Capitolo 6 ~ Nora

Stamattina ho applicato l'eyeliner, come prima volta il risultato è accettabile. Ieri ho persino guardato dei tutorial per capire quale tecnica si adattasse meglio al mio occhio.
Non ho ancora ritirato l'uniforme, perciò sono costretta a vestirmi normalmente.

Cerco qualcosa di diverso nell'armadio, ma alla fine mi arrendo. Entro nella stanza dei miei genitori, mia madre veste sempre meglio di me, perciò trovo subito ciò che fa al caso mio: una camicetta semplice color cipria. La indosso e resto stupefatta dall'effetto, sembro un'altra persona.

Raccolgo il mio zaino e scendo al piano di sotto.

《Wow, Nora. Sta meglio a te che a me. 》

Resto interdetta, non pensavo se ne accorgesse.
Bevo una tazza di caffè e mi dirigo verso la porta.

《Vuoi che ti accompagni? 》Mi urla per farsi sentire.

《No grazie, prendo il bus!》

-

Attraverso il cortile a passo svelto. Sarà impressione mia ma sento gli occhi di tutti puntati addosso.  Un ragazzo bruno che mi sembra di aver già visto mi lancia un fischio di approvazione. O forse mi sta solo prendendo in giro. Lo ignoro e apro il foglietto spiegazzato degli orari.

Scherziamo? Io odio chimica, non può essere. Avevo specificato nell'iscrizione di non voler seguire materie scientifiche. Probabilmente hanno sbagliato. Sbuffo.

《Ehi! 》Qualcuno mi urta. 《Non puoi fermarti così in mezzo al corridoio. 》

Mi giro. E' il capo delle cheerleaders, Clarissa.

《Scusami. 》dico seria.

Una persona più debole sposterebbe lo sguardo verso il pavimento, Segno di sottomissione.
Mi viene in mente un déjà vu, perciò assottiglio gli occhi e la guardo con insistenza. Lei ricambia, e dopo alcuni secondi sparisce dietro il corridoio. Ce l'ho fatta. Cambiare città è servito a qualcosa, qui nessuno conosce il mio passato o com'ero.

Un gruppo di ragazzi mi stanno fissando. Uno di loro sorride in modo beffardo, attirando la mia attenzione. Mi si contorce lo stomaco. E' quello della scommessa.
Mi fa un cenno con la testa, e io lo ignoro dirigendomi verso il laboratorio.

Aubrey non frequenta questo corso, ancora una volta non conosco nessuno. Prendo posto in prima fila, l'unico banco vuoto rimasto.

L'insegnante entra in classe seguito da un ragazzo, che sgattaiola nel posto accanto a me non appena si gira ad appendere la giacca.

《Menomale, non mi ha visto. 》Sospira.

Poi si rende conto di non essere solo e si presenta. 《Scusami, sono Nat. 》

《Nora. 》

Fa una risatina. 《Abbiamo la stessa iniziale.》

Cosa c'è di tanto esilarante in questo? 《Be', mi aspettavo che Edward Cullen si sedesse accanto a me, ma va bene comunque. 》

Mi guarda confuso.

《Era una battuta, ovviamente. 》Specifico.

《Oh... 》Ride. 《Certo. Figurati se non lo avevo capito. Divertente. 》

Certo che no, capisco questi atteggiamenti meglio di chiunque, qui dentro. Decido di mettere a freno la mia parte esibizionista.

Quando suona, noto con piacere che mi sta seguendo.

《Posso chiederti da dove vieni? Devi per forza essere nuova, non ti ho mai visto qui.》

《Torino, Italia. Mi sono trasferita da poco. 》Dico in tono più deciso.

Ho intenzione di cancellare gli ultimi residui della Nora insicura dentro di me. Non parlavo con così tanta gente da tanto e il fatto che siano loro a volermi conoscere è positivo.

《Wow, dev'essere stressante abituarsi al cambio di clima. 》

《Non molto. Di solito andavo in vacanza più a sud. 》Cerco di rispondere il minimo indispensabile, troppe informazioni ad uno sconosciuto.

《Che figo. 》Sorride.

Nemmeno lui indossa l'uniforme. Guardo i suoi capelli biondo scuro tirati all'indietro, la sua carnagione chiara e la sua postura naturale.

E poi mi accorgo di lui, ancora una volta. Non può essere una semplice coincidenza; secondo i miei studi, più le persone sono vicine o vogliono esserci, più significa che sono attirate da noi. Ciò vuol dire che è interessato o è un maniaco. Opto per la seconda opzione dopo essermi ricordata del nostro primo incontro. Mi fermo qualche metro più avanti e Nat fa lo stesso.

《Che lezione hai adesso? 》Gli chiedo.

《Biologia, davvero noiosa. Ci conosciamo da almeno un'ora e non te l'ho detto, di solito specificare il mio odio verso questa materia è la prima cosa che faccio. 》Sbuffa.

《Ah. 》

Ma quanto parla? Sorrido in modo esagerato, per far pensare a quell'individuo che ci sto flirtando. Magari mi lascerà in pace.

《Ti va di pranzare insieme dopo? Così ti presento alcuni amici. Sei nuova, hai bisogno di integrarti e io faccio al caso tuo. 》

《Cosa sei, uno di quegli eroi che aiuta le matricole? 》Rido.

《Perfetto, a dopo allora. Ah, ti lascio il mio numero? Dammi il cellulare. 》

Ma io non gli avevo detto di sì. Alzo gli occhi al cielo. Cosa potrebbe mai succedere?

《Certo》

 《Perfetto. Ci becchiamo in giro. 》

Non faccio caso a quello che dice: sono occupata a guardare altrove.

《Comunque, quello che ti fissa insistentemente si chiama Jonas. 》

Ho un sussulto. 《Cosa? 》

Guarda nella sua direzione.《Il ragazzo con l'orecchino.》

Abbasso lo sguardo a disagio. 《Jonas? 》Ripeto inconsciamente.

《Si. Cosa c'è di strano? 》

Mi schiarisco la voce.

《Nulla. Ci vediamo a pranzo allora. 》Dico prima di andarmene.

La mia tattica non ha funzionato ma almeno ho scoperto il suo nome. Un motivo in più per cui devo stargli alla larga.
Scuoto la testa. Non dovrei essere così selettiva.

-

Non do ascolto ad Agnes. Tornata dal college mi reco alla casa accanto. Suono ansiosa e aspetto che qualcuno apra la porta.

《Si? 》Sento una voce titubante provenire da dentro.

Cercando di apparire il più naturale possibile mi allontano qualche centimetro dallo spioncino e sorrido. In verità mi sento una di quelle presentatrici Avon che vanno a bussare di casa in casa sperando di abbindolare qualcuno.

《Salve. 》dico nervosa. 《Sono la figlia dei nuovi vicini, Nora Anderson. 》

Aspetto una risposta per qualche secondo, nel frattempo sento bisbigliare.

Temevo mi avrebbero cacciata via, invece qualcuno fa scattare la serratura e davanti a me compare una giovane coppia sposata.
Non sembrano avere più di trentacinque anni. Mi scrutano attentamente, quasi volessero capire se abito realmente qui.

《Ciao. 》Dice la donna, il marito le cinge la schiena con un braccio.

Si rivolgono uno strano sguardo e poi lei continua: 《Sono Margaret, lui è Joe. 》

Sposto lo sguardo su di lui. Perché sembrano tutti così spaventati? Da quando sono qui non ho mai visto nessuno tosare l'erba del prato o almeno prendere il sole in giardino. Tutto il vicinato è rintanato dentro casa.

《Ti serve qualcosa? Dello zucchero, sale? 》prosegue interrompendo le mie riflessioni. La guardo confusa. Che razza di domanda è?

《Ehm, no... grazie. 》Biascico non sapendo cosa rispondere né come proseguire.
La situazione si è fatta imbarazzante e non sono più sicura di volergli chiedere informazioni.

《Allora perché hai suonato? 》Insiste l'uomo.

Entro nel panico e cerco di improvvisare qualcosa.

《Mi trovavo da queste parti...》Mi interrompo per un attimo. Se abiti qui è logico. Mossa stupida. 《Volevo conoscere i miei vicini. 》

《Oh...》Fa lei. 《Vuoi entrare?》

Guardo l'orologio, sono ancora le tre e mezza. Annuisco e si fanno da parte, anche se vedo che lui rimane un po' rigido.

Mi guardo intorno nel grande salotto. Lo stile è simile al mio, ma è più piccolo. Sul tavolino davanti al divano c'è un vaso pieno di fiori variopinti che danno colore alla stanza. Le pareti sono in crema, i divani anche. Le tende di un verde pastello. Noioso. Mi rendo conto che hanno gli occhi puntati su di me e io mi maledico all'istante di aver perso tempo fissando il loro arredamento. Devo essere sembrata scortese. Sorrido cauta.

《Che scuola fai? 》Mi chiede Margaret. Classica domanda di chi non sa cosa dire.

《Vado alla San Francisco State University. 》

《Davvero? Anch'io l'ho frequentata. 》Dice Joe, con un'espressione assente di chi rimembra i vecchi tempi.

《Diciamo che è... confortevole. 》Sul serio, Nora?

Fa una risatina, ma volevo solo dire che non sembra frequentata da tipi strambi come nella mia vecchia scuola. Nessuno sta attento ad ogni tua mossa, soprattutto se sei nuova. Ovviamente loro non possono capirlo.

《C'è ancora quel distributore blu all'entrata? 》

Ci penso per qualche secondo. Ho guardato tutto tranne che questo, quindi dico la prima cosa che mi viene in mente.

《No, lo hanno tolto. 》Spero sia davvero così.

《Oh, che peccato! 》Esclama.

Mi stupisco della sua reazione, perché fino a poco fa sembrava stesse studiando il killer che ha ucciso il suo cane.

《Quello stupido aggeggio ci fregava sempre i soldi. Io e i miei amici ci divertivamo a prenderlo a calci finchè non ce li restituiva. 》

Che divertente. Rido per cortesia, ma nemmeno sua moglie sembra divertita.

《Quando uscivamo per trenta secondi a prendere una bottiglia d'acqua, si trasforma sempre in un voto negativo sull'agenda del professore. Dannato robot. 》

Sento un odore di cotto invadere la stanza e Margaret scatta subito in piedi.

《Oh, cielo. La crostata dev'essere pronta. Ti piacciono le fragole, Nora? 》Mi chiede scattando in cucina.

《Si, sono mio frutto preferito. 》Rispondo sollevata che non abbia usato le albicocche e che abbia cambiato argomento.

Sento il rumore della teglia che sbatte contro qualcosa e poi un 《Ahh! Mi sono bruciata. 》

Joe si acciglia. 《Tutto bene, cara? 》

《Si si, è intatta. 》fa lei.

《Incredibile, si preoccupa più per quello stupido dolce che per la sua salute. 》Scuote la testa e io sorrido.

Alla fine sembrano brave persone. E io che mi preoccupavo di trovarmi davanti un cinquantenne ubriaco.

《A te piace cucinare? 》Mi chiede quando ricompare con dei piattini in mano.
Me ne porge uno.

《A dire il vero, non so farlo. 》Ne addento un pezzo e lei mi guarda come se avessi commesso un oltraggio, tanto che penso che forse prima di ogni pasto usino dire delle preghiere.

《Come no? Tua madre non ti ha insegnato? O tua nonna, o non so...》

La interrompo. 《No.》Io e lei non abbiamo mai avuto il classico rapporto madre-figlia, ma mi limito a tenerlo per me.《Al massimo so fare le patatine fritte e la pizza. 》

《Oh cielo. Be', è un passo avanti. 》Si siede abbattuta sul divano mentre comincia a degustare il suo capolavoro.

《Non farci caso. Lei è una patita della cucina, per questo è così sconvolta. 》

Rido. 《Be' non c'era dubbio. Il dolce è divino. 》Mi maledico ancora per aver usato l'aggettivo sbagliato. Sembra esagerato. Joe e Margaret continuano a raccontarmi della loro vita, e ne sono felice perché finalmente la tensione si è placata.

A questo punto prendo coraggio e gli pongo la fatidica domanda: 《A proposito. Cosa sapete dell'omicidio avvenuto due anni fa?

Mi guardano con occhi fermi, sembra si siano pietrificati. Devo smetterla di essere così diretta. 《Non molto. E non credo sia corretto parlarne. 》Fa lui.

《Perché tutti qui evitano l'argomento? 》Insisto.

《Per rispetto. Non è giusto nei loro confronti, è stato un avvenimento agghiacciante.》

《Ma io abito lì. Ho il diritto di sapere. 》Sbuffo. 《Questa cosa mi sta facendo impazzire. Mi sembra che ci sia un... non so, un qualche spirito che mi perseguita. Io devo sapere.》

Si scambiano un'occhiata strana. 《Ci dispiace. Ma vedi, siamo tutti spaventati dopo quell'avvenimento. Parlarne non è giusto, dobbiamo tenere le cose passate nel passato. Soprattutto se fanno male. 》Dice Margaret.

Così, il mio secondo tentativo è fallito miseramente.

Passo tutto il pomeriggio a navigare su internet, ignorando la relazione che dovrei svolgere per domani per scienze sociali.

Mia madre non è ancora rientrata da lavoro e sono già le nove. Sorseggio il the che ormai si è raffreddato e poggio la tazza sulla scrivania.

Sto per uscire dalla camera per andare in bagno, quando sento un tonfo. Leggero, ma non trascurabile.Guardo il soffitto e resto in ascolto in attesa di un altro segnale mentre il cuore inizia a martellarmi nel petto. Mi affaccio dalla finestra con molta cautela e scruto il giardino immerso nel buio. Non c'è anima viva. Forse è stato di nuovo il gatto. Mi convinco che sia così mentre vado a mettermi il pigiama. Poi aggiungo un altro punto alla mia lista.

"Anche Margaret e Joe sono strani."

***

Punto la sveglia prima del solito. A quest'ora è facile pensare che tutti dormano e se qualcuno mi sta spiando lo coglierei con le mani nel sacco. Ho avuto quest'idea dai film di giallo che ho visto in Tv.

Resto sotto le coperte con gli occhi chiusi, non si sa mai, potrebbe osservarmi dalla finestra con un binocolo. Apro bene le orecchie e aspetto qualsiasi segnale.

Per dieci minuti ancora nulla, tanto che cerco in tutti i modi di non addormentarmi. Alla fine decido semplicemente di alzarmi e scendere a preparare il caffè.

Oggi è sabato, e ho intenzione di indagare il più possibile. So che dovrei almeno uscire nel weekend, ma non è proprio da me. Odio la confusione, gli ubriachi che ci provano e le ragazze che cercano di essere al centro dell'attenzione. Alle feste dei college di solito c'è tutto questo e molto altro.

Mi viene in mente Torino, spesso uscivamo. Il primo anno è stato il migliore, ero popolare, avevo tanti amici e un ragazzo. Ma l'ultimo è stato il peggiore.
Ricordo ancora come mi sentivo mentre piangevo davanti allo specchio; brutta. Era colpa sua.

Faccio un respiro profondo. Le sopracciglia sono sempre ben in ordine, applico una maschera facciale ogni settimana, lo scrub alle labbra, faccio sempre la pulizia del viso. Ma allora perché le altre sono sempre migliori di me nonostante non facciano niente per sforzarsi? Perché sono la stessa di due anni fa? Forse è solo una mia impressione. Apro il cassetto alla ricerca di una pinza per capelli, ed è proprio in questo momento che mi viene in mente. Delle forbici, forse potrebbero aiutarmi.

Frugo tra spazzole e cosmetici vari e alla fine le trovo. Le impugno, e prima di compiere il gesto decisivo mi guardo un'ultima volta. E' il momento di smetterla, di cambiare sul serio.

Taglio una ciocca lunga circa quindici centimetri, e continuo così finchè non ottengo ciò che voglio. Aggiusto le imperfezioni e osservo il risultato finale.

Non avevo mai tagliato i capelli, fin da bambina ho sempre lottato per averli così lunghi, anche quando mia madre minacciava di portarmi dal parrucchiere con la forza. E adesso i miei boccoli delicati arrivano fin sopra le spalle. Osservo quel mucchio ormai morto a terra, e mi rendo conto che non devo pentirmene. Non posso tornare indietro.

Indosso un maglioncino che mi va troppo grande e un paio di leggins. Tanto me ne starò tutto il giorno in camera mia.

Qualcuno bussa alla porta.

《Avanti. 》Dico, e mio padre entra.

《Se non hai nulla da fare potr...oh, dio.》esclama non appena si accorge del totale cambio di look.《Scusi, ho sbagliato persona. Conosce per caso una certa Nora? Sarebbe mia figlia...》

《Papà.》Rido. 《Smettila. Cosa ti serviva?》

《D'accordo. Potresti darmi una mano? Ci sono molte scatole nello sgabuzzino che non ho ancora avuto tempo di togliere. Dovremmo buttare tutto ciò che non serve.》

《Si, certo.》

Spengo il pc e lo seguo nella stanza accanto. Nella parete infondo, ci sono mobili addossati e pacchi ancora sigillati.

《Probabilmente qualcuno aveva in mente di andarsene, ma dopo l'incidente non è più stato possibile.》

Rabbrividisco. 《Nessuno passerà a prenderli? Qualche familiare delle vittime o che so...》

《Non credo. Sono già passati due anni, probabilmente questa roba non gli serviva.》

《Capisco. Allora mettiamoci a lavoro.》

Inizio a spostare la merce fuori dalla porta, in corridoio. Mio padre fa lo stesso, e quando finalmente abbiamo sgombrato lo studio lui inizia a spostare i mobili.

《Puoi andare se vuoi, adesso me la vedo io, sono troppo pesanti per te.》mi dice.

Annuisco ed esco dalla stanza con l'ultimo scatolone tra le braccia. La curiosità prende il sopravvento e non riesco a trattenermi. La apro tirando con forza lo scotch. Dentro ci sono un mucchio di libri. Ne prendo alcuni e leggo i titoli; tutti gialli e romanzi d'amore. Nelle altre trovo solo vecchi cd e appunti scolastici. Nessun nome è specificato ma deduco che appartengano ad una donna dalla calligrafia ordinata.

Non mi serve nulla di tutto questo, perciò faccio per andarmene, quando un luccichio attira la mia attenzione. Tiro fuori un mazzo di chiavi. Non mi viene subito in mente a che cosa possa servire, ma poi ho un'illuminazione. 

Scatto in piedi e corro al piano di sotto, attraverso il giardino e mi fermo davanti alle scale che salgono in soffitta. Appoggio le mani sulle ginocchia e cerco di riprendere fiato. Poi, mi avvicino cauta alla porta. Se si apre, metterò fine a ogni mio sospetto.

Mi sento nella scena di un film horror, e in un primo momento sono indecisa se proseguire o meno, ma poi allungo la mano, giro, e la serratura scatta.

Tutto è immerso nella penombra ma riesco comunque a scorgere due finestre, non troppo grandi. Mi avvicino cercando di non calpestare nulla e alzo le tapparelle. La stanza prende vivacità.

La prima cosa che noto è il perfetto ordine con cui sono state lasciate le cose; i soprammobili, i libri, persino l'unico cuscino sul divano. E poi mi accorgo che c'è meno polvere di quanta dovrebbe essercene, come se qualcuno fosse stato qui nei mesi successivi all'incidente. I muri hanno ancora i segni dell'incendio.
Chi ha ristrutturato questa casa non si è curato di riverniciarla ma il parquet almeno è stato sostituito.

C'è un letto matrimoniale ordinato, un piccolo comodino accanto. Apro i cassetti, vuoti.

Di fianco una porta entra in un minuscolo bagno, anche questo in perfette condizioni. Apro lo sportello nello specchio e vi trovo un tubetto di dentifricio e decine di saponette ancora sigillate. Chi vi abitava doveva essere un maniaco dell'igiene. Nel mobile accanto degli asciugamani di diversi colori, hanno lasciato proprio tutto.

Di là non c'è molto altro, oltre un fornellino elettrico e un lavabo. Non capisco a cosa servano dato che non c'è traccia nè di pentole nè di un frigorifero. Attaccato al muro c'è un tavolo quadrato con due sedie.

Mi avvicino alla barchetta poggiata sulla mensola, è in legno con le vele blu. Accanto c'è un cofanetto con dentro la foto di due bambini. Li osservo a lungo. Non voglio pensare che siano morti anche loro.

Purtroppo ficcanasare qui sopra non è servito a molto. Anche se è casa mia mi sento comunque un'intrusa. Forse hanno ragione i miei genitori, sono soltanto paranoie, non c'è nessuno qui oltre noi. Nemmeno uno spettro. Sospiro profondamente. Richiudo la porta a chiave e torno in casa.

-

La suoneria del mio cellulare mi riporta nel mondo reale. Alzo la faccia dal cuscino cercando di capire dove sia finito e quando lo recupero da sotto la coperta accetto la chiamata.

《Pronto.》Sbuffo.

Mi aspetto di sentire mia madre all'altro capo del telefono, invece risponde una voce che non ricordo ma che mi è familiare.《Nora, ciao.》

Rifletto per un secondo e mi metto seduta. 《Aubrey?》

《Certo. E chi sennò? Dove ti trovi? Non mentirmi Nora, non sei obbligata a venire se non vuoi.》Continua a parlare senza lasciarmi il tempo di rispondere.

《Sono a casa. E poi venire dove?》

《A casa?》Quasi lo urla. 《E' sabato! Questa sera dei ragazzi organizzano una festa a casa di... non ricordo il nome. E' uno con l'orecchino, lo avrai sicuramente visto.》

《Jonas.》Dico seria.

《No. Non è l'unico ad avere un orecchino a scuola, sai? Però ci sarà anche lui. Come lo conosci?》

《Oh... di vista.》blatero.

Cosa dovrei fare? Non ho voglia di andarci. Odio questo tipo di cose, e poi ci sarà quel tipo. C'è qualcosa in lui che non sopporto, e non si tratta del nome. E' il suo modo di fare, il suo sguardo, le sue espressioni. Ho già capito come funziona la sua testa ed è attirato da me che sono la nuova arrivata. Non mi lascerò abbindolare, non mi servono altri problemi.

《Mi hai capita?》Sta dicendo Aubrey.

《Cosa?》

《Passo a prenderti alle otto. Non farmi aspettare.》

《Ma avevi detto che non ero obbl...》Ha già riattaccato. Furba la ragazza.

Sono le sette, potrei richiamare e disdire, ma andarci sarebbe un buon modo per socializzare e anche se non sopporto queste cose mi sono promessa di cambiare. Sospiro e mi alzo dal letto.

-

Mi sorprendo ad essere pronta con mezz'ora di anticipo.
Osservo il risultato: ho lasciato i capelli sciolti, applicato più mascara del solito e rubato una gonna in pelle dall'armadio di mia madre. Ci ho abbinato un top bianco abbastanza scollato e delle scarpe da tennis. So che non c'entrano nulla, ma odio i tacchi. E poi i contrasti nei look mi piacciono. Per il resto è un buon inizio: non sembro nemmeno io con questo nuovo taglio.

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