Quando meno te lo aspetti

Aprii gli occhi lentamente, lasciandomi coccolare per qualche secondo dalla morbidezza del materasso.

Materasso?

Mi alzai a sedere di scatto, troppo velocemente, e la stanza iniziò a girare. Strizzai forte gli occhi, cercando di combattere il senso di nausea che mi aveva assalita.

Cosa ci facevo in camera mia? L'ultima cosa che ricordavo era che stavo parlando con la vicina, la signora Higgings, e poi era arrivato il fratello di Olivia, Liam. Poi... nulla.

Ti sei addormentata.

Cosa? Come? Non dormivo neanche quando ci provavo con tutte le mie forze, era impossibile che il sonno mi avesse colta così, in piedi.

Invece è andata così. Ti sei addormentata.

Mi alzai con cautela, il pavimento gelato sotto i miei piedi nudi.

Il terreno umido e cedevole sotto i miei piedi, tutto intorno una nebbia troppo fitta per capire dove mi trovassi.

Ma cosa...?

Non pensarci.

Da dove arrivava questo ricordo? Non c'era nebbia quand'ero uscita di casa.

Non pensarci, ti ho detto.

Scossi la testa, scacciando l'immagine dalla mente.

Ero ancora perfettamente vestita, la semplice T-shirt che avevo indossato per andare a scuola stropicciata per averci dormito sopra.

Nonostante mi girasse ancora un po' la testa, mi sentivo riposata come non mi capitava da moltissimo tempo.

Che avessi realmente dormito?

Forse ero così stanca che il mio corpo aveva raggiunto il limite fisico senza che me ne accorgessi.

Mi sentii arrossire al pensiero di essere caduta a terra addormentata davanti a Olivia e a suo fratello. Chissà cosa dovevano pensare di me.

Dio, era bastato un giorno ed ero già la strana della città. Era bastato così poco.

Non sarei mai riuscita ad essere una persona normale, non importava quante città cambiassi o quanto distante ci trasferissimo. Non sarei mai stata come gli altri.

Tu sei normale.

L'orologio della cucina segnava le quattro del pomeriggio.

Possibile? Avevo dormito per così tante ore di fila? Mi sembrava veramente troppo strano.

Qualcuno bussò alla porta così piano che quasi temetti di averlo immaginato.

Chi poteva mai essere? Non ero proprio nelle condizioni adatte per accogliere altri vicini.

Inciampai in uno scatolone, in ingresso.

A quanto pareva erano arrivati gli ultimi nostri averi, quantificati in esattamente undici enormi scatoloni, impilati gli uni sopra gli altri in equilibrio a dir poco precario. Mamma si sarebbe sicuramente divertita a riordinarli tutti.

Aprii la porta senza nemmeno guardare dallo spioncino, quindi rimasi sorpresa nel vedere Olivia e Liam.

Dalle loro espressioni, erano sorpresi quanto me. Forse non si aspettavano di vedermi salda sulle mie gambe, dopo essere crollata a terra come se mi avessero sparato addosso un tranquillante per elefanti.

Restammo a fissarci per qualche secondo, in silenzio, e mi sentii avvampare fino alla radice dei capelli. Cosa erano venuti a fare?

Olivia si avvicinò di un passo e mi strinse a sé in un abbraccio tanto veloce quanto inaspettato.

«Oh, mio Dio, Maggie, mi hai fatto prendere un colpo stamattina! Pensavo ti fosse successo qualcosa, che ci fosse qualcosa che non andava.»

Abbassai gli occhi a terra e mi scrocchiai le nocche, a disagio. «No, ehm, sto bene, adesso. Benissimo.» Cos'altro potevo rispondere? C'era qualcosa che non andava in me, ma loro questo ancora non lo sapevano.

«Tua madre ci ha spiegato», mi rassicurò Liam, notando il mio imbarazzo.

Il mio sguardo saettò su di lui e mi sentii gelare. «Che... che vuol dire che mia mamma vi ha spiegato? Cosa vi ha spiegato?»

«Che soffri di insonnia.» Guardò la sorella, alla ricerca di supporto «Che hai problemi a dormire.»

Chiusi gli occhi per un secondo, sospirando di sollievo. Mamma non aveva rivelato il mio segreto.

Non lo farebbe mai, si vergogna di te. E in più pensa che tu sia guarita.

«Oh, sì.» Mi schiarii la voce, cercando di pensare ad un modo per uscire da questa conversazione scomoda «Scusate, non vi ho chiesto se voleste entrare. La casa è un casino, ma... sì, insomma. Se vi va.»

Fu Liam a rispondermi questa volta. «Volentieri.»

Mi spostai di lato, aprendo di più la porta, poi mi accoccolai contro il bordo del divano, portandomi le ginocchia al petto e circondandole con le braccia.

«Quindi stai bene, ora?», mi chiese Olivia, preoccupata, gli occhi azzurri spalancati.

Perché le importa tanto? Non siete amiche. Non vi conoscete neanche.

Stiracchiai un sorriso. «Sì, ora sì. A dir la verità non dormivo così bene da un bel po'.»

«Beh, conoscermi deve essere stato veramente noioso per farti cadere addormentata in quel modo», scherzò Liam.

«Liam!», lo rimproverò subito a sua sorella inorridita, fulminandolo con un'occhiata.

Io invece scoppiai a ridere. Nessuno aveva mai scherzato sulla ma insonnia, nessuno sapeva mai come gestire l'argomento; quindi o non se ne faceva cenno oppure se ne parlava come se fosse una malattia. Ero contenta che finalmente qualcuno non la prendesse troppo sul serio e riuscisse a scherzarci su.

«Mi è bastata un'occhiata», risposi con un sorriso.

«È per via del trasferimento?», mi chiese Olivia, arrossendo leggermente. Era curiosa, ma aveva paura di essere troppo invadente e che mi potessi offendere. Ma era passata a vedere come stavo. Si era interessata a me.

«No. Non ho mai dormito bene, nemmeno da piccola. Ho sempre avuto problemi ad addormentarmi, e anche quando ci riuscivo mi svegliavo dopo poche ore e stavo sveglia fino a mattina. All'inizio si pensava fossi semplicemente iperattiva, o che avessi delle cattive abitudini di sonno, ma poi abbiamo capito che non era quello il motivo. Non si sa perché io sia così. Ma non è grave. Cioè, non sono malata.»

«Certo che no.» Liam lo disse con una convinzione tale da stupirmi.

Era la prima volta che parlavo così apertamente della mia condizione con qualcuno che non fosse della famiglia. Nemmeno le mie vecchie amiche sapevano bene tutti i dettagli: sapevano che non dormivo, certo, era difficile da nascondere, ma non le difficoltà legate e i problemi che erano alla base di ciò.

E ora ne stavo parlando con due persone che avevo appena conosciuto, e la parte più strana era che mi capivano. Non mi guardava con pietà, o come se fossi un fenomeno da baraccone.

Liam si alzo dal divano e si asciugò le mani sui jeans. «Beh, Margaret, per quanto l'avventura di stamattina sia stata emozionante, spero che domani riusciremo ad arrivare a scuola senza ulteriori imprevisti.»

Lo guardai, stupita. Mi stava forse chiedendo di continuare ad andare a scuola insieme? Mi stavano dando una seconda possibilità?

Vedendo la mia espressione, gli angoli della bocca gli si sollevarono in un sorriso. «Sette e mezzo qui davanti. E stavolta non sarò in ritardo, promesso. A domani.»

Restai a guardarlo andarsene a bocca aperta. Nessuno era mai stato così gentile con me. E senza nemmeno conoscermi, tra l'altro.

«Dammi il tuo telefono», mi disse Olivia, anche lei alzandosi in piedi.

Glielo porsi senza dire una parola e me lo restituì subito.

«Per qualsiasi cosa, chiamami, ho salvato il mio numero. A domani!»

***

Mamma rientrò per le nove.

La sentii imprecare prima contro la serratura difettosa, poi perché non trovava l'interruttore della luce dell'ingresso e infine perché era inciampata in qualcosa.

«Ma che...», mormorò e un secondo dopo: «Maggie!»

«In cucina», risposi, addentando una fetta di pizza. Non sapevo per che ora sarebbe tornata, quindi avevo ripiegato su del semplice cibo d'asporto.

Si fermò sulla porta, guardandomi con aria confusa. «Dove sono tutti gli scatoloni?»

«Riordinati.»

«Ma erano tutte cose mie.»

Mi strinsi nelle spalle, senza alzare lo sguardo dal piatto.

«Ho ordinato una pizza anche per te», dissi invece «Margherita. Con poca mozzarella.»

Non ricevendo risposta, alzai gli occhi. Era ancora sulla porta, le braccia inerti lungo i fianchi.

«Oh, Maggie. Vieni qui.» Le si ruppe la voce, quindi suonò più come una domanda.

Mi pulii le mani sul tovagliolo e corsi ad abbracciarla.

Nonostante fossimo alte uguali, si aggrappò a me come se fossi l'unica cosa che poteva tenerla in piedi in quel momento.

Mi erano mancati tanto i suoi abbracci, soprattutto dal momento che non potevo più avere quelli di papà.

Mamma non era una da scoppiare in singhiozzi, era rimasta composta anche quando ci avevano detto che non erano riusciti a salvare papà. Non era crollata. Mai. Quantomeno, non davanti a me.

Ma in quel momento, sole in quella casa nuova e così vuota, in una città in cui non conoscevamo nessuno e dove ci eravamo trasferite per fuggire dal nostro passato, abbassò tutte le difese.

«Mi dispiace», singhiozzò «Mi dispiace così tanto.»

«Per cosa?»

Si scostò lentamente e mi accarezzo una guancia. Aveva il volto rigato dalle lacrime e il trucco colato, alcune ciocche bionde sfuggite dal fermaglio ad incorniciarle il viso arrossato dal pianto. Era sempre stata una bella donna, ma ora la stanchezza le appesantiva i tratti, facendola sembrare più vecchia di quanto fosse in realtà.

«Per tutto. Per non essere stata più presente. Per essermi chiusa in me stessa. So che non è una scusa, ma a volte... ho paura di non farcela. Senza di lui mi sento così persa... non so cosa fare.»

Una lacrima sfuggì al mio controllo. Non parlavamo di papà da quando era morto, da quando la notte dell'incidente mi aveva tenuta abbracciata per ore mentre piangevo tutte le mie lacrime, e nominarlo ora, così, rendeva tutto ancora più concreto di quanto non fosse già. Sapevo che era stupido, ma non parlandone mi sembrava quasi di poter fingere che nulla fosse successo; di fingere che, da un momento all'altro, papà potesse tornare.

«Manca tanto anche a me.»

Serrò forte le labbra e si asciugò gli occhi con le mani, rovinando ancora di più il trucco e sbavando mascara ovunque.

«Lo so, tesoro. Lo so. Tu come stai? C'è qualcosa di cui vuoi parlare?»

«Sto bene.»

Bugiarda.

«Stamattina ti sei addormentata in piedi. Sei sicura che sia tutto a posto? Credi sia il caso di chiamare il dottor Herton?»

E tornare dallo psichiatra che mi considera schizofrenica? No, grazie.

«Sto bene, mamma, sul serio. Ho avuto qualche problema a dormire, ultimamente, ma sto bene. Non succederà più.»

Non sembrò troppo convinta, ma rispettò la mia decisione.

«Che ne dici di sederci a mangiare? Così mi racconti del tuo primo giorno di scuola e di questa nuova simpatica vicina.»

Le labbra mi si incurvarono in un sorriso vero,

«Mi piacerebbe molto.»

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