O n e

3:22.

Era quello l'orario che il display del suo telefono indicava.

Come ogni singola notte.

Si portò lentamente a sedere sul letto, tentando di non produrre alcun rumore per non svegliare Nano, che dormiva nel letto accanto al suo.

Si voltò a guardarlo, nella penombra della stanza, e i suoi occhi stanchi si ammorbidirono.

Invidiava seriamente la pace e serenità che leggeva nel suo volto, mentre dormiva con un sorriso dipinto sulle labbra.

Camminò a piedi nudi verso il letto del più giovane e gli rimboccò le coperte, avviandosi poi verso la porta della loro stanza.

Se la chiuse alle spalle, prendendo un respiro profondo e sentendo un brivido scorrergli lungo la schiena. Adrenalina.

Camminò silenziosamente lungo il corridoio, fermandosi per un istante davanti alla stanza di Thame e Dylan.

La porta era socchiusa e attraverso il piccolo spiraglio disponibile, poté facilmente notare come l'unico al suo interno fosse proprio Thame.

Il letto di Dylan era triste, vuoto e sfatto, proprio come lo era il suo in quel momento.

Chiuse la porta e proseguì verso la fine del corridoio, dove si trovava ciò che effettivamente gli interessava.

Si bloccò dinanzi alla porta di legno scuro, domandandosi se fosse il caso di bussare prima di entrare; si poneva quella domanda tutte le notti, ma alla fine entrava sempre di soppiatto per non disturbare chi si trovava già al suo interno.

Lo scenario era sempre lo stesso.

Dylan seduto alla scrivania, il computer acceso davanti alla sua figura e fogli, fogli ovunque.

Alcuni dinanzi a sé, altri accartocciati sul pavimento.

Dylan odiava non riuscire a tirar fuori a suo piacimento le idee che gli vorticavano per la testa.

Delle volte era una melodia, altre volte le parole per una canzone, ma quando si trovava davanti quella distesa candida di carta, era come se la sua mente si svuotasse.

La luce principale della stanza era spenta, ma comunque risultava rischiarata dal computer e dal bagliore bluastro di una lampada al lato della scrivania.

Dylan girò il volto verso Jun, e si osservarono per alcuni secondi senza dire una parola.

«Non riesci a dormire?» gli domando Dylan, voltandosi nuovamente ad osservare il foglio su cui stava scrivendo.

«No - mormorò Jun, osservando le spalle leggermente ricurve dell'altro - Neanche tu, vero?».

Dylan scosse semplicemente la testa.

Stesso copione, stesse domande tutte le notti - e puntualmente si ritrovavano da mesi chiusi in quello studio, a curare ferite che non si erano mai preoccupati di capire come si erano procurati.

Jun chiuse la porta alle sue spalle, incamminandosi verso la scrivania e nello specifico la sedia girevole che Dylan teneva appositamente al suo fianco.

Non l'avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma la teneva al suo fianco solo per Jun.

«Stai riuscendo a scrivere?» chiese, posando il mento sulla spalla di Dylan, per curiosare il contenuto del foglio che teneva davanti a sé.

C'erano scarabocchiate alcune frasi, e anche se non era molto, si poteva già percepire il potenziale di quella canzone.

«È bella» tentò di incoraggiarlo.

«Lo è»mormorò Dylan con voce stanca, rilassando un po' le spalle e lasciandosi ricadere sullo schienale della sedia.

Posò in modo esitante il capo su quello di Jun, che lo teneva ancora sulla sua spalla.

«Ma è bloccata qui dentro e non vuole uscire» disse, massaggiandosi la testa.

I soffici capelli grigi, solleticarono la fronte di Jun.

«Adesso sono qui con te, provaci ancora» disse fiducioso.

Dylan si voltò verso di lui e i loro nasi si sfiorarono.
Entrambi trattennero il respiro.

Loro due non si sopportavano, e questo lo sapevano tutti.

Erano amici e colleghi, ma costantemente rivali - nel lavoro e nella vita - e passavano le loro giornate a sfidarsi in qualsiasi situazione.

Ma la notte, avevano davvero bisogno del supporto l'uno dell'altro.
Non c'era rivalità e non c'erano discussioni.

Dylan riusciva a mettere da parte il suo carattere difficile e Jun diventava meno insopportabile.

Dylan annuì, stringendo nuovamente la propria penna preferita nella mano, riprendendo a scrivere.

Jun posò il volto sulla scrivania fredda.

Osservò con ammirazione il profilo di Dylan, illuminato dalla luce del computer.

Le sopracciglia aggrottate, gli occhi brillanti, il naso dritto e sottile e le labbra carnose come poche volte Jun le aveva viste su un uomo.

Erano bellissime, anche se mai l'avrebbe ammesso.

Un grosso sbadiglio di sfuggì dalle labbra.
Chiuse gli occhi.

Solo accanto a Dylan, con il suono della penna che scorreva sulla carta, riusciva a prendere finalmente sonno.

Dopo qualche minuto di immobilità, sentì Dylan boffonchiare qualcosa a bassa voce.

«Sei davvero un irresponsabile, domani abbiamo le prove ed in questo modo ti farai venire il torcicollo».

Jun rimase immobile mentre Dylan - con delicatezza - sollevava il suo volto infilando sotto di esso il suo braccio.

Jun sorrise, sentendo poco dopo il suono dei tasti del computer.

Dylan stava volutamente rinunciando al suo braccio destro, per permettere a lui di appisolarsi su di esso e dormire.

Questo significava per lui rinunciare a scrivere con la sua amata penna, per quella notte.

Grazie Dylan - pensò Jun, sentendosi lentamente scivolare nell'oblio.

Quando era al suo fianco, i demoni che lo tormentavano erano soltanto un lontano ricordo.

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