Prologo
~Anonimo~
È notte fonda. Dell'aria fresca entra dalla finestra e quasi con leggerezza cerca di cullare le tende.
Seduto su questo letto, mi chiedo come sia possibile amare una sola persona al mondo, se tutti siamo uguali. Sono sempre due occhi e una bocca, due mani e due gambe.
Ci dev'essere una sola cosa diversa dalle altre che ci ha colpito a tal punto da renderla autentica.
Il carattere può essere mascherato, possiamo recitare, dire belle frasi copiate da un amore che non è il nostro.
È l'anima che fa la differenza, situata nel profondo, nascosta per bene. Quella non può essere truccata.
Mostrarsi trasparenti, senza finzione, comporta rischi che nessuno vuole correre.
L'unica cosa che abbiamo in comune io e Grace è l'essere entrambi testardi, se ci fissiamo su qualcosa è difficile farci cambiare idea. Per il resto, due personalità completamente diverse: io castano, pelle olivastra, lei bionda e pelle chiara. Dentro calmo e riservato, fuori il classico strafottente, lei invece agli occhi degli altri riesce a sembrare un libro aperto: appena la conosci credi che nei suoi modi di fare, nelle sue parole, ci sia tutto quello che c'è da sapere. Ma non è così. Fingere è un'arte che imparano tutti, prima o poi; per puro egoismo o per sopravvivenza. La cosa che ti frega è che non sempre riesci a leggere tra le righe.
Per fare un esempio i miei genitori sono scappati dall'Italia anni addietro grazie a un amico che gli ha garantito un lavoro. Hanno provato a essere degli imprenditori per qualche azienda nella società di San Francisco, tutto senza successo ovviamente. Prima o poi la verità viene a galla.
Tuttavia questa città è un bel posto o almeno lo sarebbe se non fosse per: uno, la strana coralità delle persone.
Due, non ho mai visto dei poliziotti. Chi rimette a posto il caos qui?
E il terzo problema sono, per l'appunto, io.
Sono testardo, bugiardo, menefreghista ma soprattutto odio non avere la situazione in pugno. Ciò deriva dall'assenza di mio padre che ha sempre lasciato ogni compito a me. Badare a mia madre, badare a mia sorella, gestire le spese, pensare al mio futuro...
Io lo giustificavo: non c'era perché lavorava per noi.
Per questo ho sempre avuto il pieno controllo sulle decisioni di Grace e forse anche per questo ha iniziato a non sopportarmi più.
Eppure non sopporto l'idea che sia così bella e per questo attorniata da ragazzi. Viziati, con le loro macchine costose, comprate con il ricco stipendio dei genitori. Noi non abbiamo molto da permetterci, ma almeno siamo insieme. Questa gente invece può dire di avere una famiglia unita? Se si, lo sarebbe ugualmente se non fosse per i soldi?
Lei non si è mai curata di niente; spende continuamente soldi in vestiti che indossa una sola volta, in feste e viaggi con le sue amiche. A casa è la figlia preferita anche se non ha un buon rendimento scolastico. Non riesco a spiegarmi come faccia. Forse è il potere femminile? Forse perchè è la seconda arrivata?
La osservavo sempre atteggiarsi davanti agli altri, quel suo comportamento da superiore che poi, in più delle altre non aveva niente. La paragonavo sempre alle cheerleaders antipatiche che si vedono nelle serie tv americane. I capelli pettinati e stirati, la divisa scolastica rigorosamente stirata, la camminata da modella perchè sapeva di essere guardata. Forse voleva dimostrare a tutti di essere diversa, ma com'era davvero lo sapevo solo io.
Mi accorgevo quando stava male dagli occhi gonfi che la mattina non poteva camuffare. Il desiderio di sapere mi logorava dentro, a volte cedevo e andavo a parlarle ma rispondeva sempre che mi preoccupavo inutilmente. Manteneva una corazza di ferro ma a me sembrava ancora la bambina che mi guardava diffidente dall'uscio di casa, con i suoi occhi grandi e lucidi. E io volevo ancora essere il ragazzo egoista di sempre.
La odiavo per la freddezza che si era creata tra di noi, come mi evitava a casa, quando a pranzo non sedeva più vicino a me ma al lato opposto del tavolo. Mi dicevo che fosse normale per tutti attraversare dei periodi così, che aveva bisogno di stare con le sue coetanee, che trovava imbarazzante stare con il fratello maggiore. Però quattro anni di differenza non mi facevano sentire tanto diverso. Infondo anch'io ero parte di quell'ambiente, ma l'ultimo nello studio e l'ultimo che qualcuno avrebbe voluto come amico.
Mi ricordo di un giorno particolare, passando davanti al negozio di Levi's intravidi una giacca di jeans scuro nella vetrina. La provai, il look era diverso dalle solite felpe con cappuccio che usavo solitamente. Sembravo quasi figo. Mi resi conto che se una giacca poteva far sembrare la mia vita così diversa, una sola azione avrebbe potuto scatenare un uragano di conseguenze. Dovevo lasciar perdere tutto e pensare a me stesso. Mi sentii invadere da una scarica di adrenalina, lasciai la felpa nel camerino e uscii poggiando i soldi sul bancone.
Iniziai a frequentare tante ragazze, poi tante droghe, arrivarono debiti, un brutto giro di conoscenze; nulla di anormale per un ragazzo di ventuno anni, soprattutto in questa città. Ero riuscito a trovare una posizione e farmi rispettare. Eppure dentro di me mi sentivo inquieto, malinconico come quelle giornate grigie che ci fanno pensare che pioverà a momenti ma poi non succede mai, e tu sei sempre lì a guardare il cielo, a sperare che non succeda proprio mentre sei fuori senza ombrello o hai appena steso i vestiti ad asciugare.
Quando qualcosa non funziona, abbiamo bisogno di dare la colpa a qualcuno che non siamo noi. Io avevo incolpato i miei genitori. Era colpa loro se ero venuto al mondo, colpa di mio padre che dopo aver perso il lavoro iniziò a spendere quel poco che mia madre guadagnava giocando a poker.
Ciascuno di noi aveva una dipendenza: il gioco, la popolarità, la droga. Mi chiedevo quale fosse quella di Rosalie, probabilmente suo marito che si ostinava a leccare dal collo della bottiglia ogni goccia di birra rimasta. Anche se convivevamo, dormivamo, mangiavamo insieme, cose che fa una normale famiglia insomma, non me ne sentivo realmente parte e forse ciò spiegava il nostro rapporto instabile. Tra di noi non c'era dialogo tranne per ripetermi che sarei dovuto diventare un avvocato per mantenere tutti, che quello che facevo non era giusto, che gli davo problemi. Io non volevo imparare cosa fosse giusto e cosa invece sbagliato. Per la prima volta pensavo solo a me anche se odiavo la mia vita e chi ne faceva parte.
Odiavo le scale di metallo del suo liceo, l'odore di sigaretta alle otto del mattino, il finto sorriso che mi rivolgevano i miei colleghi all'università solo perchè volevano in cambio gli appunti. Odiavo quelle coppie che studiavano sulle scale perchè ero costretto a passargli di fianco, a sentire il loro impegno nel ripetere, quella costanza che non era la mia.
Il motivo principale era non poter raggiungere il mio sogno e questo rendeva tutto insopportabile, un disinteresse completo. Nessuno, a parte lei, sapeva che avrei voluto studiare astronomia. Certo, era impossibile: i libri e gli strumenti costavano troppo ma la mia passione non si è mai spenta. Ho iniziato a leggere qualcosa nella biblioteca comunale durante le ore buche, non sarei mai diventato un astronomo ma conoscere lo spazio era interessante.
Poi successe l'inevitabile.
《Come fai a sapere tutte queste cose?》mi chiese un giorno.
Aveva appena compiuto dicotto anni e si vedeva già da un po' che fosse diventata una donna. Era venuta in camera come se in tutto questo tempo non ci fosse stata un'enorme distanza tra di noi.
《Nel tempo libero mi piace informarmi.》
《E i soldi chi te li da per comprare i libri? Non li ruberai mica.》si irriggidì.
《Ma no.》Feci una risata tirata.
《 Vado alla biblioteca, così non devo pagare nulla.》
Sembrò sollevata dalla mia risposta. Ah, se avesse saputo la verità non si sarebbe più fidata.
Le feci cenno di seguirmi. Si alzò dal letto su cui era seduta a gambe incrociate e uscì nel balcone dietro di me. Il Babydoll le copriva a malapena le cosce e io facevo l'impossibile per non indugiare troppo sul suo corpo. Mi sentivo in imbarazzo, eppure era mia sorella.
《La costellazione dell'Orsa Maggiore.》Indicai con il dito un punto vago nel cielo. 《 Le sue sette stelle principali formano il Grande Carro. Lo vedi?》cercai di essere più preciso. Lei annuì attenta alla mia spiegazione, mentre il chiarore della luna le faceva risplendere il volto.
《Secondo il mito, la Grande Orsa rappresenta uno dei grandi amori di Zeus, la ninfa Callisto consacrata alla dea Artemide. Zeus le si avvicinò nelle sembianze di Artemide stessa e la sedusse. Dall'avventura con Zeus, Callisto ebbe un figlio, Arcade. Per questo Era, la moglie di Zeus, trasformò Callisto in un'orsa. Dopo 15 anni, Arcade durante una battuta di caccia incontrò per caso l'orsa e la stava per uccidere quando Zeus intervenne mandando sulla Terra un turbine che portò entrambi in cielo. Callisto divenne la costellazione dell'Orsa Maggiore ed Arcade quella dell'Orsa Minore.》la guardai. 《Per sempre.》
《Oh.》Disse, ma non sembrava mi stesse realmente ascoltando, mi osservava in modo strano. Per un attimo posai lo sguardo sulla veste ma subito lo riportai su di lei. In quei giorni tra di noi si era creata una strana situazione e parecchi momenti imbarazzanti.
《Aspetta, non muoverti.》le dissi prima di tornare dentro.
Presi dal cassetto un pacchetto e tornai fuori.
《Cos'è?》domandò curiosa.
《Il tuo regalo di compleanno. Sono in ritardo ma finora non avevo trovato niente di adatto. Poi ho visto questa.
Aprii lo scatolino e le mostrai il contenuto: una collana con un diamante bianco.
《Diamine. Quanto ti è costata?》
Le feci cenno di stare zitta. Non aveva importanza nè il prezzo nè come avessi fatto a pagarla.
La presi per le spalle e delicatamente la feci girare. Alzò i capelli in modo da permettermi di legarla. Sentii il suo profumo invadermi le narici. Poi la ammirai mentre se la rigirava tra le dita, era come l'avevo immaginata: perfetta, addosso a lei.
《Rappresenta una stella, quale vuoi tu. Così quando guarderai il cielo dovrai pensarmi per forza.》Sorrisi.
《Roy...》Il mio nome ora suonava così strano pronunciato dalla sua bocca.
《Che cosa? 》
《Lo sai anche tu, vero?》Si fece seria.
Non era stata esplicita nella domanda, ma avevo capito. Lo sapevo meglio di lei, che non potevamo davvero essere fratelli.
Con un dito le accarezzai lo zigomo e lei si abbandonò al mio tocco socchiudendo appena gli occhi. Quando li riaprì, mi ero già appropriato delle sue labbra, per la prima e non ultima volta.
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