Ragazze

Cazzeggio come al solito su Instagram, viaggiando tra le miriadi di foto che per gli operatori sarebbero state "ottime" per me. Dopo essermi annoiata di quelle solite battute squallide e di quelle citazoni e vari riferimenti fandom, trasferisco la mia attenzione su una page conosciuta poco tempo fa. Nonostante il mio interesse verso i suoi contenuti, ho deciso di non seguirla, dato che ci sono foto un po' spinte a volte - anche se censurate -; penso ai commenti dei miei amici. O meglio, di quelli che considero amici, visto che quelli veri di solito sono coloro che si contano sulle dita di una mano, che ti vogliono bene senza nessun pretesto, senza nessun cambiamento.
Ma questo è un altro discorso.
Ritornando alla mia vita, cosa che non è mai importato a nessuno - dato che le persone non si sono mai fatte troppi scrupoli a prenderla e accartocciarla come una pallina di carta -, sfoglio le nuove immagini.
Non ce ne sono.
Allora decido di ritornare a quelle precedenti, le guardo con ammirazione, notando quei corpi di ragazze perfette uniti in un bacio o in un abbraccio con un ragazzo perfetto. Adoro quelle foto, mi fanno provare amore, trasudano affetto e bisogno l'una dell'altro.
Allora lì, penso a me.
Mi faccio del male morale, mentale, diecimila volte peggio di quello fisico per un semplice motivo: il secondo, dopo un po' di tempo svanisce e te ne dimentichi; il primo ti rimane incollato alla pelle come se fosse un secondo strato, solo che al posto di proteggerti ti distrugge, logorandoti sia da fuori che da dentro.
Continuo quel male verso me stessa cercando nelle immagini in cui la page è stata taggata: la storia si ripete. Guardo quelle ragazze bellissime: i capelli lunghi e fluenti, perfettamente intonati con gli occhi grandi e da cerbiatto, chiari o scuri che siano, con un'innocenza ed un amore verso il mondo unico.
Allora, una volta finito di torturarmi, vado in camera mia, apro l'armadio e mi guardo allo specchio, tirandomi i capelli crespi e premendo i palmi sugli occhi piccoli e non simmetrici, di un colore sporco.
Poi tocca al mio corpo, la parte peggiore, non è solo il viso il problema. Mi tolgo la maglia o la felpa, insomma, qualsiasi indumento che mi possa coprire il torso vola via, rivelando il mio seno troppo prosperoso e i miei fianchi intorno alla pancia.
Dio, quanto odio quella parte.
Con un paio di dita prendo con disgusto quella ciccia molle che non fa' altro che strabordare dai jeans o qualsiasi pantalone indossi; è quel grasso difficile da eliminare, perchè nè le diete che seguo e nè l'esercizio che faccio lo mandano via, rimanendo lì, come a ricordarmi che sarei sempre stata una sola e stupida obesa.
E lì scoppio a piangere.
Piango come una fontana approfittando del fatto di essere sola in casa, dato che il lavoro dei miei genitori li occupa da mattina presto fino a tardo pomeriggio. Piango per la ragazza perfetta che non potrò mai essere, data la mia stupidità di trasgredire le diete per puro piacere e ingordigia.
Ma il cibo mi fa' stare bene ed era quello il problema maggiore.
Mia nonna è morta qualche anno fa, avevo solo dodici anni quando se n'è andò la mia migliore amica, l'unica che mi avesse sempre accettato per quella che ero, senza alzare lo sguardo quando passavo per seguirmi, mettendosi a ridere successivamente per la mia corporatura.
No, lei era dolce.
Mi voleva bene, era colei che sì, mi guardava con faccia storta se non rispettavo la dieta, ma che poi si metteva a ridere e mi accarezzava la testa, dicendomi che per quella volta avrebbe chiuso un occhio.
Quando lei se ne andò portò via una parte di me.
Quella del coraggio.
Quella della voglia di andare avanti con la mia vita.
Sai nonna, questi quattro anni sono stati orribili senza di te. Ho cominciato la scuola superiore, saresti stata di sicuro fiera di me, ho voti alti e frequento lo stesso liceo che facevi tu, per sentrti un po' più vicina.
Amici? Quali amici?
Le persone hanno solo avuto il coraggio di guardarmi ed insultarmi, non glien'è mai fregato niente di me o della mia persona, se dovevano calpestarmi lo facevano tranquillamente.
Ho passato questi quattro anni a pensarti nei momenti bui, quando piangevo pensavo a te e al momento in cui mi dicevi di non farlo perchè nessuno meritava le mie lacrime se mi aveva fatto soffrire, allora sorridevo; ma una volta resami conto che tu non eri lì per me, ricominciavo a piangere.
I miei non si sono mai accorti di nulla.
Passano il giorno al lavoro e alla sera mi trovano seduta sul divano a guardare la televisione. Bastavano dei semplici: «Ciao.»
«Ciao.»
«Com'è andata oggi?»
«Bene, te?»
«Bene.»
E basta.
E ora eccomi qua, di fronte allo specchio del bagno in intimo a guardare la mia stupida e brutta figura, le lacrime a tingere il foglio su cui sto scrivendo. Non sono più la bambina di sette anni che giocava nel parco gioconda ed innocente.
Ora sono cresciuta.
Ho capito la crudeltà celata nel mondo a noi bambini, che una volta cresciuti e capaci di capire quello che ci accade intorno ci travolge e uccide chi non è abbastanza forte.
Adesso è tornata per uccidere me. Finalmente qualcuno si interessa alla mia persona.
Sai nonna, mi ricordo ancora cosa mi dissi su quel stupido lettino d'ospedale, tuo letto di morte. Mi dissi di ricordarmi che ero bella, che non dovevo preoccuparmi del mio aspetto perché avrei trovato qualcuno che l'avrebbe accettato, che avrebbe amato me, dove tutte le imperfezioni umane si incontrano formando un essere inguardabile a mio parere.
Mi dicesti di non farmi soppraffare dalle parole vuote delle altre persone, ma di credere solo e soltanto in me stessa, di ascoltare il mio cuore.
L'ho fatto, lo sto seguendo proprio adesso.
Accanto al lavabo, di fronte allo specchio, vicino a me e a questa lettera ci sta un coltello, ma non è un coltello qualsiasi: è quello che ti regalò tua madre, nonna, quel coltello che mi hai sempre detto che trattavi come un cimelio di innestimabile valore, usandolo solo nelle occasioni speciali.
Invece dietro di me, c'è una vasca piena d'acqua calda, perfetta in un freddo giorno d'inverno per riscaldarsi.
Già, peccato che oggi sia piena estate. Non vedo l'ora di farmi un bagno.
Che cosa voglio fare con il tuo coltello?
Tranquilla nonna, non te lo dirò adesso, non ce n'è bisogno.
Sto per venirti a trovare, te lo racconterò appena ci vedermo.
Non vedo l'ora.

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