Annegando tra le bugie
«Dove sei stata?»
Sobbalzai e le chiavi mi caddero di mano, tintinnando sul pavimento in marmo dell'ingresso.
«Dio, mamma, mi hai spaventata morte. Non pensavo fossi già a casa.»
Mamma era ferma sulla soglia della cucina, le mani chiuse a pugno contro i fianchi e la schiena ritta come un palo. L'espressione corrucciata e le labbra serrate mi fecero subito capire che c'era qualcosa che non andava.
«Che succede?», chiesi, preoccupata, avvicinandomi a lei.
Aggrottò semplicemente le sopracciglia. «Nulla, Maggie. Sono tornata a casa e non c'eri. Non mi avevi mandato nessun messaggio né niente, non avevo idea di dove fossi.»
Mi sentii una stupida, e un'ingrata. Non immaginavo certo che sarebbe rincasata in anticipo, ma avrei in ogni caso dovuto avvisarla del mio ritardo. Dopo quello che era successo a papà, doveva essere stato tremendo per lei entrare e non trovare nessuno.
«Scusami, non ci ho proprio pensato. Avresti dovuto chiamarmi, ti avrei detto che ero andata a fare una passeggiata.» Una passeggiata di un'ora e mezza dove avevo girato a vuoto per la città cercando di trovare una risposta alle mille domande che mi frullavano per la testa. Come se fosse servito a qualcosa.
Sospirò e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. «Non volevo disturbarti. Ho pensato che magari fossi con i tuoi amici e non volevo farti sentire in imbarazzo.»
Da quando le importa di te?
«Non preoccuparti, mamma», la rassicurai, ignorando il commento malvagio delle voci «Non mi metti in imbarazzo. Per qualsiasi cosa, sempre, chiamami. Non serve a niente stare in ansia così.»
Sei falsa quanto lei.
«Scusami, tesoro, è che a volte... non lo so, mi era preso il panico. Ma lasciamo stare, l'importante è che tu stia bene», scacciò la questione con un gesto della mano «Ma dimmi, ti ha fatto bene questa passeggiata? Ti sei schiarita le idee?»
Già, Maggie, ti sei schiarita le idee?
«Sì, ho preso una bella boccata d'aria. Ne avevo bisogno.»
Stiracchiò un sorriso e mi accarezzò i capelli, un'espressione amorevole ad addolcirle i tratti del viso. «Mi fa piacere. Il sonno come va?»
Feci una smorfia. «Diciamo che va. Potrebbe andare meglio, ma anche molto peggio. Riesco a riposare il giusto.»
Restò in silenzio un secondo di troppo, facendomi capire che mi credeva solo fino a un certo punto. «Sai che in qualsiasi momento possiamo andare a fare qualche esame, non è vero? Basta che tu me lo dica e chiamo il dottor Herton nell'immediato.»
Un brivido mi percorse la schiena. «Sto bene, mamma. Non ho bisogno di vedere il dottore.»
Continua a mentire e un giorno annegherai tra le tue bugie.
Si passò una mano sul viso, stando comunque ben attenta a non rovinare il trucco impeccabile. «È sempre così difficile capire cosa vi passa veramente per la testa. Tuo padre all'inizio non ne voleva nemmeno parlare, si comportava come se il problema semplicemente non esistesse.»
Cosa...? Di cosa stava parlando?
«Quale problema?»
Mamma mi guardò come se fossi stupida. «La sua insonnia. Trovati i giusti farmaci non gli ha più causato fastidi, ma da giovane ne ha sofferto molto. Te lo avrà sicuramente raccontato.»
Non poteva essere. Papà era andato fuori di testa quando gli avevo detto che non dormivo e che sentivo delle voci. Non era possibile che ne avesse sofferto anche lui, me l'avrebbe detto, mi avrebbe rassicurata. Mi avrebbe detto che ero normale.
Non sei normale.
Come aveva potuto farmi questo? Come aveva potuto tacere una cosa così importante?
«Io... non ne so nulla», mormorai, la voce che mi tremava lievemente «Non sapevo niente. Papà non me ne ha mai parlato.»
Mamma chiuse gli occhi, trattenendo un sospiro, e si lasciò cadere nella sedia più vicina. «Nemmeno una parola?»
Scossi la testa, sedendomi accanto a lei.
Perché mi aveva fatto questo? Perché, per tutti questi anni, me l'aveva tenuto nascosto?
«Papà si vergognava tantissimo dei suoi disturbi, però mi aveva assicurato di averne quantomeno parlato con te, dato che ne soffrivi anche tu. Ti avrebbe fatto sentire maggiormente compresa. Al contrario di te, lui era riuscito a trovare un equilibrio nei farmaci che gli erano stati prescritti, ed era felice così. Riusciva a riposare tranquillamente e non aveva più le sporadiche allucinazioni che l'insonnia gli provocava. Per questo quando hai confessato di sentire delle voci ha dato di matto: aveva paura fossi come lui, ma che, al contrario del suo caso, non si riuscisse a trovare un piano di terapia funzionante. Era terrorizzato. Ma non capisco proprio perché mi abbia mentito dicendomi di averti raccontato tutto.»
Perché era come me, ecco perché. Anche lui sentiva le voci, ma le aveva messe a tacere con i farmaci che io invece mi ero sempre rifiutata di prendere.
All'improvviso tutto acquisiva un senso: la sua ossessione per trovare una cura alla mia insonnia, il suo volersi sempre assicurare che prendessi tutte le medicine e che queste facessero effetto. La sua paura quando gli avevo detto la verità.
Non pensava fossi pazza. Affatto. Pensava che fossi come lui, e quest'idea lo spaventava a morte.
Ma perché? Da cosa aveva cercato di proteggermi? Dalle voci?
Non ti faremmo mai del male.
Non volontariamente, forse, ma di sicuro compromettevano la mia sanità mentale. Dalla pazzia, quindi?
Noi esprimiamo solo i tuoi pensieri, come potremmo farti impazzire?
E se stavo impazzendo a causa loro, significava che ero già pazza?
Aveva forse cercato di proteggermi da me stessa?
In fin dei conti, era tutto dentro la mia testa: le voci, la radura, la porta che nessuno riusciva a toccare. Ero io il pericolo. E allo stesso tempo ero io la chiave di tutto.
Apri gli occhi. È tutto davanti a te.
Cosa c'è da vedere?
Tutto, se solo non fossi così stupida.
È tutto davanti a te.
Mi sbagliavo. Avevo gli occhi aperti, ma guardavo nella direzione sbagliata. Avevo sempre guardato nella direzione sbagliata.
Chiusi gli occhi. Ero io la chiave di tutto.
È tutto davanti a te.
Apri gli occhi, Maggie.
Non era davanti a me. Era dentro di me.
Dovevo trovare Olivia e Liam.
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