Revenge

ATTENZIONE! CONTENUTI FORTI (COME BULLISMO, OMICIDIO O RIFERIMENTI A PENSIERI SUICIDI), SE PARTICOLARMENTE SENSIBILI SI PREGA DI NON LEGGERE LA ONE SHOT. UOMO AVVISATO MEZZO SALVATO.

***

Passo lentamente una lingua sulle labbra sporche di sangue, assaporando quelle gocce che sono riuscite a raggiungerne la superficie screpolata. Il gusto ferroso mi pervade il senso del gusto, strappandomi un sorriso di soddisfazione. Non mi sono mai sentita più libera di questo momento, un senso di onnipotenza mi pervade completamente.

Il liquido scarlatto, ancora fresco e acceso, sgocciola dal coltello che stringo tra le mani, in sintonia con il ticchettio dell'orologio posto sul muro alla mia sinistra, sopra il tavolo da pranzo in cucina. Il copro davanti a me ormai è esanime, ho potuto sentirne l'ultimo respiro pochi attimi fa. Il senso di sollievo che ho percepito nel momento in cui l'aria è uscita dai suoi polmoni, senza che quella pulita potesse farvi ritorno, è impagabile, nulla me lo ha mai generato in vita mia.

Alexandra Cooper. Universitaria al secondo anno. 20 anni, 21 in autunno. Capelli biondo scuro, occhi marroni. Ora del decesso: 23:03 del 10/07/2022. Causa: dissanguamento a causa di un taglio alla giugulare.

Questi sono gli elementi tecnici che il mio cervello registra, come una macchina della polizia che esamina il corpo e tenta di scoprirne il colpevole. Sinceramente, però, non mi importa se mi scopriranno, perché il mio obiettivo l'ho già raggiunto: eliminare colei che, insieme alle sue "amichette del cuore", di cui poi non si è saputo più niente, avevano contribuito a riempirmi le notti di incubi. Certo, se il mio piano va a buon fine ben venga, vero.

Era la prima elementare quando ogni cosa era cominciata. Le parole sono armi pericolose, lame affilatissime che, usate nella maniera sbagliata, possono lacerare l'anima di una persona. La mia, purtroppo, porta tutt'ora cicatrici che non possono in alcun modo essere eliminate, solo nascoste. Ogni singolo suono rivoltomi solamente per insultarmi, deridermi in base alla forma che aveva il mio corpo, al peso che ne caratterizzava, nonostante i miei sforzi di fare amicizia ed essere una persona buona e gentile con chiunque, rimbombano tutt'ora nella mia testa, un tintinnio incessante che mi perseguiterà per il resto dei miei giorni.

Lei, Alexandra, era a comando di quel gruppo di bambini che si divertivano a giocare con le mie debolezze e fragilità, non curandosi della remota possibilità che, in quella maniera, potessero distruggermi. Finché si divertivano loro, che problema c'era nel farmi soffrire, deturpandomi l'anima con le mille accoltellate che mi assestavano ogni volta lo ritenessero possibile, se non necessario?

Finalmente sono in grado di riprendermi la mia vendetta. Ho ideato ogni cosa nei minimi dettagli: con una scusa, le ho chiesto di poterci incontrare a casa sua, sul tardi, in maniera tale da attirare meno attenzione possibile. Ci sono sempre gli spioni, ma meno sono meglio è. L'ho addormentata con del forte sedativo che le ho messo nell'acqua, sfruttando il bisogno di bere molto a causa del caldo afoso. L'ho legata a una sedia, per poi ferirla continuamente, piccoli graffi che, alla fine, ricalcandoci sopra, hanno portato a tagli sempre più profondi e sanguinanti. 

Quello che per anni avevo percepito nell'anima, lei l'aveva sentito a livello fisico. Ci ho messo un po' prima di creare lacerazioni abbastanza profonde, vederla soffrire in quel modo mi aveva donato un senso inebriante di felicità e liberazione, un grosso peso che veniva lasciato andare. Finalmente poteva comprendere quello che avevo provato io. Non volevo, però, avere il dubbio che sopravvivesse, per tale motivo l'avevo slegata dalla sedia su cui l'avevo posta, posandola a terra per poterle tagliare la gola. Il suo ultimo respiro era arrivato qualche secondo più tardi, successivamente a una serie di rantoli in cui il sangue aveva preso il posto dell'aria.

Saperla morta mi causa sollievo, tanto sollievo. Non dovrò più avere la paura di incontrarla, con il terrore che possa ferirmi ancora, anche peggio di come aveva fatto in passato. Non avrò più problemi con lei perché, tanto, non potrà più darmi fastidio in alcun modo, adesso.

Ma tutti i danni, i problemi e i dubbi che mi ha lasciato, non spariranno mai. A causa sua la notte fatico a dormire, sognando di persone che, magari anche a cui tengo, mi prendono in giro per il mio corpo, nonostante i miei vani sforzi di cambiarlo a mio piacimento, ma senza successo. È colpa sua se sono completamente terrorizzata all'idea di uscire o anche solo di conoscere persone nuove, perché avrò sempre il timore che possano giudicarmi per il mio aspetto, invece che per la personalità. È merito suo se ho vissuto anni in cui non mi azzardavo a uscire di casa per paura di cosa avrebbe detto la gente per strada, del giudizio che avrei ricevuto. Se quando mi guardo allo specchio vedo solo un'inutile palla di lardo che non sa fare nulla, se non mangiare e lamentarsi. Se quando faccio amicizie ho il terrore che l'altra persona possa lasciarmi da un momento all'altro, sentirmi abbandonata perché si vergogna ad andare in giro con una come me, lasciandomi per l'ennesima volta da sola e in balia dei miei pensieri e delle mie paranoie.

È solo grazie a lei e ai suoi "amici" se sono arrivata a pensare cose indecenti, a volermi fare del male per rimpiazzare il dolore morale con quello fisico. A volermi togliere la vita perché stufa di stare male, di soffrire peggio di un cane e vivere uno strazio che era in grado di lacerarmi solo l'anima. Me la immaginavo anche la sua voce, magari mentre mi diceva che ero troppo fifona o stupida per fare veramente una delle cose negative che pensavo, troppo pigra per compiere un atto tanto facile.

Per anni, guardandomi allo specchio, ho creduto di essere io il vero mostro della situazione. L'essere umanoide, schifoso, da cui tutti scappano e a cui nessuno ha il coraggio di avvicinarsi, perché troppo brutto o grosso. Ero quella di troppo, la bambina strana a cui non piacevano i gossip ma i Pokemon, quella che non aveva veri amici e che quelli che credeva tali l'avevano abbandonata uno ad uno, lasciandola completamente in balia di se stessa e dei suoi mille complessi, ancora. Ero sempre stata quella che portava la famosa "malattia" che potevo diffondere anche con solo un tocco e che, in un modo o nell'altro, bisognava eliminare dal proprio corpo nel caso se ne fosse venuti a contatto, che fosse passandola a qualcun altro oppure su altri oggetti come il muro.

Ero la bambina che piangeva continuamente in un angolino perché si sentiva sola, sperando solamente di avere qualcuno con cui giocare ad acchiapparella nei giorni in cui i suoi "amichetti" mancavano, quella che preferiva di gran lunga isolarsi che passare del tempo con delle persone che non facevano altro che deriderla e ferirla.

Le lacrime mi bagnano il viso copiosamente, attraversando la guancia e percorrendo il tratto segnato dal mento, fino a inumidirmi il collo. Non sto piangendo perché ho appena ucciso qualcuno, si trattano di gocce di rugiada amare come il caffè, suscitate dai ricordi che mi stanno affollando la mente in pochi secondi.

Per anni la ragazza morta davanti a me mi ha fatto credere di essere l'essere mostruoso che si era convinta io fossi, fino al punto che aveva fatto credere anche me di tale affermazione. Ero un mostro da cui tutti dovevano stare distanti, nessuno aveva mai obiettato a riguardo, anzi, chiunque annuiva in segno di sostegno.

«Forse, da un lato, sono veramente il mostro che volevi credere che io fossi» le mormoro con disprezzo. Vorrei sputare sul cadavere, ma dopo come si spiegherebbe il mio DNA su una scena del crimine? Meglio non rischiare.

Afferro il bicchiere da cui ha bevuto il sedativo e svuoto il resto nel lavandino, per poi lavare a fondo il contenitore di vetro, asciugarlo e posarlo al suo posto. Chiudo tutte le tende, in maniera tale che le persone esterne non si facciano troppe domande. Osservo l'orologio, notando che tra meno di un'ora ho un aereo da prendere. Avevo calcolato che, al massimo, mi ci sarebbero volute alcune ore prima che qualcuno avesse avuto anche solo un minimo dubbio sulla sua assenza, in maniera tale da poter lasciare lo stato e andare in un altro, sotto falso nome, dove nessuno mi avrebbe trovata o cercata. Cambiare identità non è un problema, anzi, magari mi aiuterà a ricominciare una vita da zero, migliore della precedente.

Prima di andarmene definitivamente, tuttavia, osservo un'ultima volta la scena: il corpo, scomposto, è pieno di lividi e tagli, anche abbastanza profondi, ma per nulla mortali. Gli occhi spalancati sul vuoto, privi della solita luce che invece sta animando i miei, mai stati così brillanti in vita mia, accompagnano una bocca completamente aperta, in un ultimo ed estremo tentativo di chiamare aiuto. I capelli biondi, così come molte parti del pigiama corto bianco, perfetto per la stagione estiva, sono bagnati dal suo stesso sangue, leggermente acido come la sua personalità.

«Le parole fanno più male di quanto credi, una fa peggio di anche solo una delle accoltellate che ti ho inflitto» le sussurro sprezzante, come se in questo momento io sia sicura che possa sentire l'insegnamento che le sto impartendo. «La mia anima è lacerata per sempre a causa tua, non so quante volte l'ho dovuta ricostruire o ricucire insieme i pezzi, solamente perché tu ti divertivi a farla a pezzettini come se fosse carta straccia. Di come le paranoie che mi hai inculcato nella mente non mi permettano di vivere una vita serena, come vorrei, ma mi obbligano a condurre un'esistenza dominata dal terrore e dall'ansia per praticamente qualsiasi cosa, anche la più piccola e insignificante. Se continui a chiamare qualcuno mostro, alla fine crederà veramente di esserlo. I mostri peggiori siamo noi esseri umani e il modo scorretto con cui decidiamo di usare le parole a nostra disposizione. Senza siamo impotenti, con ci sentiamo superiori agli altri, un gradino più su. Mi credevi un mostro? Eccotene la prova ora, complimenti, avevi ragione. A che prezzo, però? Ti prego solo di tenere a mente un piccolo dettaglio che non dovrai mai più dimenticare: il mostro che sono diventata è quello che hai plasmato tu attraverso l'uso improprio e malvagio delle tue nefande parole, Alexandra. La tua stessa creatura ti si è ribellata contro, alla fine dei giochi.

La vera colpa della tua morte non è mia, ma tua.»

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