Un sussurro tra le grida
Stavo male. Ero malata.
Forse ero pazza.
Non sei pazza.
Le persone sane di mente non avevano allucinazioni. Non vedevano porte che non esistevano.
Le persone normali non sentivano le voci.
Non zittirci, Maggie.
Mi rigirai tra le mani il flaconcino arancione ancora sigillato.
"De Santis, Margaret" riportava l'etichetta ormai sbiadita.
Erano passati due anni dall'ultima volta che avevo perso una di quelle pastiglie, su richiesta di papà, da un flacone identico che poi avevo buttato. Papà pensava che mi avrebbero aiutata a scuola, a migliorare la mia capacità di attenzione, quindi mi implorò di riprovarci, di ricorrere nuovamente ad un aiuto farmacologico.
Quella volta riuscii a dormire per una notte intera, senza sognare, ma quando mi svegliai capii di aver commesso un grave errore: non solo ero più distratta di prima, ma le voci si erano arrabbiate per essere state messe a tacere per così tante ore consecutive. Avevo quindi detto a papà che non avevano sortito l'effetto desiderato e le avevo gettate.
Ora però le avevo riportate alla luce dal fondo del mio armadietto in bagno.
Non farlo. Non è quello che vuoi.
Non sapevo nemmeno io cosa volessi veramente.
Non vuoi rimanere sola.
Era vero. Non ero mai stata sola, mai. Anche da piccolissima, le voci erano sempre state con me. All'inizio solamente di notte, tenendomi compagnia, ma con il passare del tempo erano diventate una presenza sempre più frequente, che ora era per indispensabile.
La mia mente era un buco nero che, se abbandonata a se stessa, avrebbe potuto risucchiarmi. Avevo bisogno di un'ancora, qualcosa o qualcuno che mi legasse alla realtà e mi riportasse indietro quando mi perdevo negli infiniti labirinti della mia coscienza.
E la notte era il momento della giornata che mi spaventava di più.
Quando ero circondata da altre persone ero costretta a fingere di essere normale, ma la sera, quando chiudevo la porta della mia stanza e rimanevo sola con i demoni nella mia testa, l'ultima sottile barriera che mi divideva dalla pazzia crollava come un castello di carte.
Non sei sola. E non sei pazza.
Ero pazza, invece, e i pazzi andavano curati.
Perché avere le allucinazioni non era normale. Io non ero normale.
Pensavo che avrei potuto convivere con le voci nella mia testa per sempre, ma quanto successo mi aveva fatto capire che mi sbagliavo. Non potevo vivere così. Non più.
Volevo solo che tutto questo finisse. Ero stanca di non potermi fidare nemmeno della mia mente, dei miei pensieri. Perché alla fin fine, erano veramente i miei pensieri? O erano quelli delle voci, che mi manipolavano affinché pensassi fossero miei?
Cosa c'era di vero in me, e cosa era stato creato e malleato da loro? Esisteva una vera me, o era tutta finzione?
Certo che esiste una vera te. Non essere stupida.
Non potevo avere un'opinione che fosse mia e mia soltanto, quindi chi ero veramente?
Aprii il flacone.
Non farlo.
Una voce portata dal vento, un sussurro così flebile da essere quasi inudibile, mi bloccò.
Scattai in piedi, il flacone aperto che cadeva a terra con un tonfo attutito dal tappeto, spargendo pastiglie dappertutto.
«Papà?»
Ma intorno a me c'era solo silenzio.
«Papà, sei tu?»
Papà è morto.
«Papà, ti prego.» Mi si spezzò la voce, mentre lacrime calde mi scendevano lungo le guance.
L'avevo sentito. Ero sveglia, ero cosciente, e l'avevo sentito.
Ma dopotutto avevo anche visto la porta.
Ciò che vedevo, o sentivo, non era affidabile. Non più.
Lo sguardo mi cadde sulla ventina di pasticche bianche sparse sul tappeto.
Era così semplice... una pastiglia, una sola, e avrei dormito per una notte intera.
Non farlo.
Anche la voce di papà me l'aveva detto, ma era veramente papà?
Non farlo!
Troppo tardi.
Prima di avere il tempo per ulteriori ripensamenti, raccolsi una pastiglia da terra e la inghiottii.
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