04. Un cracker per un amico
Prima di incontrare Giacomo feci la conoscenza di Chester.
Illuminata dal vecchio lampione in quel luogo dove solo io avevo messo piede negli ultimi anni, il mio cervello si era finalmente sbloccato come quando si trova la giusta combinazione di una cassaforte. Nella mano sinistra stringevo la penna che continuava a scrivere senza sosta mentre, nella destra, stringevo tra la punta dell'indice e medio la canna portandomi di tanto in tanto il filtro alla bocca. Immersa totalmente nella scrittura udii troppo tardi il rumore di passi avvicinarsi: chiunque sia, mi dissi, vuole raggiungermi in fretta.
Le mie uniche opzioni erano tentare una fuga disperata dal lato opposto della boscaglia oppure attendere e scoprire chi o cosa sarebbe venuto a farmi visita. Stavo ancora formulando questo pensiero nella mia mente quando l'erba alta che delimitava il perimetro della radura si mosse, lasciando passare un cane bianco dal grande naso buffo. Per quanto l'animale fosse ben piazzato, con quelle spalle larghe e i muscoli della schiena gonfi per la corsa, non mi sentii minimamente minacciata dalla sua presenza. Devo sottolineare che Chester, sin dal nostro primo incontro, non mi diede mai motivo di temerlo; infatti, dopo avermi vista, si fermò a qualche metro da me e si mise seduto squadrandomi con i suoi piccoli occhi neri. Allungai piano una mano verso la borsa dove tenevo sempre un pacchetto di cracker nel caso in cui mi venisse fame. Il movimento non fece innervosire il cane che rimase educatamente seduto a scrutarmi. Estrassi i cracker, aprii la confezione, ne spezzai uno a metà e mi piegai di poco in avanti offrendoglielo.
«Ti piacciono?» domandai scioccamente, come se lui potesse rispondermi.
Chester si avvicinò a piccoli passi, diede un'annusata al cracker e poi, senza la foga che contraddistingue solitamente i cani, mangiò dalla mia mano iniziando a scodinzolare. Dopo l'altra metà di cracker diventammo definitivamente amici: si appoggiò con la spalla al mio polpaccio e si fece accarezzare. Notai una medaglietta sul collare nero e provai a leggere cosa ci fosse scritto ma ogni volta che allungavo la mano per afferrarla lui me la leccava, non so se per comunicarmi affetto o perché fossero rimaste delle briciole sul mio palmo.
Passammo cinque minuti in quel modo prima di sentire dalla boscaglia una voce rauca gridare: «CHESTER! CHESTER, DOVE SEI?» e il cane rispose con un ululato fiero, quasi da lupo. I due continuarono a comunicare in quel modo fino a quando, proprio da dove era sbucato Chester, arrivò anche Giacomo.
L'amore a prima vista ha dato da mangiare a tanti attraverso libri, film, poesie, canzoni, rappresentazioni teatrali, quadri, sculture e chi più ne ha più ne metta; tutte queste opere, per quanto diverse possano essere tra loro, hanno un filo conduttore che le accomuna: quella sensazione magica che si prova nel vedere per la prima volta la famosa "persona giusta". Ogni volta che usciamo di casa incrociamo centinaia di persone: con alcune ci soffermiamo a parlare qualche istante, come ad esempio i cassieri del supermercato, mentre altre le guardiamo distrattamente superandole sul marciapiede per poi cancellarle pochi istanti dopo dalla memoria. Nonostante ciò, chiunque descriva l'amore a prima vista sostiene che la visione della persona giusta sia ben diversa dagli altri incontri: un'energia invisibile e inspiegabile si sprigiona dalla pancia irradiando di calore tutto il corpo, il cuore inizia a battere all'impazzata mentre il cervello, contro ogni logica, dichiara che quella, sì proprio quella persona che non hai mai visto prima d'ora e di cui non sai un bel nulla, è la persona con la quale condividerai il più grande amore della tua vita.
Per me non fu affatto così: quando vidi Giacomo sbucare dall'erba alta per la prima volta, nonostante Chester fosse stato educatissimo e giocherellone nei miei confronti, il mio unico pensiero fu quello di cantargliene quattro chiedendogli se fosse normale per lui perdere di vista un cane così grosso che avrebbe potuto fare del male a qualcuno. Non lo feci solo perché mi distrassi guardando i suoi tatuaggi; forse, se non li avessi notati e avessi detto ciò che mi passava per la testa in quel momento, il nostro rapporto si sarebbe ridotto a un veloce battibecco e non lo avrei più rivisto. Ringrazio ancora oggi dunque di aver notato da sotto la maglietta a maniche corte le braccia interamente colorate; in quel momento ero troppo lontana per osservare bene i disegni ma l'avrei fatto in un secondo momento ponendogli mille domande a riguardo. Giacomo era piuttosto alto e magro, senza nemmeno un accenno di capelli. Portava una barba corta ma dei baffi un po' più folti sul volto scavato. Il pensiero che il suo cane avesse un naso così grosso e che il suo fosse decisamente corto mi avrebbe fatta sorridere se non fossi stata arrabbiata nei suoi confronti. Capii immediatamente che non fosse un grande atleta perché, la semplice ricerca del cane nella boscaglia, gli aveva provocato un gran fiatone.
Il ragazzo di cui non sapevo ancora nulla rimase di pietra per qualche istante; negli anni Giacomo ha sempre sostenuto che fosse a causa delle sensazioni che gli aveva provocato vedermi ma secondo me era semplicemente stranito nell'apprendere l'esistenza di quella radura. Scosse forte la testa, come chi si deve riprendere da un sogno, poi batté una sola volta la mano sulla coscia e Chester perse totalmente interesse nella sottoscritta, trotterellando felice verso di lui.
«Lo sai che non devi sparire così», disse al cane, ignorandomi.
«Avrebbe potuto farmi del male», esclamai piccata. Mi aspettavo come minimo delle scuse o perlomeno un banalissimo "mi dispiace" dopo che si era perso un cane di quella taglia per cinque minuti buoni, invece aveva preferito parlare prima con lui che con me.
«Ma no, Chester è un tenerone», ribatté, degnandomi finalmente di uno sguardo e sorridendomi come se non fosse successo nulla. Mi irritò non poco il modo in cui banalizzò la situazione: Chester era stato bravo, è vero, ma qualsiasi cane, per quanto addestrato, bisogna tenerlo vicino quando si esce di casa.
Avrei scoperto col passare dei giorni e delle settimane che, quel suo modo a primo acchito irritante di affrontare le situazioni, mi avrebbe aiutata a risolvere molti problemi della mia vita.
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