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La luce del mattino filtrava attraverso le tende semichiuse dello studio, illuminando la stanza di una calda sfumatura dorata.
Jun si svegliò lentamente, il viso ancora appoggiato sul braccio di Dylan.
Dormiva seduto sulla sedia girevole, il capo reclinato all’indietro, i capelli grigi sparsi sulla fronte e la bocca leggermente aperta.
Non posso credere, che si sia addormentato così anche stanotte, per non svegliarmi – pensò Jun.
Per un attimo Jun rimase immobile, osservando il volto rilassato di Dylan.
Durante il giorno, quelle stesse labbra erano sempre pronte a sfidarlo, a lanciargli qualche battuta sarcastica o qualche critica tagliente per la sua pigrizia che non apprezzava.
Ma in quel momento, quelle labbra morbide sembravano quasi innocenti.
Jun sorrise tra sé, notando come i capelli di Dylan fossero arruffati in modo disordinato, quasi buffo.
Allungò una mano per sistemargli una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi, ma a pochi millimetri dal suo viso, Dylan lo bloccò.
Il suo bracciò scattò in modo impercettibile, racchiudendo la mano di Jun dentro la sua.
Impedendogli di toccarlo.
Aprì gli occhi, e Jun poté vedere il proprio riflesso dentro di essi.
Erano lucidi, caldi e assonnati.
Jun trattenne il respiro sentendo la mano di Dylan che stringeva la sua, in modo deciso ma delicato.
Per un attimo nessuno dei due parlò, rimasero ad osservarsi in silenzio come se il mondo intorno a loro si fosse fermato.
«Stavi per toccarmi i capelli?» domandò Dylan con voce bassa e roca, a causa del sonno appena terminato.
Ma nella sua voce, quando parlava con Jun, era sempre possibile percepire una punta di sarcasmo.
La schiena di Jun venne attraversata da un brivido.
Sulle sue labbra comparve un ghigno divertito, mentre sfidava Dylan accarezzando con le dita il palmo della sua mano.
«Può darsi, solitamente sei un cane feroce; quando dormi è l’unico momento in cui sembri un gattino carino» lo prese in giro.
Dylan alzò un sopracciglio.
«Un gattino? Non l’hai detto seriamente!».
Jun annuì, fingendo un’espressione innocente.
«Assolutamente sì. Un gattino grigio un po' scontroso, ma comunque carino».
L’espressione infastidita sul volto di Dylan, non aveva prezzo per lui.
Jun viveva le sue giornate per dargli fastidio.
Il miglior rapper della loro agenzia, paragonato ad un gatto.
«Sei insopportabile Jun» rispose Dylan a quella provocazione, i suoi occhi più scuri e la voce bassa e graffiante.
Adesso mi ucciderà, pensò Jun.
Nessuno dei due aggiunse una parola, si limitarono ad osservarsi in silenzio finché alcuni passi veloci non attirarono la loro attenzione.
La porta dello studio si spalancò, prima che loro due potessero allontanarsi l’uno dall’altro.
«Hai visto Thame? Te l’avevo detto che avevano dormito nuovamente insieme!» la vocetta di Nano riempì di allegria lo studio di Dylan, portando i due rivali ad allontanarsi a disagio, l’uno dall’altro, voltandosi verso gli amici.
Thame incrociò le braccia al petto, alzando un sopracciglio.
«Immagino che i vostri letti non siano comodi tanto quanto quella scrivania» disse con tono sarcastico, indicandola con un cenno del capo.
Jun si schiarì la voce cercando di nascondere l’imbarazzo, alzandosi velocemente dalla sedia per allontanarsi un po' dall’altro.
Dylan seguì i suoi movimenti, alzandosi a sua volta.
«Semplicemente non riuscivo a dormire, e sono venuto a sfruttarlo per un po' di compagnia» disse in modo sfacciato, indicando il rapper del gruppo.
«Ma siccome non è per niente interessante, alla fine è riuscito a farmi addormentare» disse stuzzicando un po' Dylan, che lo fulminò con un’occhiataccia.
La luce che filtrava dalla finestra annunciava chiaramente che la loro tregua notturna, era ufficialmente finita.
«Dovresti essermi grato per essere così tanto noioso, se questo ti aiuta a dormire - tutto ciò che invece ottengo io dall’averti ogni notte nel mio studio è la tua saliva sul braccio» disse sollevando a mezz’aria il braccio su cui Jun aveva dormito tutta la notte.
Jun spalancò la bocca, oltraggiato.
«Come ti permetti, io non sbavo nel sonno!».
Thame scosse la testa.
«Smettetela e andiamo in cucina a fare colazione, ho bisogno almeno di un caffè prima di poter sopportare le vostre discussioni».
Dylan si strinse nelle spalle con un’aria di sufficienza, e uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Jun lo seguì ancora visibilmente contrariato, ma decise di non insistere ulteriormente.
Nano, che aveva assistito alla scena con un sorriso divertito, si avvicinò a Thame.
«Si comportano come se fossero sposati da anni» commentò sottovoce mentre si dirigevano verso la cucina, seguendo i due amici.
Se Dylan avesse sentito le sue parole, probabilmente avrebbe provato ad ucciderlo.
«È vero» rispose Thame nascondendo un sorriso.
«Nonostante i loro continui battibecchi, è come se fossero legati insieme da un filo del destino. Un filo che continuano a tirare, in modo provocatorio e implacabile, avvicinandosi l'un l'altro anche quando cercano di allontanarsi»
Qualche ora più tardi Dylan stava attraversando a grandi falcate uno degli ampi corridoi dell’edificio della loro agenzia.
Entrò nello studio - riservato ai Mars - con passo deciso, chiudendosi la porta alle spalle con più forza del necessario.
Il forte tonfo risuonò in tutto l’edificio.
Dentro lo studio c’era già Pepper, che sobbalzò spaventato.
«Vuoi farmi venire un infarto Dylan?» domandò, mantenendo comunque la sua voce pacata.
Dylan non gli rispose, si limitò a sedersi nella sua postazione, chiudendo gli occhi.
Pepper accese il computer che si trovava davanti all’amico, ed ispezionò nei dettagli il suo viso.
Aveva passato la notte a casa della sua ragazza Gam, quindi non sapeva se quella mattina fosse successo qualcosa a casa del gruppo.
Probabilmente avrà litigato con Jun, come sempre – pensò Pepper.
Thame non gli aveva mandato nessun messaggio, quindi immaginò non fosse nulla di così grave.
«Stai bene?» si limitò a chiedergli.
Dylan annuì, prendendo un respiro profondo ed iniziando a lavorare.
Lui e Pepper si stavano occupando della canzone che avrebbero rilasciato a breve, in collaborazione con Milli.
Ormai mancava poco per terminarla, ma i pensieri di Dylan continuavano a correre verso le stupide parole di Jun.
“Un gattino grigio un po' scontroso, ma comunque carino”
Scosse la testa per scacciare quei pensieri.
Aveva sfidato Jun quella mattina per averlo colto in flagrante mentre tentava di toccargli i capelli, ma la verità era che lui l’aveva osservato a lungo dormire la notte precedente.
Il sonno di Jun non era mai totalmente rilassato, tranne quando Dylan lo toccava.
Era una cosa che il rapper aveva scoperto per puro caso, e la prima volta che lo vide accadere davanti ai suoi occhi, ne se sorprese molto.
Jun faceva spesso incubi, parlava nel sonno e contraeva il volto a causa delle cose negative che sognava; ma quando Dylan sfiorava la sua guancia con le dita, l’espressione di Jun si rilassava e addolciva.
Come se potesse percepire la sua presenza e questa lo facesse sentire al sicuro.
Da quando l’aveva scoperto, Dylan lo faceva spesso.
Lo guardava dormire appoggiato al suo braccio, e gli accarezzava con un po' di imbarazzo la guancia e la fronte, per donargli un po' di sonno calmo e tranquillo.
Dylan non aveva mai trovato il coraggio per parlargli di questo, e probabilmente mai l’avrebbe fatto.
La porta alle loro spalle si aprì, e quando Dylan si voltò per poco con lanciò il proprio computer contro il muro dello studio.
Era Jun. Di nuovo.
Dammi un po' di tregua - pensò Dylan osservando l’espressione sorridente sul volto dell’amico.
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