Il peso della verità - Carter

Dalla conversazione con Bill, la paura di perdere incombeva sempre più sul cuore di Carter, alimentata dal presentimento che presto avrebbe scoperto qualcosa che poteva rendere quella paura reale. Come tante tessere di un mosaico, tutti gli aspetti della sua vita si stavano incastrando creando qualcosa di spaventosamente più grande.

Nonostante i suoi sforzi, non riusciva a trovare neanche un ricordo che legasse i primissimi anni della sua infanzia alla realtà che conosceva adesso. Riflettendoci bene, non gli sembrava neanche di avere sue fotografie da neonato. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma alla luce della conversazione fra i suoi genitori tutto assumeva un altro significato. Voleva sapere la verità, era deciso a parlare con la sua famiglia. O forse no, forse voleva semplicemente che tutto rimanesse come era sempre stato. Nella sua mente c'era una tale confusione che temeva che gli altri passeggeri del tram potessero sentire i suoi pensieri urlare.

Era già arrivato alla sua fermata: casa era sempre più vicina. Giunto al portone, infilò lentamente la chiave nella serratura. Ogni singolo gesto gli pesava come un macigno. Entrò e incontrò gli occhi di sua madre: a Rachel Barrymore bastò un solo sguardo per capire che qualcosa non andava.
"Carter, che è successo?" Le parole dolci della madre furono seguite da un gesto che lo invitava a sedersi accanto a lei sul divano.

Quella sera, Carter vomitò tutti i pensieri che non sopportava rimanessero solo nella sua testa. Disse ai suoi genitori che li aveva sentiti la sera prima discutere in quello stesso salone. Disse loro che voleva sapere la verità. Disse loro che aveva paura. La voce tremante. La madre lo strinse forte a sé e, con le lacrime agli occhi, gli disse che gli voleva bene, un bene infinito.

Arrivò poi la voce calda e ferma del padre:
"Penso che ormai dobbiamo dirtelo. Non so se sia giusto così, forse avremmo dovuto farlo prima. Se abbiamo sbagliato, ti prego, perdonaci. Noi abbiamo voluto sempre e solo il meglio per il nostro bambino." La voce gli si spezzò. "Vieni c'è qualcosa che devo farti vedere."

Il padre lo condusse verso il suo studio, aprì uno dei cassetti posti più in alto, tirò fuori un contenitore coperto da uno spesso strato di polvere e lo pose nelle mani di Carter. Il ragazzo lo aprì: era pieno di documenti. Prese in mano quella cartellina di un rosso un po' sbiadito e ci soffiò sopra per liberarla dalla polvere. Al suo interno si trovava una sua foto da piccolo: era nello stesso posto del suo sogno, circondato da bambini che piangevano. C'erano fogli con i suoi dati e quelli dei suoi genitori.

Carter si rivolse sconcertato al padre:
"Che cosa sono questi documenti? Io... questo posto, questi bambini, credo di averli già visti, in un sogno. Che significa?!"
La voce gli usciva solo a tratti.

A questo punto, il padre gli raccontò la storia di una giovane coppia che desiderava riempire la propria vita con l'amore di un figlio, un desiderio che purtroppo non riuscivano a trasformare in realtà. Avevano quindi deciso di adottare un bambino, che avrebbero cresciuto e amato proprio come se fosse stato sangue del loro sangue.

"Ci vollero anni, dopo un po' non ci speravamo più. Ma poi arrivò quella tanto attesa telefonata e ti venimmo a prendere. Ero titubante all'inizio, ma quando ti vidi per la prima volta, mi ci volle un secondo per capire che ti amavo già dal profondo del mio cuore. E lo stesso è stato per la mamma."

Rachel aveva raggiunto il marito e ora stavano uno accanto all'altra. Sul viso di entrambi si dipinse uno sguardo rammaricato.

"Abbiamo sempre saputo che prima o poi avremmo dovuto dirtelo. Sapevamo che era giusto così. Ma avevamo paura forse, non so... siamo stati degli sciocchi! Non avevamo idea di quale fosse il momento giusto. Poi l'altro giorno è arrivata la lettera e abbiamo saputo della ragazza e..."

Carter non stava più ascoltando. Tutto ciò che aveva temuto di più, stava prendendo forma davanti ai suoi occhi. Ora tutte le tessere erano al loro posto. Quella nube opaca che aveva occultato i suoi primi anni di vita, si era ormai dissolta. L'ossigeno sembrava aver abbandonato quella piccola stanza, lasciando il posto ad una pesante coltre di angoscia. Parlò con una voce che non sembrava la sua, lo sguardo assente.

"Ho bisogno di... vado a prendere un po' di aria, qui dentro non si respira, io... torno fra qualche minuto."

Corse fuori da quella che era sempre stata casa sua; non se ne accorse neanche ma aveva ancora quella cartellina rossa in mano. Corse lontano, la pioggia si confondeva con le lacrime sul suo viso. Senza fiato, si fermò sotto un albero, al riparo dall'acqua, ma non dai suoi pensieri. Si rifugiò nel contenuto della cartellina rossa, anche se non fu in grado di decifrarne appieno il significato. Si soffermò su quella fotografia che lo ritraeva da bambino, la scrutò: non era un sogno allora, era... un ricordo. Si sedette per terra appoggiando la schiena sul tronco dell'albero, chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare il rumore della pioggia.

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