai da ridere? Potevi morire!» Mi rimprovera Carl, facendomi ridere solo ulteriormente al suo sguardo e tono di voce sconcertato.
«È questo il punto!» Specifico, scuotendo la testa con un sorriso sollevato. «Ce l'ho fatta, gli sono scampata. E sono tornata da te.» Sussurro l'ultima frase vicino al suo orecchio, prima di far combaciare le nostre labbra.
È questa la cosa fondamentale, perché se sono riuscita a scappare oggi come nei giorni precedenti, vuol dire che posso farlo anche in quello dopo e quelli seguenti, per poi tornare da lui, una delle poche ragioni per cui la mia vita vale ancora di essere vissuta. Ma questo non vale solo per me, ma anche per il gruppo di cui faccio parte, dal più giovane al più anziano; non importa cosa accadrà, basta che rimaniamo sempre insieme e compatti e ce la potremo fare. Perché siamo sopravvissuti.
Sono sopravvissuta.
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