Capitolo 12 - Nora
«Ma cosa importa ormai?»
Mi fa innervosire ancora di più. «Devi dirmelo.»
La sua risposta cambierà tutto. Ne vale la nostra relazione.
Se questi motivi potrebbero cambiare tutto, significa che non avrei mai dovuto fidarmi di lui. Che ha tradito tutto quello che c'è stato.
lo vedo annaspare. Alza gli occhi al cielo. Spera in un aiuto divino forse? Capisco che la risposta che cerco è un si.
«Bene...»
«Cosa intendi fare? Vuoi andare via?» chiede disperato. Cerca di fermarmi ma io non demordo.
«Vado a lezione.»
«Cosa? No, parliamone.»
«Non c'è niente da dire.» mi dirigo verso la fermata dell'autobus a passo svelto.
«Come puoi andare così, come se nulla fosse?»
Mi fermo. Come fa a non capire? «Hai rovinato tutto. Sei un falso. Di chi mi sono innamorata io, eh?»
Resta interdetto. Fa per parlare ma alla fine non dice niente.
«Ecco, appunto.»
Continuo a camminare. Se c'è una cosa che voglio è stare da sola. Non andrò dai miei genitori nè da qualche amica. Peggiorerebbero solo la situazione, e poi cosa gli direi?
Andrò al SFS e poi se avrò voglia tornerò a casa e ne parleremo. Anche se non c'è più nulla di cui dovrei parlare con lui.
Il bus arriva e si ferma. Mi giro a guardarlo un'ultima volta, con occhi completamente diversi. Non è la persona che pensavo, è un impostore. È come aver conosciuto qualcuno che non esiste. Per quanto sia spiacevole quello che gli è capitato, non posso sorvolare sul fatto che mi abbia mentito. Da quanto stiamo insieme? Un anno? Sono troppi giorni, troppe ore. E le ho sprecate tutte accanto a lui.
Dovevo continuare a indagare, lo avrei scoperto prima e lo avrei lasciato quando ancora ero in tempo. Quando avrebbe fatto meno male perché lo amavo di meno. Perché succede sempre qualcosa che ti fa affezionare di più e te ne accorgi un giorno qualunque, quando capisci che non puoi più tornare indietro. Che il tempo si è fermato quando vi siete incontrati e se ripartisse ti toglierebbe l'aria per continuare a vivere. Ti guardi intorno e vedi che il mondo è sempre uguale ma ti ha lasciato indietro.
Mi sento inutile perché non posso scegliere. Non posso lasciarlo e non posso restare con lui.
Mi accorgo che un ragazzo sull'autobus mi sta fissando. È Jonas. «Ciao.»
«Ciao.»
È strano che prenda questo mezzo. Dov'è finita la sua macchina? Decido di non dire niente.
«Va tutto bene?»
L'ultima persona con cui vorrei parlare è proprio lui. Ripenso a quando mi correva dietro. Ero interessata o solo curiosa? Poco importa ora.
«Bene.»
«Davvero?» si alza e viene a sedersi vicino a me. «Stai andando al SFS?»
Annuisco.
«Che coincidenza, anche io.»
Faccio un sorriso tirato e non lo guardo. Osservo la strada che scorre veloce dal finestrino ma dal riflesso vedo che mi sta fissando. «Che vuoi?» chiedo senza girarmi.
«Niente. Stiamo solo parlando. Ci siamo persi di vista. Tu stai con Davis ormai.»
«Ah, si.»
Ride. «Avete litigato?»
Lo fulmino con lo sguardo. «No. E comunque non sono affari tuoi.»
«Infatti non sto insinuando niente. Calmati.»
Mi maledico mentalmente. Ho esagerato. Adesso si è girato e non parla più. Ci sarà rimasto male? Mi dispiace di aver usato quel tono ma sono così arrabbiata con Davis e lui è sempre stato ficcanaso, cosa che odio. Forse mi ha vista giù e voleva solo essere gentile. Adesso sta fissando una vecchietta che si regge con i sedili a fatica. Nessuno si è alzato per lei. Sto per farlo io quando inaspettatamente si offre lui. La signora gli sorride e prende il suo posto. Lo guardo. È stato altruista. Non me lo sarei mai aspettata ma infondo lavora in un asilo.
Arriviamo a destinazione ed entrambi scendiamo. Camminiamo in silenzio finché lui non lo spezza di nuovo.
«Se vuoi ti offro un frappè.»
«Cosa stai cercando di fare?»
«Di risollevarti il morale.»
Penso a cosa rispondere. I frappè sono buoni e ho bisogno di zuccheri. Guardo l'ora. «Va bene, ti concedo dieci minuti.»
Inizia a camminare verso il chiosco. «Perchè con te devo sempre avere il tempo contato?.»
Corro verso di lui ridendo. «Prima mi inviti e poi mi lasci indietro?»
«Non è un appuntamento.» dice con il fiatone. Ma guarda un po'.
-
Sono le quattro del pomeriggio. A quest'ora Davis dovrebbe essere a lavoro, chissà se ci è andato. Non voglio tornare a casa adesso. Sto evitando la questione? Si. È strano che non mi sia ancora venuta una crisi, infondo l'uomo con cui ho scelto di vivere e amare si è solo rivelato un falso. Dovrei sentirmi come se il mondo mi fosse caduto addosso, invece provo una calma inappropriata. Decido di restare a studiare all'università.
Mi siedo al tavolo vicino la macchinetta del caffè e inizio a leggere per far passare il tempo. Dopo vari minuti capisco che non sto realmente assimilando informazioni, quindi questo lavoro è inutile.
Mi guardo intorno. Ho troppi pensieri per concentrarmi. Ci sono molti volti familiari ma con nessuno di loro ho abbastanza confidenza. Dalla finestra vedo una ragazza con i capelli corti che subito identifico come Camilla. Sta parlando con un uomo che sembra avere l'aria troppo seria. Tiene la mano di suo figlio. Stanno litigando, si vede da come gesticolano. Poi lui le porge la mano del bambino, lo saluta con una carezza sulla testa e se ne va voltandogli le spalle. Sale sulla Mercedes grigia vecchio modello ancora accesa e va via. Sarà forse il padre?
Continuo a osservarla, curvata per guardare meglio suo figlio in faccia. Probabilmente gli ha chiesto se sì è divertito perché il bambino tira fuori dallo zaino tanti libri e dei colori che forse gli ha comprato quel tizio. Camilla gli sorride e poi si incamminano dal lato opposto al SFS. Smetto di seguirli con lo sguardo. Mi giro e sobbalzo dallo spavento, di fianco a me c'è una sagoma. Alzo gli occhi e vedo Davis. Non è mai venuto qui all'università.
«Torna a casa.»
I suoi occhi sono seri e la sua espressione visibilmente preoccupata. Mi giro. Non voglio cedere.
«Ti racconterò tutto.»
Tutto. Questa parola racchiude un mondo che io non conosco. Avevo il diritto di sapere prima che vi andassero di mezzo i sentimenti. Lo osservo, è così strano in questo contesto. Chissà se è mai andato al college. Chissà se se lo ricorda. Sospiro scocciata. Vorrei non essermi mai trasferita.
-
Apriamo la porta e la prima cosa che noto è l'atmosfera triste e buia in cui è avvolta la casa. Prima d'ora non ci ho mai fatto caso perché eravamo noi a renderla accogliente. Ora non so se potrò continuare a usare questo pronome. Dovrebbe fare male, eppure non sento niente perché la mia mente si rifiuta di crederci. E' così assurdo, mi sembra solo un brutto scherzo. Proprio ora che avevo iniziato a fidarmi di qualcuno, che avevo aperto il mio cuore a lui, mi fa questo?
«So cosa stai pensando.»
Non mi ero accorta di essere rimasta ferma sulla soglia.
Scuoto la testa. Non vale la pena nemmeno ribattere.
Accende la luce e va a sedersi sul divano, io rimango in piedi. Si torce le mani e guarda il tappeto mentre pensa a cosa dire. Sento le gambe diventare sempre più molli. Ho paura di cosa scoprirò.
«Sai, se non fossi entrato nuovamente in coma probabilmente non avrei mai avuto il coraggio di dirtelo.» la sua bocca fa una smorfia. «Ho sognato che lo avevi scoperto da sola. E ci sono state un sacco di conseguenze orribili che mi hanno fatto riflettere.»
«Mi stai dicendo che dovrei lasciarti.»
Sospira. «Si. Me lo merito.»
Annuisco. «Bene. Non credo ci sia più niente da dire.» Quanto vorrei che invece dicesse che sia tutto uno scherzo.
Mi guarda serio. Si alza e si sporge a guardare dalla finestra. «Sembra stupido da dire, ma tutto ciò che hai conosciuto adesso di me, è reale. Le cose che ti ho detto di provare, sono vere. Cosa importa del passato, di chi ero?»
«Importa eccome, invece! Se me lo hai tenuto nascosto è perché c'è qualcosa di grosso dietro. Qualcosa che mi avrebbe fatto arrabbiare. Ti sei sentito così in colpa da cedere e ora fai tanti giri di parole perché non hai il coraggio di continuare. Dimmelo, Davis!» sbotto.
Sospira. «D'accordo...» si mette le mani in tasca. «Io inizialmente non ricordavo niente. E nemmeno mi interessava. Sapevo solo che cos'era successo, il mio nome e il mio indirizzo grazie ai miei documenti e alle notizie sui giornali. I medici mi hanno detto che sarebbe stato difficile recuperare la memoria, perciò ho deciso di cambiare tutto...»
«Tutto... Davis, cosa diavolo significa tutto?»
«Non mi chiamo davvero così, ho cambiato identità. Io sono Roy.»
Mi sento svenire. Non ci voglio credere. Ho sentito bene?
«Cosa...»
«So che ti sembra assurdo, che sei arrabbiata, ferita...»
«Sei pazzo. Sei... hai fatto come quel tizio... John Meehan. Sei davvero pazzo, e sadico...»
«No, non è vero. Non sono come lui. Io te l'ho detto. E poi non ho mai voluto farti del male.» si avvicina a me.
«Stammi lontano.»
Mi vengono in mente cose che prima mi erano sfuggite.
«Joe ha reagito in quel modo perché ti conosce. Avete la stessa età.» collego tutto. Ecco perché è andato via in quel modo. «Tutti ti conoscono. Anche i miei vicini che non hanno mai voluto dire niente. Assecondavano il tuo sporco gioco... hanno guardato quella patetica scena ogni giorno e nessuno mi ha mai detto niente...» Ho le lacrime agli occhi.
«Non è così come lo descrivi.» sta entrando nel panico. Non sa come discolparsi.
«No, hai ragione... è peggio. Mi sento una stupida...»
«Nora...»
Mi dirigo verso la camera da letto e chiudo a chiave. Mi lascio cadere a terra e inizio a piangere in silenzio. Lui non bussa, non parla più. Sa che ha già detto troppo e io non aprirei. Sento scattare la porta d'ingresso e i suoi passi mentre esce di casa. Tutte queste informazioni sono peggio di mille coltellate e l'unico che potrebbe alleviare questo dolore è proprio l'artefice ma allo stesso tempo può ferirmi di più. Sono sola con questo peso e mi chiedo come supererò la notte. Non posso sopportare.
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